religione, guerre di
Dall’epilogo delle guerre d’Italia tra Francia e Spagna (Pace di Cateau-Cambrésis, 1559) fino alla conclusione del conflitto dei Trent’anni (1618-48), la storia europea fu contrassegnata da violenti scontri militari, politici, civili e ideologici (secolo di ferro), in cui l’elemento religioso si connotò come fattore scatenante e profondamente divisivo. Dalle campagne tedesche alle acque del Mediterraneo, dalle regioni francesi alle città olandesi, si trattò di guerre che contrapposero eserciti di diversa nazionalità (le armi spagnole contro quelle della Repubblica delle sette Province unite, proclamatesi indipendenti dalla Spagna nel 1581) o di conflitti civili, originati dall’urto tra due distinti credi religiosi (francesi cattolici contro francesi ugonotti, alleati dei calvinisti olandesi). Il quadro generale è quello di un’Europa lacerata da un vigoroso processo di confessionalizzazione, iniziato nella prima metà del Cinquecento, come conseguenza delle gravi spaccature prodotte dalla Riforma protestante (1517-55) e dallo scisma anglicano (1534), che indussero i massimi poteri politici (imperiale, papale, dei singoli Stati nazionali, regionali o cittadini) ad affrontare l’argomento religioso in quanto funzionale al consolidamento delle rispettive strategie di azione nel campo temporale. Così la fede calvinista divenne in Fiandra un formidabile collante delle istanze di indipendenza dai re cattolici di Spagna (1576-1648), mentre in Francia il calvinismo ugonotto e in Inghilterra quello puritano animarono, contro la Corona, la difesa delle prerogative giuridiche, politiche ed economiche di una consistente parte della nobiltà e dei ceti borghesi. Ne scaturì in Francia il ridimensionamento (sancito dall’Editto di Nantes del 1598) e nell’Inghilterra anglicana, con il trionfo di un Parlamento puritano nel 1642-49, il declino dell’assolutismo monarchico. In quella stessa cornice si combatterono anche guerre connotate dalla vittoria della fede cattolica (della Chiesa postridentina, della Spagna asburgica e dell’impero). L’avanzata del fronte controriformato va però misurata su molteplici piani: dogmatico-disciplinare (lotta alle eresie, evangelizzazione dei popoli asiatici e americani a opera dei nuovi ordini, controllo delle coscienze, del corpo sociale e dei fermenti culturali, mediato anche dalle nuove congregazioni dell’Inquisizione e dell’Indice); diplomatico-giurisdizionale (la guerra dell’Interdetto contro Venezia, 1606); militare: il nuovo slancio contro l’islam (battaglia di Lepanto, 1571), la ricattolicizzazione della Boemia e di vaste aree della Germania meridionale, sostenuta dalle armi imperiali (guerra dei Trent’anni). A fronte dell’ingente tributo di sangue, la conclusione del secolo di ferro rappresentò per la civiltà europea un traguardo importante: la Pace di Vestfalia (1648) decretò l’affermazione di una più moderna idea di tolleranza religiosa, il ridimensionamento del potere temporale del papato e la nascita di un’Europa multipolare. Venuto meno il di- segno universalistico che l’egemonia asburgica (Spagna e impero) aveva sviluppato, la guerra in armi rimarrà, fino al tramonto dell’antico regime (18° sec.), uno scenario frequente delle successive contese politiche, ma perderà la connotazione ideologico-religiosa che tra Cinque e Seicento l’aveva trasformata in uno scontro inesausto e orribilmente brutale, oltre le ragioni del realismo politico e le solidarietà di rango, di sangue e di patria.
