BALCANICHE, GUERRE (1912-13)
La rivoluzione costituzionale dei Giovani Turchi (1908), l'annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell'Austria-Ungheria (1909), la guerra italo-turca per la Libia (1911) sono il prologo dell'ultimo atto della lotta secolare dei popoli balcanici per scuotere il giogo musulmano. Tali fatti diedero l'incentivo alla conclusione dell'alleanza bulgaro-serbo-greco-montenegrina del 1912 contro la Turchia, conosciuta col nome di Lega balcanica. Ciascuno degli stati balcanici rivendica a sé l'iniziativa di questo sistema d'alleanza. Oggi, a poca distanza degli avvenimenti, è difficile sapere la verità assoluta; conviene contentarsi di fatti generali e della cronaca positiva degli avvenimenti. Nel settembre 1911 il bulgaro D. Rizov (colui che nel 1904 era riuscito a concludere con la Serbia il trattato di Niš per le riforme nella Macedonia) si accordò col serbo M. Milovanović per un'alleanza difensiva ed offensiva. Le trattative fra i governi però furono lunghe e difficili a causa della Macedonia, che, riuscite inutili le riforme, avrebbe dovuto essere proclamata "autonoma" e, nel caso d'impossibilità di realizzare questa autonomia, sarebbe stata ripartita tra Bulgari e Serbi, ciascuno dei quali, in cuor suo, l'aveva ambita tutta intera. Fu convenuto che la Macedonia sarebbe stata divisa in tre zone: una settentrionale, incontestabilmente serba, una meridionale, incontestabilmente bulgara, e una media, contesa, di cui si sarebbe deciso a guerra finita, previo l'arbitrato dello zar delle Russie. Su questa base fu stipulato a Sofia il 29 febbraio (13 marzo nuovo stile) 1912 tra Ferdinando I, re dei Bulgari, e Pietro I, re di Serbia, un trattato di amicizia e di alleanza formato da 7 articoli, e accompagnato da un allegato segreto di 5 articoli, da una convenzione militare di 14 articoli e da parecchi accordi fra i due Stati maggiori. Questi patti furono firmati dai presidenti del consiglio Milovanović, serbo, e Gešov, bulgaro, e dai generali Fičev, bulgaro, e Putnik, serbo. Giova rilevare che l'art. 2 dell'allegato segreto specificava esattamente le rivendicazioni territoriali e che una nota del gen. Fičev riconosceva come il piano delle operazioni fosse stato preparato dallo Stato maggiore serbo, per cui quello bulgaro declinava la responsabilità. L'accordo bulgaro-serbo fu presentato, in copia, allo zar Nicola II di Russia (sceso nella primavera del 1912 a visitare i Balcani), in obbedienza all'art. 3 dell'allegato segreto e in omaggio all'alleanza russo-bulgara del 1902, stipulata per reazione all'alleanza austro-romena del settembre 1900. Per completare il retroscena di alleanze segrete, necessario a comprendere la seconda parte delle imminenti guerre balcaniche, occorre accennare come re Ferdinando I, che in tutta la sua politica estera tenne un'orientazione sicura e continua in senso austriaco, si fosse legato all'Austria-Ungheria con un trattato segreto del 1898.
Prima ancora degli accordi bulgaro-serbi, e precisamente nel maggio 1911, Panas, ministro greco a Sofia, aveva intavolato con Gešov, allora presidente del consiglio, trattative per un'alleanza difensiva, limitata al caso d'un attacco turco. Nel discutere quindi coi Serbi, i Bulgari erano sicuri dell'intervento greco. Il trattato di "alleanza difensiva" tra la Bulgaria e la Grecia fu firmato però più tardi a Sofia, da Gešov e Panas, il 16, 29 maggio. Questo trattato, formato da quattro articoli e seguito da una convenzione militare di otto articoli, del 22 settembre 1912, doveva rimanere segreto. In esso si era evitato di parlare delle questioni territoriali riguardanti la Macedonia e la Tracia. Per iniziativa bulgara fu aperto nel giugno 1912, uno scambio d'idee col presidente del consiglio del Montenegro sull'eventualità di un'azione comune. L'accordo bulgaro-montenegrino non fu scritto; bensì stipulato verbalmente con clausole segrete, fra Gešov e il presidente del consiglio del Montenegro, il 15, 28 agosto 1912. Il primo dei due tentò, nel giugno 1912, di intavolare trattative anche con la Romania, allo scopo di raggiungere un accordo nella previsione di un crollo della Turchia. Tito Majorescu, presidente del Consiglio, si limitò a rispondere che, in caso di catastrofe, la Romania si sarebbe facilmente intesa coi Bulgari.
Nel giugno 1912 morì, improvvisamente e misteriosamente, Milovanović, che fu sostituito da Pašić. I popoli dei Balcani si agitarono, come al solito, anche nei mesi estivi del 1912; ma tutto il mondo diplomatico, gli addetti militari, i finanzieri, erano unanimi nel ritenere che la Bulgaria, e ancor più gli altri stati balcanici, fossero impreparati al punto, che una loro guerra contro la Turchia sarebbe stata un atto di follia inconcepibile. Le cancellerie delle grandi potenze erano perciò occupate ad impartire consigli di pace e a compilare note platoniche per lo status quo: ultima quella austro-russa (di Berchtold e Sazonov) del 27 settembre.
