RELIGIONE, Guerre di
Con tale qualifica si sogliono designare, in genere, i contrasti e le lotte che si susseguono nell'Europa centro-occidentale, fra stati cattolici e stati passati alla Riforma, o, nell'interno di un unico stato, fra partito cattolico e partito riformato, dalla pace di Cateau-Cambrésis (1559) e dal Concilio di Trento, sino alle paci di Vestfalia (1648): in guisa, cioè, da abbracciare con una denominazione comprensiva un secolo circa di vita europea che ha per fasi salienti le guerre interne in Francia, la lotta di Elisabetta d'Inghilterra contro Filippo II di Spagna, la rivolta dei Paesi Bassi contro la Spagna e la guerra degli Ottant'anni, la guerra dei Trent'anni.
Più specificamente, però, la designazione "guerre di religione" viene limitata alle guerre combattute in Francia fra il partito cattolico, che, in massima, sino agli ultimi anni di Enrico III è solidale con la monarchia, e il partito calvinista; e in questo caso, oltreché una limitazione spaziale, si ha anche una limitazione cronologica, non potendosi parlare di guerre di religione per il periodo successivo alla concessione, da parte di Enrico IV, dell'editto di Nantes (1598) che vuol essere appunto l'atto di pacificazione del conflitto religioso.
Già questo oscillare fra un significato più lato e comprensivo e un significato più ristretto e determinato e preciso, indica come il concetto di guerre di religione non possa essere, storicamente, un che di molto preciso. E, in realtà, al fattore schiettamente religioso di quelle lotte e contrasti si frammischiano, in varia misura, fattori politici, economici, sociali: tanto forti, talora, da far passare in secondo piano l'elemento religioso e da relegarlo a una funzione di puro "mito", ad una dichiarazione programmatica che ricopre altra merce, di altra natura. Ed è questo, per es., il caso per la lotta tra l'Inghilterra di Elisabetta e la Spagna di Filippo II, dove - specialmente forse da parte inglese - l'appello alla difesa della fede minacciata serve soprattutto da strumento per l'esplicazione di fini schiettamente politici. Se l'Inghilterra si schiera a fianco dei ribelli, nei Paesi Bassi, ciò avviene non tanto perché si avverta il bisogno di aiutare dei correligionarî minacciati dal "cattolico" re di Spagna, quanto perché si hanno ben presenti i vantaggi politico-militari che dall'indebolimento della potenza spagnola, specialmente sulle coste del Mare del Nord, possono derivare all'Inghilterra.
È nuovamente il caso per la guerra dei Trent'anni, specialmente quando alla Svezia e ai principi tedeschi luterani si affianca la Francia cattolica del cardinale di Richelieu, il quale, prima d'intervenire per salvare le "libertà" tedesche, ha piegato con la forza il partito calvinista in Francia e ne ha distrutto la potenza politica: anche qui, in primo piano è, non il dibattito religioso, ma il contrasto per l'egemonia in Europa fra la cattolica monarchia francese e i cattolici Asburgo.
Nella rivolta dei Paesi Bassi contro la Spagna, sono sì in giuoco forti passioni religiose; ma è in giuoco pure l'insofferenza contro il dominio straniero, contro la politica di accentramento monarchico di Filippo II: e lo dimostra, nel modo più evidente, l'atteggiamento di Guglielmo d'Orange che interviene dapprima per motivi puramente politici, indifferente com'è ancora alle questioni religiose, e che anche più tardi, anche dopo essere diventato assai più sensibile ai problemi della fede, cercherà di sopire i dissidî fra i Paesi Bassi cattolici e quelli riformati per stringere tutte le forze comuni - quale che sia l'atteggiamento in materia di dogma delle singole parti - per liberare la "patria". La pacificazione di Gand attesta come il fine politico - l'indipendenza dal dominio spagnolo - sia, almeno per Guglielmo d'Orange, il fine massimo.
Nella stessa Francia, la lotta è non soltanto fra calvinisti e cattolici, ma, in un primo momento, fra gruppi dell'alta e media nobiltà, che reagiscono anche qui alla politica d'accentramento monarchico, e la monarchia stessa; mentre, in un secondo tempo, appariranno le organizzazioni della borghesia calvinista del mezzogiorno francese, che vorranno non solo la libertà di coscienza in materia di fede, ma altresì grossi mutamenti d'indirizzo politico, anch'esse mirando a ribadire quell'autonomia locale e regionale minacciata, da Luigi XI in poi, dall'opera della monarchia. Tanto è vero che, proprio per la Francia, all'espressione "guerre di religione" fu sostituita, più d'una volta, a cominciare dal Davila, l'altra di "guerre civili: caratteristico alternarsi di termini, in cui si traduce la maggiore o minore importanza concessa, dagli storicì, al fattore religioso nei confronti di quello politico.
