BORGARELLI, Guglielmo
Nacque a Cambiano, presso Torino, il 12 dic. 1752, da Giovanni Antonio e da Teresa De Villa, in una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Laureatosi in legge nel 1776, si dedicò all'attività di avvocato, e poi a quella di magistrato, divenendo il 3 luglio 1786 sostituto avvocato generale, e nell'agosto 1797 senatore di Piemonte. Occupato il Piemonte dai Francesi, fu nominato membro del tribunale civile dell'Eridano; sopravvenute le truppe austrorusse, riprese il posto di senatore. Ripristinato il dominio francese in Piemonte, il B., a causa dei suoi sentimenti di fedeltà al re di Sardegna, dovette ben presto lasciare la carica, divenendo precettore di una famiglia nobile. Più tardi svolse attività di opposizione antinapoleonica.
Nel 1811, infatti, al seguito del conte piemontese Vittorio Amedeo Sallier de la Tour, e nell'ambito dell'attività di propaganda antifrancese che questi andava svolgendo nei Balcani, il B. ebbe parte nel piano diretto a suscitare in questa regione un moto militare contro i Francesi.
Il piano si fondava su accordi fra l'arciduca d'Austria Francesco che, dopo la stipulazione dell'alleanza franco-austriaca, capeggiava il partito antifrancese - e di cui sembra che il Sallier de la Tour fosse l'aiutante di campo e il plenipotenziario -, il metropolita del Montenegro, il pascià di Scutari e il principe dei Maraditi, e si proponeva di cacciare i Francesi dalla Dalmazia, d'invadere la zona delle Bocche di Cattaro e Ragusa, e d'estendere il moto rivoluzionario in Italia. Nell'ambito di questo progetto, a cui aveva aderito, da Cagliari, anche il re di Sardegna Vittorio Emanuele I, il B. si recò nello stesso 1911 in Macedonia e a Malta: nel frattempo il Sallier de la Tour era passato al servizio dell'Inghilterra.
Nel 1813 il nome del B. appare in un documento intitolato Nota di persone disposte a dirigere e sostenere sollevazioni contro i francesi in diverse città d'Italia (Gallavresi, Le Maréchal Sallier de la Tour, pp. 369-375), redatto a Palermo da un agente del Sallier de la Tour. Il progetto cui il documento faceva riferimento prevedeva anche che il B., come presidente del Senato, sarebbe stato fra i capi del Consiglio provvisorio formatosi dopo l'esito vittorioso dell'insurrezione in Piemonte. Sopravvenuta la Restaurazione, il B. riprese la carica di senatore; nel giugno 1814 fu nominato reggente l'ufficio dell'avvocato generale di Torino, nel settembre avvocato generale, nel novembre presidente di classe nel Senato. Nel dicembre del 1815, per la fedeltà mostrata al regime sabaudo durante il periodo rivoluzionario e napoleonico, ebbe dal re il titolo di conte. Il 25 dicembre, dimessosi il conte Vidua, fu nominato prima reggente del ministero dell'Interno, poi titolare nell'ottobre dell'anno successivo.
Durante il periodo in cui fu ministro dell'Interno il B. fu uno dei più cospicui esponenti della tendenza prevalente nel ceto dirigente subalpino a una massiccia restaurazione del vecchio ordine di cose, a una lotta a oltranza contro idee, e istituzioni del periodo della Rivoluzione e dell'Impero.