Gli alleati balcanici avevano sperato che l'Italia trasportasse in Europa una parte della guerra per la Libia. Fallita questa aspettativa, non tardò a presentarsi l'occasione propizia con la rivoluzione anti-giovane-turca, con la sommossa degli Albanesi musulmani e coi numerosi incidenti di frontiera e massacri del luglio e agosto 1912, che furono le scintille di quella guerra che tutti avevano previsto e temuto, ma che nessuno aveva saputo prevenire.
I due grandi raggruppamenti rivali delle potenze europee - Triplice alleanza italo-austro-germanica e Triplice intesa anglo-franco-russa - di fronte alle questioni balcaniche mancavano ciascuno di compattezza. Notevoli variazioni territoriali in quella penisola toccavano, in diverso grado e in diverso senso, gli interessi dei singoli componenti delle due Triplici, e ciò toglieva forza alle azioni collettive. Quando i segni di guerra si fecero manifesti, la Francia prese l'iniziativa (4 ottobre) di un'azione concorde presso tutte le capitali balcaniche. E l'accordo fu raggiunto, attraverso non lievi difficoltà, e concretato in una nota collettiva che suonò riprovazione per i preparativi di guerra e fermo intendimento delle grandi potenze di non consentire ad ingrandimenti territoriali. A Costantinopoli, con analogo passo collettivo, furono consigliate riforme. Ma non si stabilirono sanzioni per chi volesse non tener conto del monito. Perciò la fatica fu inutile.
Nel mese di settembre tutti gli stati balcanici spinsero febbrilmente gli armamenti e la Turchia provvide anch'essa a raccogliere nelle provincie d'Europa, e specialmente in Tracia, circa 200.000 uomini, col solito pretesto di grandi manovre. Il 13 ottobre gli stati balcanici collegati inviavano a Costantinopoli un ultimatum in cui si elencavano le rivendicazioni di ciascuno stato, tempo tre giorni per l'accoglimento. Il 17 la Turchia dichiarò la guerra alla Bulgaria e alla Serbia. Subito dopo la Grecia dichiarò, a sua volta, guerra alla Turchia.
Caratteristiche degli eserciti belligeranti. - La Turchia aveva raddoppiato le forze dell'esercito con la legge militare dell'8 agosto 1909, la quale sanciva il servizio militare obbligatorio anche per i non musulmani, e anche per gli Albanesi, per gli Arabi del Ḥigiāz e del Yemen e per gli abitanti di Costantinopoli, tutte categorie fino allora esenti. Ma la riforma, se aveva accresciuto il numero, aveva indebolito la compagine morale, perché l'orgoglio musulmano se n'era sentito offeso. L'esercito attivo contava 139 reggimenti di fanteria (senza contare i reparti di guardie confinarie), 39 reggimenti di cavalleria, 40 reggimenti più 15 gruppi di artiglieria di varie specialità, oltre convenienti aliquote del genio, di truppe delle fortezze e dei servizî. Queste forze erano ordinate in 14 corpi d'armata su 3 divisioni, raggruppati in quattro grandi zone d'ispezione, o comandi di armata. V'erano inoltre numerose formazioni di riserva, predisposte sulla carta fino alle compagnie, ma in effetto senza reale efficienza. In sostanza l'esercito turco fu colto dalla guerra in una fase di prima applicazione di un ordinamento nuovo, con quadri scarsi di numero, durante l'esperimento del frammischiamento fra musulmani e cristiani, coi servizî dell'esercito inadeguati e funzionanti in modo rudimentale. Teoricamente questo colosso dai piedi di creta avrebbe potuto mobilitare 42 divisioni di linea, 35 divisioni di riserva di primo bando, e 24 divisioni di riserva più vecchie. Ma solo una parte non rilevante di queste forze fu portata in campo. Di più si commise l'errore di consentire l'esonero dal servizio presso l'esercito mobilitato a chi pagasse quaranta lire turche. Oltre le forze di terra la Turchia aveva una debole marina da guerra, comprendente 4 vecchie corazzate di squadra (le due più moderne avevano 23 anni), 4 incrociatori varati fra il 1902 e il 1907, 8 cacciatorpediniere varati nel 1907 e 7 torpediniere (Ansaldo) varate fra il 1901 e il 1906.
A parte i prudenziali trasporti di truppe in Tracia avvenuti nel settembre, la mobilitazione vera e propria dell'esercito turco cominciò soltanto il 1° ottobre, in seguito agli ordini di mobilitazione emanati dalla coalizione balcanica. Le forze turche furono ripartite in due gruppi di armate. Il gruppo di armate dell'ovest (gen. Riẓà pascià) comprendeva l'armata del Vardar, l'armata dello Struma, le piccole armate della Tessaglia e dell'Epiro e le forze del sangiaccato di Novi Bazar e dell'Albania settentrionale. Il gruppo di armate dell'est (gen. Abdullāh pascià) comprendeva le forze destinate ad operare contro i Bulgari, e cioè le armate della Tracia e dell'Arda e il grosso presidio della piazza di Adrianopoli. In totale circa 400.000 uomini.