E, a lato dei motivi politici, si fanno luce anche motivi di carattere economico-sociale: come già nei primi tempi della Riforma, così anche ora nei conflitti religiosi si avverte l'eco di conflitti di altra natura, fra un ceto sociale e l'altro.
Tuttavia, nonostante quest'intrecciarsi di elementi d'altro ordine e natura, che fanno delle guerre e discordie intestine del secolo XVI e della prima metà del XVII un che di molto complesso, rimane indiscutibile non soltanto il fatto che la controversia in materia di fede, le aspirazioni a difendere la propria coscienza religiosa hanno parte grandissima nei varî sommovimenti, e ne costituiscono anzi, specialmente all'inizio, specialmente nei decennî del sec. XVI immediatamente seguenti al Concilio di Trento, la scaturigine prima, ma altresì e soprattutto questo fatto: che la questione religiosa costituisce tuttora la giustificazione teorica o dell'insurrezione in seno ad uno stato (Francia e Paesi Bassi) o, anche, della politica d'intervento di una potenza straniera nei conflitti interni di uno stato, intervento motivato, sempre, dalla necessità di aiutare i correligionarî oppressi (Elisabetta d'Inghilterra e gli accordi con i calvinisti francesi e i ribelli dei Paesi Bassi; Filippo II e la Lega cattolica in Francia dopo il 1585; Gustavo Adolfo e i protestanti tedeschi); che, dunque, essa questione ha ancora tanta forza di attrazione, tanto fascino da poter servire da parola d'ordine, da bandiera di raccolta attorno a cui convogliare le passioni e le energie delle moltitudini. Di quelle moltitudini per le quali la disputa sulla giustificazione per la fede perde il suo mero carattere teologico-dottrinale, per divenire motivo passionale di tanta forza che per esso si affrontano il martirio e la morte. E se a un Antonio di Borbone o a un Luigi di Condé, capi del partito calvinista francese, o anche a un Francesco di Guisa, animatore del partito cattolico, poco importa, in realtà, la salvezza dell'anima, e molto importa l'acquisto di potere politico, dietro a loro sono, in folla, nei due campi opposti, e nobili minori, e, soprattutto, piccoli borghesi, contadini, operai, per i quali invece quello che conta è precisamente la difesa della parola di Dio, la salvezza della propria anima. Fra gli stessi capi, d'altronde, non tutti agiscono per puro calcolo politico: a lato del Borbone e del Condé c'è, in campo calvinista, in Francia, un Gaspard de Coligny, ben fermo nella propria fede, e, nel campo cattolico, un Anne de Montmorency che spezza anche i vincoli familiari (con gli Châtillon, calvinisti), e s'allea con i Guisa, rivali politici, per difendere, da rude soldato, la fede sua e dei suoi avi.
In realtà, in questo periodo, per l'ultima volta nella storia dell'Europa la disputa sulla fede fu ancora nel centro della vita dei popoli: tutte le interferenze politiche ed economiche non poterono impedire che la parola d'ordine fosse ancora quella della difesa della fede degli avi o dei diritti della nuova coscienza religiosa, che l'ideale a cui si faceva appello, per sommuovere le moltitudini, da parte anche dei più scettici fra gli uomini di stato, fosse l'ideale religioso.
Il principio dell'unità religiosa in seno ad una nazione, che ha per logica conseguenza il corollario della lotta ad oltranza contro gli eretici, è principio propugnato, da parte cattolica, negli scritti e nei discorsi, bandito dal pulpito, sancito, particolarmente in Spagna, dall'azione di governo: e ne convengono, nei paesi dove sono maggioranza, anche i riformati, pronti a chiedere libertà di coscienza là dove sono meno forti (Francia), altrettanto pronti ad opprimere a loro volta i cattolici là dove la forza è dalla parte loro (Inghilterra e Paesi Bassi). Il principio della tolleranza religiosa è ancora aspirazione di ristretti gruppi e non gode del favore popolare: invece domina l'accanimento contro il seguace della "falsa" i religione, e si hanno quelle violenze contro uomini e cose che contrassegnano l'agire tanto dei cattolici quanto dei riformati: le furie contro i sacerdoti, le furie iconoclastiche dei riformati francesi o olandesi, e i massacri di "eretici" sul tipo di quello, celeberrimo, della notte di San Bartolomeo.