Il caso francese è l’episodio meglio rappresentativo, più complesso e cruento delle guerre di r., da cui la Francia (Paese rimasto lungamente in bilico tra cattolicesimo e Riforma) uscì indebolita su diversi piani (politico-istituzionale, sociale, economico). Il termine ugonotti (forse sinonimo di confederati) designava i seguaci francesi della dottrina calvinista, diffusasi in una consistente parte della popolazione (forse pari a circa il 15%), a partire dalle regioni sudoccidentali. Si trattò in prevalenza della piccola e media borghesia, ma anche di casati illustri come quello dei Borbone, dei principi di Navarra e degli Châtillon-Coligny. A partire dal regno di Carlo IX di Valois (1560-74), ovvero dalla reggenza di Caterina de’ Medici, lo scontro religioso si tradusse in un confronto di fazione che divise la corte e il Paese. Da un lato il fronte cattolico, guidato dai Guisa, dall’altro soprattutto i Borbone (imparentati con la casa reale, al pari dei loro avversari). Nel tentativo di porre termine ai primi massacri compiuti dai cattolici ai danni degli ugonotti (Vassy, 1562), la Corona varò l’Editto di Saint-Germain (1572), che accordava a questi ultimi libertà di culto e il possesso di quattro piazzeforti. La reazione cattolica (forse sostenuta da esponenti dei Valois) deflagrò nella notte di S. Bartolomeo (23-24 agosto) del 1572. Un eccidio che insanguinò le strade di Parigi, mietendo vittime illustri: l’ammiraglio Gaspard de Coligny, divenuto consigliere del sovrano, e numerosi invitati alle nozze (appena celebrate) di Enrico di Borbone con Margherita di Valois, sorella di Carlo IX. Nel giro di pochi giorni, le vittime ugonotte furono forse 30.000, ma lo schieramento dei Borbone riuscì a riorganizzarsi e tornare attivo, giungendo a esprimere in una libellistica culminata nelle Vindiciae contra tyrannos (1579) una riflessione sui caratteri dello Stato moderno, e in particolare sul patto tra sovrano e popolo, che verrà approfondita dalle successive teorie contrattualiste, fino a J.-J. Rousseau. In nome dei diritti inviolabili di quest’ultimo (tra cui la libertà di culto), le Vindiciae riconoscevano ai Parlamenti e alle assemblee il diritto di opporre resistenza a tutte quelle disposizioni sovrane che, violando il patto, si sarebbero configurate come illegittime. Ma i primi anni di regno di Enrico III (1574-89) furono caratterizzati anche e soprattutto dalla nascita del partito dei politiques (tra cui J. Bodin e M. de l’Hospital), fautori di una durevole pacificazione religiosa e del dialogo costante con gli ugonotti in nome dei superiori interessi della Francia. Il contributo dei politiques e in specie di J. Bodin (Les six livres de la République, 1576) rappresentarono una tappa fondamentale per lo sviluppo di un nuovo concetto di sovranità e per la nascita dell’idea di ragion di Stato: da un lato la nozione di sovranità assoluta (del re come princeps legibus solutus) e dall’altra la convinzione che il monarca fosse tenuto al rispetto delle istituzioni fondamentali del regno. Si trattò in effetti di una restaurazione ideologica del potere monarchico, che si fondava sulla promozione della pace religiosa alla quale contribuiva l’alleanza della Chiesa gallicana con l’emergente borghesia degli uffici. L’alleanza con la Spagna di Filippo II, siglata dai Guisa, tornò invece a rinfocolare il conflitto: all’assassinio di Enrico di Guisa (1588), di cui fu mandante il sovrano, seguì quello dello stesso Enrico III. Con il nome di Enrico IV, salì al trono Enrico di Borbone (1589), leader degli ugonotti, rimasto, con la morte di Enrico III, primo erede della corona. Dopo avere riconquistato i territori francesi caduti sotto il controllo spagnolo, abiurò al calvinismo, si riconciliò con il papato a Saint-Denis (1593), venne unto re a Chartres e fece il suo ingresso trionfale a Parigi (1594). La definitiva sconfitta di Filippo II (Pace di Vervins, 1598) consentì ad Enrico di emanare a Nantes un editto di larga tolleranza (1598), un documento che sancì la concessione agli ugonotti di notevoli prerogative militari, politiche, giuridiche e religiose (custodia di circa 100 piazzeforti, tribunali speciali, libero accesso alle cariche pubbliche, alle professioni e ai mestieri, vigilata libertà di culto) e che rappresentò un efficace esperimento di relativo pluralismo confessionale. Sebbene la ratifica dell’editto sia stata anche molto tardiva da parte di alcuni Parlamenti, le disposizioni di Nantes disciplinarono per quasi un secolo (fino all’Editto di Fontainebleau, 1685) la convivenza tra le due maggiori confessioni del Paese, scongiurando una nuova stagione di lotte civili e la perdita dell’integrità territoriale.