La Grecia aveva iniziato nel 1908 il riordinamento delle forze militari, e dal 1911 le riforme erano dirette da una missione militare francese. L'esercito era costituito da 4 divisioni ternarie (3 reggimenti di fanteria, due battaglioni di fanterie speciali - euzoni -, un reggimento di cavalleria, un reggimento di artiglieria a 8 batterie, genio, servizî). Effettivi di guerra, circa 100.000 uomini di prima linea, oltre 80.000 guardie nazionali con una loro speciale riserva di 40.000 uomini. Dai 20 ai 32 anni i cittadini servivano nell'esercito attivo e nella prima riserva dell'esercito attivo; dai 33 ai 40 nella seconda riserva dell'esercito attivo; dai 41 ai 47 nella prima linea della guardia nazionale; dai 48 ai 54 nella riserva della guardia nazionale. Difetto capitale dell'esercito greco era quello d'essere inquinato da dissensi politici lungo tutta la scala della gerarchia. La marina da guerra contava una sola unità veramente efficiente, l'incrociatore Avérof (del cantiere Orlando di Livorno), più 3 guardacoste, 6 torpediniere di vecchio tipo e 1 sottomarino. Ottimi, moralmente e tecnicamente, gli ufficiali e gli equipaggi.
La mobilitazione procedette con qualche lentezza, specialmente per le nuove formazioni, per le quali difettavano quadri e materiali. Il re assunse il comando in capo. Si costituirono due armate; l'armata di Tessaglia (principale) di 7 divisioni agli ordini del Diadoco Costantino e la piccola armata dell'Epiro (gen. Sapundzaki) composta di elementi varî dell'esercito regolare e di milizia cretese. L'armata di Tessaglia fu radunata con 5 divisioni lungo la valle del Peneo su una fronte di una quarantina di chilometri, da Larissa a Vlokhós e con 2 divisioni 50 km. indietro, a Velestīnon e Farsaglia. L'armata dell'Epiro fu diretta ad Arta. In cifra tonda i Greci mobilitarono 100.000 uomini.
La Bulgaria aveva ancora l'esercito ordinato secondo la legge militare del 1897, lievemente modificata nel 1903 e nel 1908. Era diviso in esercito campale (cittadini dai 20 ai 40 anni) ed esercito territoriale (dai 41 ai 46 anni), con tassa militare per gli esonerati per qualsiasi ragione; ed era ordinato in 9 divisioni raggruppate a tre a tre in circoli d'ispezione (corpi d'armata territoriali). Per la mobilitazione generale le unità dovevano quadruplicarsi, ciascun battaglione di pace corrispondendo a un reggimento di guerra su 4 battaglioni. La mobilitazione era resa ardua dalla scarsa disponibilità di ufficiali in congedo e dalle difficoltà per la requisizione dei quadrupedi. Di contro a codeste deficienze tecniche si notava un morale elevatissimo poiché popolo ed esercito erano concordemente animati dal desiderio di affermare l'indipendenza della Balcania dalla Turchia, premessa necessaria per conseguire poi la riunione di tutti i Bulgari in un solo stato. In questa complessa visione delle necessità storiche della Bulgaria è la ragione della guerra che scoppiò fra i popoli balcanici subito dopo debellata la Turchia. Sul mare la Bulgaria aveva soltanto un vecchio avviso-torpediniere e 6 torpediniere moderne; sul Danubio una flottiglia.
La mobilitazione si svolse con rapidità fra il generale entusiasmo. Oltre l'esercito regolare si formarono battaglioni di volontarî macedoni inquadrati nell'esercito e bande irregolari indipendenti. Re Ferdinando assunse il comando supremo avendo a capo di stato maggiore il generale Savov. Furono costituite 3 armate. La 1ª (gen. Kutinčev) schierata al centro fra Nova-Zagora e Jambol; la 2ª (gen. Ivanov) a destra fra Haskovo e Tirnovo; la 3ª (gen. Dimitriev) a sinistra fra Jambol e Burgaz; più due divisioni indipendenti, l'una a S. di Filippopoli, l'altra a Kjustendil, in collegamento coi Serbi. In totale circa 350.000 uomini.
L'esercito della Serbia era ordinato alla tedesca (quasi tutti gli ufficiali superiori avevano studiato a Berlino). Servivano nell'esercito attivo i cittadini dai 20 ai 31 anni; gli uomini dai 32 ai 38 costituivano le riserve di complemento; quelli dai 39 ai 45 l'esercito territoriale. Come estrema riserva, i giovani dai 17 ai 19 anni e gli anziani dai 46 ai 50. Ordinamento su 5 divisioni, ognuna delle quali di 4 reggimenti a tre battaglioni di pace; in tutto sessanta battaglioni di fanteria, che all'atto dalla mobilitazione diventavano 100 battaglioni di prima linea, più 60 di complemento. Un totale di 150.000 uomini di truppe mobilitabili per operazioni campali. Quadri mediocremente addestrati; deficienza di artiglierie someggiate, sensibile in un esercito destinato essenzialmente ad operare in zone montane. Politicamente discordi gli ufficiali, avendo la rivolta militare e il regicidio del 1903 lasciato strascichi di gravi dissensi. Ancora pesava sull'esercito serbo il ricordo dell'ingloriosa campagna contro la Bulgaria nel 1885; ma era vivo il desiderio della riabilitazione.