La quale notte di S. Bartolomeo, è, precisamente, l'esempio tipico di come, pur con l'interferenza di motivi politici, il tono della lotta sia dato dalla passione religiosa: se Caterina de' Medici, a cui poco importa la questione religiosa in sé, si decide a far assassinare i capi del partito ugonotto in base a considerazioni prettamente politiche (v. caterina de' medici), il popolo di Parigi si dà invece alla caccia dell'"eretico".
Ma proprio la violenza della lotta, lo scatenarsi di passioni che non si placano se non nella distruzione dell'avversario, la constatazione dei danni enormi che ne derivano a tutta la vita della nazione, proprio questi fatti determinano, nei paesi che sono travagliati all'interno dalla crisi religiosa e, nonché servirsi del motivo religioso per lo svolgimento di una accorta politica estera, si vedono controllati da altre nazioni col pretesto della questione di fede, il sorgere di un atteggiamento, d'animo e di pensiero, che preannunzia e prepara la fine delle "guerre di religione". Questo nuovo atteggiamento si compendia nel porre il principio nazionale al disopra del principio religioso; nel sacrificare l'unità della fede all'unità nazionale. Ed è un atteggiamento d'importanza grandissima, nella storia europea, perché con esso si esprime, nettamente e chiaramente, che il nuovo principio a cui ci si deve ispirare nella vita pubblica non è più il principio religioso, bensì il principio politico-nazionale che ha preso definitivamente il sopravvento (e perciò dunque, i sostenitori della pace interna, a scapito dell'unità religiosa, sono, anche se antimachiavellisti nella forma come il Bodin, in realtà diretti prosecutori della dottrina del Machiavelli, cioè della primazia del problema politico su ogni altro).
Coloro che esprimono le nuove idee sono, e con molta precisione di termini, definiti i "politici": ed ecco in Francia costituirsi un vero e proprio partito dei politiques i quali propugnano la fine delle lotte confessionali per ridare pace e vigore al paese che pare avviarsi a rovina per effetto delle contese religiose. È un partito costituito da gente di varia provenienza, cattolici e ugonotti convinti sì della loro fede, ma ora troppo preoccupati dei danni che alla nazione francese derivano dalla intransigenza religiosa; nobili e borghesi, uomini d'azione e pensatori; e, come già era successo per gli altri due grandi partiti, dei cattolici e degli ugonotti, ai sinceramente convinti si frammischiano uomini che cercano soprattutto di valersi di questo nuovo aggruppamento che si viene costituendo per raggiungere proprî scopi personali, soddisfare proprie ambizioni. Tale il caso del capo ufficiale dei "politici", Francesco di Valois, duca di Alençon, poi di Angiò, fratello minore dei re Carlo IX ed Enrico III, tutto intento a crearsi una situazione personale.
Ma nonostante tutte le infiltrazioni di dubbia lega, il movimento è vitale e finisce col trionfare. L'epilogo delle guerre di religione, la conversione cioè di Enrico IV e poi l'editto di Nantes, rappresentano infatti la vittoria dei "politici": vittoria favorita poi dal fatto che, intervenendo troppo apertamente e direttamente nelle contese interne della Francia, a partire dal penultimo decennio del secolo, e prospettando così il pericolo di un appena larvato predominio straniero come sbocco delle contese religiose, la Spagna, alleata o meglio tutrice della Lega cattolica, ha reso più forte e profonda la reazione del senso nazionale e favorito l'intesa fra gli elementi moderati del partito cattolico e del partito ugonotto.
Nella Satyre Menippée. De la vertu du Catholicon d'Espagne (1594), il più celebre dei molti pamphlets che circolarono in terra di Francia in quel periodo, si ha precisamente lo smascheramento vivacissimo degli interessi politici - antifrancesi - che si celavano sotto il manto religioso.
Come epilogo di un mezzo secolo di lotte cruente, incardinate sul principio religioso, si perviene dunque all'idea di tolleranza religiosa: vale a dire al ripudio di quel principio per cui si è a lungo battagliato.
