indiane, guerre
Conflitti militari che contrapposero i popoli autoctoni dell’America Settentrionale alle autorità coloniali europee e agli Stati nordamericani. Pur essendo strumento di un parziale genocidio dei nativi, non possono essere considerate uno scontro razziale tra bianchi e indigeni perché gli schieramenti collocarono a lungo componenti dei due gruppi su entrambi i fronti. A partire dalla guerra del 1636-37, con cui i puritani del Massachusetts e i loro alleati mohawk sbaragliarono i pequot, i coloni si inserirono nelle contese tra le tribù di nativi e gli autoctoni presero parte alla lotta tra gli imperi europei per il controllo dell’America Settentrionale. In particolare, le vicende nordamericane della guerra dei Sette anni (1754-63) videro combattere, da un lato, la Gran Bretagna e la confederazione degli irochesi e, dall’altro, la Francia, la Spagna e numerose nazioni autoctone. L’eliminazione della presenza francese dopo la vittoria britannica precluse ai nativi ulteriori occasioni di sfruttare le rivalità tra le potenze europee per contenerne l’espansione e arginare la violazione dei trattati sottoscritti. Il timore di tali inadempienze indusse nel 1763 gli ottawa a distruggere tutti gli avamposti inglesi a O del Niagara eccetto Detroit. Una nuova possibilità emerse, però, con l’indipendenza statunitense. Il capo degli shawnee, Tecumseh, tentò di creare nell’Indiana un territorio cuscinetto tra gli Stati Uniti e il Canada britannico, ma fu sconfitto a Tippecanoe nel 1811 e ucciso nella battaglia del Thames nel 1813, durante la guerra anglo-statunitense in cui egli stesso fu alleato degli inglesi. Un’altra tribù che appoggiò la Gran Bretagna nel conflitto, i creek, fu annientata a Horseshoe Bend nel 1814. Con questa sconfitta i nativi cessarono di essere una minaccia militare per gli Stati Uniti a E del Mississippi e la rimozione degli autoctoni al di là del fiume suscitò solo episodi sporadici di resistenza armata, come la guerra di Falco Nero (1832) e la più cruenta guerra dei seminole (1835-42). Lo rimasero, invece, a O del Mississippi, dove durante la guerra civile si riaccesero i conflitti contro i sioux (1862 e 1864-65) e i cheyenne (1864). La messa in sicurezza delle Grandi Pianure a garanzia degli agricoltori e delle costruzioni ferroviarie portò il governo a raggruppare gli autoctoni nelle riserve delle Black Hills e dell’od. Oklahoma. Tuttavia la scoperta di oro nelle Black Hills causò un’altra guerra con i sioux nel 1876, conclusasi con la resa dei capi Cavallo Pazzo e Toro Seduto per fame malgrado la vittoria sulle forze del colonnello George A. Custer a Little Big Horn. L’anno dopo furono sconfitti anche i nez percé di Capo Giuseppe. Con la cattura del capo degli apache Geronimo nel 1886 le guerre i. poterono dirsi concluse, anche se l’ultimo episodio cruento fu l’eccidio di circa 300 sioux a Wounded Knee nel 1890. Conflitti con i nativi caratterizzarono anche il Messico, ma la cessione di territori agli Stati Uniti dopo la guerra del 1846-48 trasferì a questi ultimi il problema di affrontare le tribù che vi risiedevano, come gli apache. Un’ultima manifestazione fu la campagna contro gli yaqui alla fine del sec. 19°. Invece, la politica più liberale verso gli autoctoni e il ritmo meno sostenuto dell’espansione continentale evitò al Canada guerre con i nativi di portata analoga a quelle degli Stati Uniti, sebbene non siano mancati scontri sanguinosi come le ribellioni dei métis (1869-70, 1885).