Ordinata la mobilitazione il 1° ottobre 1912, re Pietro assunse il comando in capo dell'esercito col generale Putnik capo di Stato maggiore. Furono costituite 4 armate, che si scaglionarono in profondità su una larga zona di oltre 200 km. In testa la 2ª armata (gen. Stefanović) a Kjustendil in collegamento coi Bulgari; dietro la 1ª armata (principe ereditario Alessandro) nei pressi di Vranje a cavallo della ferrovia Niš-Üsküb (ora Skoplie); la 3ª armata (gen. Janković) a occidente di Niš attorno a Kuršumlija; la 4ª (gen. Živković) fra Požega e Kralievo. Totale generale circa 200.000 uomini.
Le istituzioni militari del Montenegro rappresentavano il massimo sforzo che si possa fare per la difesa del proprio paese, senza esercito permanente. Infatti, in pace, erano tenuti alle armi soltanto 200 uomini della guardia reale e 2 battaglioni di istruzione. Per la guerra si contava su gli uomini dai 18 ai 53 anni per l'esercito attivo e su quelli dai 54 ai 62 per i servizî territoriali. Si potevano metter in linea circa 35.000 uomini, raccolti in 4 divisioni di 3 brigate, ciascuna composta da un numero variabile di battaglioni (da 4 a 6) senza l'intermedio del reggimento. Nel 1911 era stata istituita a Cettigne una scuola per il reclutamento degli ufficiali sotto la direzione di un colonnello russo. Nel complesso il piccolo esercito del Montenegro era solidissimo per la difensiva, ma poco atto alla guerra manovrata.
Il re Nicola ordinò la mobilitazione dell'esercito il 1° ottobre 1912 e ne assunse il comando in capo. La radunata avvenne rapidamente in tre gruppi; a nord 4 brigate col generale Vukotić lungo il confine col sangiaccato; al centro 5 brigate col principe Danilo attorno a Podgorizza (Podgorica); a sud 3 brigate col generale Martinovič attorno ad Antivari. In totale circa 30.000 uomini, più 3000 Albanesi cristiani della montagna (Malissori).
La prima guerra balcanica (contro la Turchia). - Disegni operativi. - I Turchi dovevano condurre guerra politicamente difensiva, il che non escludeva atti strategici offensivi, per i quali però l'esercito ottomano non era convenientemente preparato. Per la morfologia della penisola balcanica, il teatro delle operazioni veniva ad essere ripartito in scacchieri secondarî, fra loro divisi: Tracia, valle del Vardar, valle della Vistrizza, valle della Voiussa, Albania settentrionale. Poiché i Turchi vollero tutto difendere ne risultò un ineluttabile disperdimento di forze, coi pericoli che naturalmente ne conseguono e che non sfuggirono allo Stato maggiore di Costantinopoli, il quale - per diminuire il danno - concentrò la parte maggiore delle forze (200.000 uomini) attorno ad Adrianopoli e a Kirk Kilise (ora Kïrklareli) col doppio scopo di costituire una massa di manovra e di difendere direttamente la Tracia, regione particolarmente sensibile per la vicinanza di Costantinopoli, e direttamente minacciata dal più bellicoso e temibile degli eserciti della coalizione: il bulgaro. Delle rimanenti forze, un gruppo di tre corpi d'armata fu dislocato in Macedonia e ripartito fra Üsküb, Monastir e Salonicco. Due divisioni furono inviate verso il confine greco ed una divisione verso il confine montenegrino. Miglior partito sarebbe stato invece quello di concentrare la totalità delle forze in Tracia.
Da parte degli alleati balcanici, la guerra - che si proponeva la conquista di obiettivi politici territoriali - doveva essere necessariamente offensiva. L'aggressione era, del resto, facilitata dalla maggior rapidità della mobilitazione degli stati balcanici rispetto alla mobilitazione ottomana. La Bulgaria (comandante in capo effettivo generale Savov, capo di Stato maggiore generale Fičev), approntate lestamente 9 divisioni attive e 9 brigate di riserva, decise di avanzare col grosso prendendo come asse la valle della Marizza. L'esercito serbo (170.000 uomini ripartiti in tre armate), alquanto in ritardo rispetto ai Bulgari, si scaglionava da Kjustendil alla regione di Niš; e l'esercito greco (100.000 uomini ripartiti in 7 divisioni) si raccoglieva a nord di Larissa agli ordini del diadoco Costantino, meno una divisione che era inviata sul Ionio ad Arta. Il Montenegro era entrato in guerra contro la Turchia alcuni giorni prima che gli stati balcanici avessero rotto i rapporti con Costantinopoli. I Montenegrini (comandante effettivo il generale Vukotić), combattendo con singolare audacia, avevano superate le occupazioni turche oltre i loro confini e attraverso il sangiaccato di Novi Bazar erano riusciti ad operare il loro congiungimento coi Serbi.