La tolleranza che così si afferma non è ancora determinata da quei motivi che poi saranno a base del principio di tolleranza bandito dall'illuminismo: cioè non ci si decide a lasciar vivere l'uomo di altra fede in base a criterî dottrinali e morali, che consistono sostanzialmente nel non riconoscere più il valore assoluto di "una" religione positiva e nel porre tutte le religioni positive su uno stesso piano di valore, nel richiedere quindi la tolleranza in quanto si sminuisce di gran parte della sua importanza la religione costituita; bensì, pur dando ancora valore assoluto alla propria credenza, si ammette la possibilità di convivenza con uomini di altra fede, perché si concede che il principio dell'unità e della pace nazionale dev'essere ormai anteposto al principio dell'unità della fede. Non dunque ispirata a motivi ideologici, ma a criterî schiettamente e meramente politico-pratici, la tolleranza che s'istaura dalla fine del sec. XVI in Francia, è, nella sua essenza, un che di assai diverso dalla tolleranza dei deisti inglesi dell'inizio del sec. XVIII: e le eccezioni ch'è possibile rinvenire (per es., quella di un Bodin, il cui concetto di tolleranza, ribadito nell'Heptaplomeres, è nutrito precisamente di un alto senso speculativo) contrastano talmente con l'atteggiamento e lo spirito degli altri "tolleranti" da far percepire immediatamente il carattere empirico, politico, della tolleranza che viene sancita negli editti sovrani.
Con gli ultimi anni del sec. XVI si poteva quindi considerare chiuso, per la Francia, il periodo delle guerre di religione. L'azione del cardinale di Richelieu contro il partito calvinista, nel terzo decennio del sec. XVII, doveva infatti essere rivolta non contro i calvinisti, come credenti in una religione diversa da quella ufficiale, bensì contro un partito politico, che per la sua organizzazione aveva finito col costituire uno stato nello stato e, pertanto, rappresentava un pericolo per l'unità "politica" (non più religiosa) della Francia.
Non chiuso invece era il periodo delle lotte di religione per la Germania. Se la pace di Augusta del 1555 sembrava avere creato il modus vivendi fra i partigiani della Riforma e del cattolicismo, in realtà la situazione s'era nuovamente fatta assai tesa, specialmente dopo il 1570, dopo cioè che la Controriforma cattolica aveva cominciato, spalleggiata soprattutto dal duca Alberto V di Baviera, la sua vigorosa controffensiva anche verso la Germania centrosettentrionale.
La cosiddetta guerra di Colonia, contro l'arcivescovo Gebhard Truchsess passato al luteranesimo, nel 1582-84, attestava come la situazione interna tedesca fosse incertissima; e proprio all'inizio del sec. XVII le cose precipitavano: non senza notevoli analogie con la situazione francese di mezzo secolo prima, sorgevano, in contrapposizione l'una con l'altra, l'Unione protestante (maggio 1608), e la Lega cattolica (v. lega) nel luglio 1609; e, anche qui con procedimento simile a quello già attuato dai calvinisti e dai cattolici francesi, i due partiti cercavano alleanza fuori patria, l'Unione con la Francia specialmente, la Lega con gli Asburgo. Poco più tardi s'iniziava quella guerra dei Trent'anni nella quale il problema religioso tedesco doveva riaffiorare apertamente, pur framezzo al cozzo di interessi politici internazionali che dovevano trasformare la questione puramente germanica in una competizione generale europea (v. trent'anni, guerra dei).
E precisamente lo svolgersi degli eventi durante la lunga contesa è caratteristico di come i motivi religiosi s'intreccino con quelli politici e ne siano a mano a mano soggiogati. Lotta per la libertà del protestantesimo tedesco, apparve dapprima la guerra: lotta che avrebbe potuto essere mortale per le sorti della Riforma in Germania, come dimostrava l'editto di Restituzione del 1629, nel momento cioè di assoluta prevalenza degli Asburgo cattolici. Ma già dall'intervento di Gustavo Adolfo di Svezia la contesa cominciava ad assumere più deciso colorito politico; poi, da quando la Francia cattolica si fu schierata a fianco dei principi protestanti tedeschi contro i cattolici Asburgo, la guerra acquistò carattere schiettamente e puramente politico e il motivo religioso divenne soprattutto pretesto, non fine della contesa. Così si rivelava con la massima chiarezza quel che, seppure meno apertamente, era stato insito anche nelle altre guerre di religione, in Francia come nei Paesi Bassi: e cioè, che la contesa per questioni anzitutto, se pur non esclusivamente, religiose poteva nascere nell'interno di uno stato, fra i credenti di due confessioni diverse; ma che, non appena l'azione dei due partiti avesse avuto ripercussioni all'estero e da fatto puramente interno fosse divenuta questione di rapporti internazionali, fatalmente il momento meramente politico avrebbe assunto la prevalenza, sino a relegare il momento religioso a funzione di mito. Ciò che confermava come ormai nei rapporti internazionali, nella politica estera dei grandi stati europei, quello che aveva valore era il principio dell'interesse statale, il dogma della ragion di stato, ad esclusione degli antichi ideali di cristianità, lotta per la fede, ecc., ora in pieno tramonto.