Egli, che a queste convinzioni politiche rigidamente retrive univa una grave incompetenza tecnica, fu responsabile di pesanti interventi del potere esecutivo nell'ordinamento giudiziario, destituendo magistrati che avevano esercitato le loro funzioni durante il passato regime, annullando ingiustificatamente atti compiuti nell'ambito della precedente legislazione, prescrivendo la revisione di cause già giudicate, sottraendone altre alla giurisdizione ordinaria, modificando arbitrariamente contratti a favore di privati, accordando proroghe di pagamenti a debitori di riguardo. Un editto del 18 nov. 1817rendeva nuovamente possibili i fidecommessi e le primogeniture, mentre il B. si professava ostile financo a ristabilire il napoleonico istituto della pubblicità delle ipoteche. Rigide furono anche le disposizioni sulla censura sulla stampa emanate nel 1816, che colpivano perfino pubblicazioni riferentisi ad atti del passato governo. D'altra parte però, a tutela dello Stato, il B. mantenne in vigore e fece osservare i controlli di tipo giurisdizionalistico sugli atti dei vescovi e sulle loro comunicazioni con la S. Sede. Egli non riuscì inoltre a eliminare, al ministero dell'Interno, il traffico dei pubblici impieghi a opera di sensali che si reclutavano fra i vecchi cortigiani. Per il peso avuto nel creare il clima di soffocante reazione caratteristico dei primi anni della Restaurazione in Piemonte, il B. fu oggetto di giudizi negativi da parte di diversi contemporanei come il Sauli d'Igliano, lo Sclopis, il Brofferio, e fu particolarmente preso di mira dagli attacchi che il giurista liberale Ferdinando Dal Pozzo, tenuto in disparte perché era stato presidente della Corte di Genova durante il periodo napoleonico, mosse agli uomini politici subalpini nei sette Opuscoli di un avvocato milanese originario piemontese, pubblicati a Milano anonimi fra il 1817 e il 1819, e di cui il B. vietò la circolazione in Piemonte.
Ma dove l'ottusità conservatrice e l'incompetenza del B. risaltarono maggiormente ed ebbero le più gravi conseguenze per la vita piemontese di quegli anni, fu nel campo economico e finanziario. Egli si oppose a lungo alla prevista separazione del ministero dell'Interno da quello delle Finanze, che sarebbe stato poi assegnato al Brignole. Di fronte alla minaccia di una carestia che, a causa degli scarsi raccolti degli anni precedenti, delle guerre e dell'occupazione austriaca, si profilava già nel 1815, il B. non seppe far di meglio che rafforzare ulteriormente il regime vincolistico e proibizionistico, che oltre ai dazi esterni prevedeva barriere doganali fra le varie parti del Regno di Sardegna, il Piemonte, la Liguria, la Savoia e il Nizzardo, tali da provocare una vera paralisi del commercio interno. La proibizione di esportare grani dal Piemonte, stabilita nel 1815, fu ribadita dall'editto del 3 genn. 1816, che disponeva inoltre l'ammasso obbligatorio dei grani, comminando pene severe ai contravventori. L'assoluta incapacità di rendere operante l'editto costrinse il B. a farne emanare nel corso dell'anno diversi altri, che prorogavano volta a volta i termini di consegna, con il risultato di provocare accaparramenti, contrabbando e l'aumento del prezzo del pane. Nel settembre 1816 si prescrisse anche il divieto di esportazione dalle singole province dello Stato di riso, patate e fagioli. Tutte queste misure, che impedivano la libera circolazione nello Stato dei generi di prima necessità, favorirono l'insorgere nel 1816della carestia, che colpì particolarmente la Liguria e la Savoia, impedite di rifornirsi sufficientemente di generi alimentari dal più produttivo Piemonte e dall'esterno. Alle deleterie misure annonarie il B. aggiunse, il 17 sett. 1816, un editto che dichiarava rescissi gli affitti agrari delle terre coltivate a riso o a grano superiori a una determinata cifra, al fine illusorio di diminuire il prezzo dei prodotti agricoli sul mercato, e che provocò invece l'allontanamento dei capitali dalla terra e un clima di sfiducia nei contratti, e contribuì ad aggravare la stasi commerciale e industriale. Il B. resisteva a tutte le richieste di ridurre le barriere doganali interne ed esterne, mentre la carestia provocava un'alta mortalità in Liguria e in Savoia. In quest'ultima regione, anzi, egli giunse al punto di sciogliere un'associazione promossa dal governatore e dal vescovo di Chambéry per venire in soccorso degli indigenti nel timore che potesse apparire come una società giacobina. Genova e la Liguria, in particolare, rischiavano di vedere completamente soffocata la loro vita economica. Di fronte alla grave situazione che si era creata, il sovrano intervenne allora direttamente, autorizzando spedizioni straordinarie di grani dal Piemonte alla Liguria, e poi istituendo, il 22 nov. 1816, una commissione permanente d'annona, con diramazioni nelle province, presieduta dal Borgarelli.