Data l'accennata dislocazione delle forze, e le caratteristiche geografiche del paese, era da prevedere che la guerra grossa sarebbe stata combattuta in Tracia. E così fu infatti.
Operazioni nello scacchiere greco. - Il 18 ottobre i Greci entrarono in campo, avanzando su due colonne dirette a Monastir e a Salonicco. Superate le difese turche, il diadoco, con la colonna di destra, passava il 7 novembre il Vardar e il 9 otteneva la resa di Salonicco con 25.000 Turchi. Frattanto la colonna di sinistra era dapprima arrestata dai Turchi e poi costretta a retrocedere; e soltanto per effetto dell'avanzata dei Serbi da nord potrà riguadagnare terreno. In quegli stessi giorni la divisione greca inviata ad Arta operava nell'Epiro e nell'Albania meridionale occupando Pénte-Pēgádia e dirigendosi a Valona.
Operazioni nello scacchiere serbo. - La Serbia iniziò l'offensiva il 19 ottobre, passando il confine con la 1ª armata al centro (al comando del principe ereditario Alessandro) presso Ristovac, con la 3ª armata a destra (gen. Živković) presso Prepolac, e con la 2ª armata a sinistra (gen. Stefanović). Le tre armate dovevano convergere nella regione (Üsküb-Kumanovo. Quest'ultima località era anche l'obiettivo d'una frazione dell'esercito bulgaro. Quivi erano 60.000 Turchi al comando di Zekī pascià, i quali opposero da principio buona resistenza agli attacchi della 1ª armata serba, ma sconfitti si ritrassero (24 ottobre) ad Üsküb, inseguiti dai Serbi. Due giorni dopo anche Üsküb veniva sgombrata dai Turchi, che si ritiravano a Monastir.
Dopo questi successi, l'esercito serbo si divise. In parte si diresse a Salonicco, che era anche obbiettivo dell'esercito greco, come sopra detto; in parte si portò nel sangiaccato di Novi Bazar a rinforzare i Montenegrini, in parte a rinforzare i Bulgari. Ma il grosso delle forze serbe puntò nella direzione di Monastir, dove i Turchi accettarono una sanguinosa battaglia durata due giorni, sgombrando poi la città. Il 19 novembre il principe Alessandro di Serbia faceva il suo ingresso in Monastir e due giorni dopo v'entrava anche il diadoco Costantino di Grecia.
Operazioni nello scacchiere bulgaro. - Il 18 ottobre l'esercito bulgaro entrava in Tracia su tre colonne, la colonna di destra diretta lungo la Tungia su Adrianopoli, quella dì sinistra a Kirk Kilise e quella del centro funzionante da collegamento. I Turchi avevano intenzione di sbarrare fortemente l'avanzata bulgara in direzione di Kirk Kìlise, e di opporre soltanto azioni di cavalleria e di retroguardia alle armate bulgare del centro e di destra. I Bulgari poterono in tal modo avanzare con notevole facilità nella valle della Tungia e di fronte alle difese di Kirk Kilise operarono una rapida manovra di aggiramento che rese inutili le predisposizioni turche. Il 22 ottobre le colonne bulgare del centro e di sinistra operavano la loro congiunzione.
A Kirk Kilise si propagò il panico e bastò un accenno di attacco bulgaro, perché i Turchi abbandonassero la piazza all'invasore e si ritirassero frettolosamente nella direzione di Lüle Burgaz, inseguiti alle reni dai Bulgari. Il 27 ottobre sul pianoro di Lüle Burgaz e di Bunar Hisar s'impegnò una battaglia campale durata cinque giorni. Da principio i Bulgari, tuttora scaglionati in profondità, si trovarono notevolmente inferiori di numero ai Turchi e furono sul punto di dover retrocedere. Ma, allorché sopraggiunsero le forze retrostanti, la situazione si andò rapidamente ristabilendo e il successo bulgaro si delineò nettamente. In tal modo, la sera del 31 ottobre i Turchi erano costretti a ritirarsi su Çorlu e sulla linea di Ciatalgia (Çatalca).
La battaglia di Ciatalgia. - Le gravi perdite subite indussero il comando supremo ottomano a riunire le due armate della Tracia in una sola armata di tre corpi d'armata, a chiamare rinforzi dall'Asia a migliorare il funzionamento dei servizî e a meglio rafforzare la linea difensiva detta di Ciatalgia, a sbarramento dell'istmo da Karaburnu sul Mar Nero al fondo della Baia di Büjük Čekmedže (ora Büyükçekmece) sul mar di Marmara. A conferire maggior saldezza alla linea di Ciatalgia concorreva la natura del terreno antistante costituito in gran parte da zone paludose e da acquitrinî. A mano a mano che i Turchi arretrando miglioravano le condizioni dei loro rifornimenti, i Bulgari, avanzando, le peggioravano. Ciò spiega, in parte, perché le operazioni offensive contro Costantinopoli non poterono procedere con la celerità che sarebbe stata necessaria. I Bulgari dovettero anch'essi provvedere al riordinamento delle forze, destinando due armate per l'offensiva contro Costantinopoli e una per l'investimento e l'assedio di Adrianopoli. Le operazioni campali furono affidate alla direzione superiore del generale Dimitriev. L'attacco contro le linee di Ciatalgia, previo schieramento delle artiglierie, fu disposto per il 17 novembre. Il piano del Dimitriev - dato che le posizioni nemiche erano continue ed appoggiate con le ali estreme a due mari - dovette limitarsi all'attacco frontale.