Proprio durante la guerra dei Trent'anni l'idea della difesa della fede fece le sue ultime prove, nel continente europeo (in Inghilterra veniva, per coonestare la propria politica, ripresa dal Cromwell, che faceva appello alla "missione" divina dell'Inghilterra); proprio allora la politica d'intervento negli affari interni di un paese straniero poté ancora essere motivata (Gustavo Adolfo) col principio della difesa dei correligionarî minacciati. Dopo la pace di Vestfalia, la lotta fra le grandi potenze europee sarà impostata, con sempre maggiore chiarezza, anche ideologicamente, su fattori prettamente politici e, in progresso di tempo, anche economici (l'economia sarà il nuovo fattore che sostituirà quello religioso, nell'intreccio con l'elemento politico; l'appello alla necessità di salvaguardare il proprio commercio, ecc., sostituirà, dall'inizio del sec. XVIII, il più antico appello alla necessità di difendere la religione comune).
Qualche sprazzo di carattere religioso si avrà ancora, sulla fine del sec. XVII, ad opera dei calvinisti francesi che, oppressi da Luigi XIV, cercheranno di suscitare in Olanda, nel Brandeburgo, in Inghilterra, una nuova crociata dei principi protestanti contro il re di Francia: nelle Plaintes des protestans cruellement opprimés dans le royaume de France del Claude, nelle Lettres des protestans de France... aux rois, électeurs, princes et magistrats protestants di C. Brousson, negli scritti del Jurieu ritorna lo spirito dei pamphlets religiosi del sec. XVI. Ma il totale insuccesso pratico dei tentativi fatti dagli esuli calvinisti per far inserire, al momento della pace di Ryswyk, tra le varie questioni anche la questione religiosa, era abbastanza chiaro indice che a quel ritorno i tempi erano ormai irrimediabilmente contrarî.
E invece, si diffonde e acquista sempre maggiore rilievo il concetto di tolleranza religiosa: questa volta, elaborato non più in base a criterî di pura convenienza politica, bensì sulla base di tutto un nuovo modo d'intuire il mondo e la vita, che costituisce il pensiero dell'illuminismo.
Bibl.: Per le trattazioni specifiche sulla storia del periodo delle guerre di religione nei varî paesi, si rinvia agli articoli relativi (francia; germania; paesi bassi; trent'anni, guerra dei). Qui importa solo mettere in rilievo che il momento politico delle guerre interne della Francia è stato primamente accentuato - eccessivamente anzi - nell'opera classica di A. C. Davila, Historia delle guerre civili di Francia, Venezia 1630; è stato generalmente il momento più sottolineato della critica moderna (cfr. i lavori di J. Loutchizki, Documents inédits pour servir à l'hist. de la Réforme et de la Ligue, Parigi 1875, e anche Doc. inédits sur l'hist. du Languedoc et de la Rochelle après la Saint-Barthélemy [1572-1574], ivi 1873; le guerre religiose rappresentano la reazione feudale contro la centralizzazione monarchica) ed è nuovamente accentuato nei lavori recenti e assai importanti di L. Romier, sulle origini del conflitto in Francia (Les origines politiques des guerres de religion, voll. 2, Parigi 1913; Le royaume de Cathérine de Médicis, voll. 2, ivi 1922; La conjuration d'Amboise, ivi 1923; Catholiques et Huguenots à la cour de Charles IX, ivi 1924).
Sul momento religioso hanno invece naturalmente insistito con particolare accento gli storici protestanti, a cominciare da Agrippa d'Aubigné, Histoire universelle, Maillé 1616-20; cfr. J. Vienot, Histoire de la Réforme française, voll. 2, Parigi 1926-1934. Buone considerazioni generali sono in H. Hauser, Les sources de l'histoire de France, III, Les guerres de religion, Parigi 1912.