Questa commissione aveva il compito di elaborare un piano straordinario per assicurare il vettovagliamento di tutte le regioni dello Stato, per avviare, a sollievo della disoccupazione, lavori pubblici, e per proporre il reperimento dei mezzi necessari a far fronte a queste spese. Per finanziare i lavori pubblici e acquistare grani all'estero, allo scopo di combattere la carestia e l'alto prezzo del pane, si ricorse, il 3 dic. 1816, a un prestito di sei milioni. Vistone l'insuccesso, il 31 dicembre esso fu reso obbligatorio. La nuova misura vessatoria, accompagnata da pressioni e ricatti, accentuò la sfiducia nel governo, e portò a nuove fughe di capitali. Alla fine, per la pressione del re e di alcuni ministri, si giunse, nel novembre 1817, nonostante la tenace opposizione del B., all'abolizione dei divieti di esportazione dal Piemonte di riso, patate e fagioli; nel marzo 1818, poi, si giunse all'abolizione delle dogane fra il Piemonte e la Liguria (compensata tuttavia dalle accresciute tariffe imposte alle navi straniere allo scalo di Genova) e alla libera circolazione dei grani nello Stato sardo. La politica economico-finanziaria del B., ispirata solamente e ciecamente da fini fiscali, veniva così, almeno in parte, sconfessata. Il suo ritiro dal dicastero dell'Interno era a questo punto inevitabile, e avvenne alla fine del 1818. L'atto più importante del suo ministero resta il regio editto del 10 novembre che, sul modello francese, stabiliva la ripartizione amministrativa dello Stato in divisioni, province, mandamenti e comunità.
Allontanato dal governo e nominato nel dicembre 1818 presidente del Senato di Piemonte, il B. restò fra i più combattivi esponenti del partito che si opponeva ai tentativi di riforma progettati da Prospero Balbo. Istituita da questo nel 1820 una giunta superiore di legislazione, con il compito di approntare una riforma dell'ordinamento giudiziario fondata fra l'altro sulla inamovibilità dei giudici e sui diritti della difesa, e proseguita la discussione in alcune commissioni appositamente nominate, in quella formata da magistrati il B. si oppose accanitamente a qualsiasi proposta di mutamenti. Le incertezze del Balbo permisero il rafforzarsi dell'opposizione, che si coagulò in gran parte, in quei mesi, attorno al B., il quale trovava appoggi negli ambienti dei magistrati, a corte e forse presso la stessa regina Maria Teresa. L'ultimo giorno di dicembre 1820, nel corso della tradizionale presentazione al re degli auguri per il nuovo anno, il B., alla testa del Senato di Piemonte, pronunziò un aspro discorso, attaccando i propositi di coloro che, a suo dire, intendevano intaccare l'antico patrimonio legislativo con novità pericolose per la vita dello Stato e della monarchia. Il discorso del B. suscitò larga eco, e segnò il momento di più acuta tensione fra il partito del Balbo e quello assolutamente contrario alle riforme; ma lo scontro tra di loro non avvenne, e la debolezza di cui dette prova il partito delle riforme contribuì a creare il clima in cui, qualche mese dopo, doveva scoppiare la rivoluzione. All'indomani del discorso del B. il Balbo fu sul punto di dimettersi, ma si accontentò poi dell'esclusione del B. dalla commissione di magistrati che doveva discutere le riforme. Dopo la rivoluzione del 1821, introdotto qualche mutamento nell'ordinamento della magistratura, nel dicembre 1822 il B. si ritirò dalla carica di presidente del Senato, ottenendo il titolo di ministro di Stato. Secondo il noto rivoluzionario e avventuriero Johannes Wit von Dörring, il B. in una data imprecisata sarebbe succeduto a Joseph de Maistre come capo per il Piemonte della setta cattolico-reazionaria e antiaustriaca dei concistoriali: la notizia non trova conferma in altre fonti.
Messo dopo il 1822 al margini della vita politica, il B. morì a Torino il 6 gennaio del 1830.
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