Le forze bulgare furono schierate, nella quasi totalità, a nord di Ciatalgia, consentendo quivi il terreno maggiori possibilità di fuoco e di manovra. Per la stessa ragione le opere turche erano piu numerose e più robuste nella metà settentrionale fra la costa del Mar Nero e la ferrovia Adrianopoli-Costantinopoli.
La 1ª armata bulgara ebbe l'ordine il 17 novembre di concentrare gli sforzi principali contro le opere di Nakkasköj, con sussidio di un attacco secondario in direzione di Bacesköj. L'azione fu contrastata vigorosamente dalle artiglierie delle opere turche e anche dai tiri delle corazzate Mes‛ūdiyyeh e Barbarossa alla fonda nella rada di Bujük Čekmedže. La fanteria turca compì anche un energico e fortunato contrattacco presso Nakkasköj che paralizzò l'offensiva su questo tratto della fronte. Frattanto la 3ª armata aveva progredito nella direzione di Kastania ed aveva, più a nord, occupato l'importante posizione di Lazarköj. Ma l'organizzazione turca, (doppia linea di fortificazioni) rese vani i sanguinosi tentativi della fanteria bulgara per un'ulteriore avanzata. Sperò il comando bulgaro che si potesse progredire col favore della notte e qualche lieve progresso era infatti realizzato a sud-est di Lazarköj prima dell'alba del 18 novembre. Ma anche i Turchi avevano profittato dell'oscurità per preparare inosservati un contrattacco di stile, che il comandante del settore, Maḥmūd Mukhtār, guidò personalmente. I Bulgari furono ricacciati, e durante il ripiegamento furono anche cannoneggiati dalla propria artiglieria, che per la nebbia li aveva scambiati per nemici. Anche nella zona di Kastania i Bulgari perdettero terreno per effetto dell'azione intensa dell'artiglieria della difesa. Le riserve bulgare non furono però impiegate e questo è indice sicuro che lo Stato maggiore non era determinato ad una azione a fondo.
Le operazioni intorno ad Adrianopoli. - La posizione naturalmente forte di Adrianopoli - costituita dai gruppi di alture alla confluenza della Tungia e dell'Arda nella Marizza - si avvantaggia anche del terreno scoperto che la circonda. Ma il sistema fortificatorio era deficiente, la maggior parte delle opere essendo ancora quelle semi-permanenti improvvisate durante la guerra russo-turca del 1878. Le poche opere moderne erano state costruite con eccessiva economia e trovavansi a ponente e a mezzogiorno della piazza (Şeitam tepe, Kazal tepe, Kartal tepe). Presidiavano la piazza 50.000 Turchi con 200 cannoni di medio e grosso calibro e 300 di piccolo calibro. Gli assedianti (un'armata bulgara e due divisioni serbe) contavano 150.000 uomini in gran parte riservisti. Il 22 ottobre essi hanno chiuso il cerchio intorno alla piazza, ma il parco d'assedio è ancora deficiente. Il 29 ottobre i Turchi fanno un primo serio tentativo di rompere le linee dell'investimento dinanzi alla fronte occidentale, ma non riescono. Ripetono il tentativo, il 4 novembre su la sinistra della Marizza e il 7 su la destra, ma sempre senza risultato. L'osservazione aerea bulgara, che fa le sue prime prove, ha parte notevole nella fortunata resistenza dell'assediante. Il 24 novembre i Bulgari s'impadroniscono di Dugiaros sul fronte sud. Conscio della vanità dei cruenti sforzi, e nella considerazione che l'epidemia colerica scoppiata a Costantinopoli si estendeva per contatto alle linee bulgare dinanzi a Ciatalgia, lo stato maggiore di re Ferdinando stipulò il 23 novembre una provvisoria sospensione d'armi, resa poi definitiva - e per tempo indeterminato - il 3 dicembre 1912. Per il 14 dicembre fu fissata una riunione a Londra di plenipotenziarî, in vista della conclusione della pace.
Le trattative durante il primo armistizio. - Gia prima della stipulazione dell'armistizio turco-bulgaro, le grandi potenze avevano continuato gli scambî di vedute per una possibile conciliazione. Ma le conversazioni non erano state agevolate dall'andamento della guerra, disastroso per i Turchi, e che accresceva di giorno in giorno glì appetiti dei nemici della Porta. Fra l'Austria e la Russia si delineavano differenze sostanziali circa la futura sistemazione della Balcania, guardandosi a Vienna con occhio sospettoso i progressi dei Serbi e dei Montenegrini e gli accordi fra i due stati slavi per la spartizione dell'Albania, mentre la Russia perseguiva la sua politica favorevole alle affermazioni degli Slavi del sud. E poiché, nel momento della riunione della conferenza di Londra, gli stessi Albanesi fecero pervenire alle potenze le loro vive proteste contro eventuali progetti di spartizione del loro paese, la questione dell'Albania divenne naturalmente il pernio delle discussioni diplomatiche europee.
La diplomazia turca seguì a Londra il tradizionale sistema dei temporeggiamenti e delle concessioni a piccole dosi. Ma finalmente le potenze della triplice alleanza e della triplice intesa, dando prova di buona volontà, riuscirono a trasmettere a Costantinopoli (17 gennaio 1913) una formula di pacificazione che comprendeva l'abbandono da parte dei Turchi dei possessi balcanici, compresa la Tracia occidentale fino ad Adrianopoli. Il capo del governo turco Kiāmil pascià, sentito un consiglio di alti dignitarî, stava per accettare le proposte delle potenze, quando i Giovani turchi presero improvvisamente posizione contro le debolezze del governo (23 gennaio). Una colonna di dimostranti armati alla testa dei quali era Enver Bey - l'organizzatore della difesa tripolitana contro l'Italia l'anno precedente - invase il palazzo del governo e ne cacciò Kiāmil pascià, mentre il ministro della guerra Nāẓim pascià veniva freddato con una revolverata. Un ministero della difesa nazionale prendeva le redini del governo e assumeva la responsabilità della ripresa della guerra. La conferenza di Londra fu chiusa e il generalissimo bulgaro Savov comunicò all'esercito turco (30 gennaio) la ripresa delle ostilità entro tre giorni.
La ripresa delle ostilità. - Il 3 febbraio 1913 le operazioni di guerra ricominciarono. Esse ebbero ancora per teatro principale la Tracia. Fuori di questa regione si ebbero operazioni dei Greci contro la piazza di Giannina, che fu sgombrata dai Turchi il 7 marzo, e operazioni dei Montenegrini contro Scutari, che fu sgombrata dai Turchi il 22 aprile. In Tracia le operazioni avevano ripreso con un ardito tentativo dei Turchi, di sbarcare a Sarköj nella penisola di Gallipoli, un corpo d'armata, operando nel contempo, a scopo diversivo, altro sbarco di un distaccamento a Podima sulla costa del Mar Nero. Contando sul disorientamento nemico, i difensori di Ciatalgia speravano di poter uscire dalle linee fortificate e aver ragione dei Bulgari che le fronteggiavano. Ma i Bulgari respinsero gli sbarchi senza compromettere le loro linee dinanzi a Ciatalgia. Il 24 marzo, contemporaneamente all'attacco decisivo contro Adrianopoli (v. sotto), i Bulgari attaccarono con successo i posti avanzati turchi nelle direzioni di Kadiköj e Sargunköj; il 28 giunsero a metter piede su la posizione di Gestikoj, che i Turchi ripresero, però, poco dopo, mediante un cruento contrattacco.
Era nel frattempo avvenuta la caduta di Adrianopoli. I BulgaroSerbi, alla ripresa delle ostilità, avevano abbandonato il primitivo progetto di attaccare il settore NO., concentrando invece lo sforzo contro il saliente NE. (Haivas). Il cambiamento di piano aveva richiesto molto tempo per il trasporto delle grosse artiglierie in una zona non servita da linee ferroviarie; e soltanto il 24 marzo il comandante dell'assedio, generale Ivanov, poté dare il "via". Per ingannare i Turchi circa il settore prescelto, il generale bulgaro ordinò una vivace ripresa del cannoneggiamento su tutta la linea dell'investimento; poi, nella notte sul 24, concentrò di contro ai due tratti del saliente (Haivas-Kayalik, Haivas-Kastanlik) le colonne di fanteria per l'assalto delle opere, che fu condotto in modo eroico e fortunato durante la giornata del 25 e continuò nella notte successiva. Alle ore 10 del 26 marzo, il comandante della piazza, Shukrī pascià, si arrendeva con 50.000 uomini, dopo aver incendiato i magazzini.
La pace con la Turchia. - La diplomazia aveva frattanto ripreso il suo lavoro. Dopo la rottura dell'armistizio alla fine di gennaio, era rimasta alcuni giorni perplessa ed aveva atteso di vedere se il tragico mutamento negli uomini del governo a Costantinopoli potesse, in realtà, dare nuovo vigore agli eserciti del sultano e mutare in favore della Turchia le sorti della guerra. Ma ben presto risultò evidente che la situazione militare turca era compromessa in modo irreparabile.
I belligeranti balcanici non si erano opposti alla ripresa delle trattative di pace, purché, questa volta, non si parlasse di armistizio. Così mentre a Londra si discuteva di nuovo, le operazioni militari avevano continuato come sopra si è detto, traendo seco la caduta di Giannina, di Adrianopoli e di Scutari. Questi fatti militari erano tali da rendere più spedite le trattative. Ma era intanto avvenuta a Londra la costituzione dello stato albanese, del quale erano anche stati fissati, in via approssimativa, i confini. Questo fatto, di primaria importanza per la politica balcanica, aveva indotto l'Austria a pretendere l'immediato sgombro del nuovo stato da parte delle truppe serbe e montenegrine che l'occupavano. Ma il Montenegro aveva proseguito le operazioni contro Scutari, conseguendo alfine un successo, che rendeva sempre più problematica la sua arrendevolezza. Né era valso che l'Austria avesse ottenuto dalla conferenza di Londra una dimostrazione navale collettiva, presto divenuta blocco effettivo. Soltanto l'opera persuasiva della Francia e della Russia e il manifesto proposito italiano di occupare Valona se l'Austria mettesse piede nell'Albania settentrionale, indussero re Nicola a ritirare le sue truppe entro i nuovi confini. Il 30 maggio lo schema del trattato di pace fu completo. La Turchia si ritraeva in Tracia a oriente della linea Enos-Midia, si disinteressava della spartizione fra gli stati balcanici dei territorî perduti, cedeva Creta alla Grecia, lasciava alle grandi potenze la cura di delimitare in modo particolare i confini dello stato albanese, di fissare lo statuto delle isole Egee, di regolare quanto riguardava le indennità di guerra.
Si sperava che in tal modo si potesse raggiungere tra gli stati vittoriosi una condizione di equilibrio territoriale che valesse a dar pace durevole alla tormentata regione balcanica.
La seconda guerra balcanica. - Ma il trattato di Londra conteneva i germi di dissensi fra gli stati coalizzati contro la Turchia, per la spartizione dei territorî conquistati, di gran lunga superiori alle previsioni e perciò sorpassanti le convenzioni del 1912. La Bulgaria, che aveva sostenuto il maggior peso della lotta, ambiva a Salonicco (ciò che poneva Sofia contro Atene), mentre la Serbia richiedeva in Macedonia più larghe concessioni di quelle stipulate con la Bulgaria prima della guerra contro la Turchia, basandosi sul fatto che la non preveduta costituzione dello stato albanese, riducendo su le rive dell'Adriatico la parte che ad essa sarebbe spettata, rendeva necessario un compenso. E anche la Romania, che non aveva partecipato ai sacrifizî della guerra, cominciava ad alzar la voce contro la Bulgaria, chiedendole Silistria in compenso di una neutralità che aveva permesso allo stato maggiore di Sofia di inviare tutte le forze in Tracia. Lo zar Nicola II si adoperava per riunire a Pietroburgo una conferenza dei quattro capi di governo degli stati in disaccordo, quando improvvisamente (3 luglio 1913) le truppe bulgare attaccarono i Serbi e i Greci. Ma lo stesso giorno la Romania dichiarava la guerra alla Bulgaria e la Turchia, divenuta di nuovo minacciosa, domandava la revisione del trattato di Londra e si preparava ad appoggiare la richiesta con una sortita di truppe dalle linee di Ciatalgia.
La diplomazia bulgara fu sorpresa da questi avvenimenti, e lo stato maggiore di Sofia, che aveva preparata un'azione offensiva con gli avanzi gloriosi della precedente guerra, costituendo quattro piccole armate (più un nucleo a diretta difesa di Sofia) per atti di attacco contro Serbia e Grecia soltanto, si trovò impossibilitato a far fronte da quattro lati. L'offensiva fu virilmente iniziata contro gli obiettivi fissati e cioè contro Salonicco difesa dai Greci e contro i Serbi dislocati nell'alta Struma, fra Üsküb e Gevgeli. I Bulgari ottennero un primo successo, penetrando nello schieramento avversario a Gevgeli, nel punto di giunzione fra Serbi e Greci e respingendo i Greci che si trovavano nella bassa Struma. Ma i Serbi, chiamati prontamente dei rinforzi, contromanovrarono aggirando la destra bulgara e dopo cruenta vittoriosa battaglia occuparono a tergo dello schieramento nemico, la località Kočani. A loro volta i Greci incoraggiati dalla manovra degli alleati, ripresero ad avanzare e occuparono Demir Hisar. Poco dopo l'esercito romeno invadeva la Bulgaria (11 luglio) collegandosi coi Serbi, e l'esercito turco iniziava le operazioni per la riconquista d'Adrianopoli (13 luglio).
La Bulgaria, cercata invano la mediazione della Russia e dell'Austria, non trovò altra via di scampo all'infuori di quella di chiedere a re Carol la pace (21 luglio). Alle trattative accedettero la Serbia e la Grecia. Iniziate il 30 luglio, esse si conclusero il 10 agosto 1913 col trattato di Bucarest. La Romania spostava verso sud il confine della Dobrugia; la Serbia guadagnava terreno nella Macedonia; la Grecia spostava a oriente il suo confine, fino ad est di Cavala. La Turchia riprendeva Adrianopoli. Col trattato di Bucarest veniva anche definito il confine fra la Serbia e la Grecia.
Così, la potenza ch'era stata la principale animatrice e il fattore più valido della lotta contro i Turchi - la Bulgaria - usciva dalle vicende del 1912-13 stremata di forze, diminuita di prestigio, delusa nelle sue aspirazioni. L'esercito bulgaro era sicuramente il migliore fra gli eserciti degli stati balcanici per elevatezza di senso della disciplina, per armamento, per ordinamenti; ma la politica bulgara aveva troppo preteso dalle forze armate, e non aveva saputo misurare i limiti delle possibilità belliche.