CAPODIFERRO, Guglielmo (Guglielmo di San Vittore)
Nacque - ignoriamo esattamente in quale anno - nell'ultimo ventennio del sec. XIII a San Vittore, un castrum presso Cassino; e da quest'ultimo trasse il nome con cui è maggiormente noto nella letteratura storiografica. Non siamo informati, per il silenzio delle fonti a noi note, né sulla sua famiglia, né sulle vicende dei suoi primi anni e della sua formazione culturale; sappiamo, tuttavia, che già nel 1310 ricopriva la carica di "scrittore" presso la Curia papale ad Avignone. Da un documento del 17 giugno di quell'anno risulta che Guglielmo, nella sua veste di canonico della Chiesa di Chieti, aveva denunciato al pontefice Clemente V l'elezione irregolare di Goffredo di Galluzio quale vescovo teatino. In un documento dell'anno successivo (1311) egli compare quale titolare di un canonicato della Chiesa di Agrigento. La morte di papa Clemente V non interruppe la carriera curiale del C.; anzi, sotto il pontificato di Giovanni XXII egli ricevette numerose prove della benevolenza papale e il suo nome figurò sempre più spesso nei documenti di cancelleria. Nel 1316 era arcidiacono della Chiesa di Aquino e, nel 1317, gli veniva conferito l'abbaziato nel monastero secolare di S. Pietro di Laureto, nonostante egli godesse ormai di numerosi benefici nelle diocesi di Agrigento, di Palermo, di Chieti e in Terra di Lavoro. La fortuna del C. fu condivisa, a quanto risulta, da altre persone che dovevano appartenere alla sua stessa famiglia o essere, almeno, originarie della sua stessa terra. Quando egli, dopo la nomina ad abate del monastero di S. Pietro di Laureto, dovette rinunciare al titolo di arcidiacono della Chiesa di Aquino, al suo posto fu nominato un Nicola Capodiferro di San Vittore. Nel 1319 un fratello del C., Raimondo, che risiedeva ad Avignone pur essendo abate del monastero di S. Sebastiano a Napoli, ottenne da Giovanni XXII di essere liberato dai "gravami" imposti al monastero dal vescovo Umberto di Napoli, il quale contestava a Raimondo il diritto di guidare per mezzo di procuratori la comunità monastica affidatagli. Nel documento papale viene detto espressamente che si agisce per intercessione del Capodiferro. Questi, nel 1318, iniziò le pratiche per la permuta della abbazia di S. Pietro di Laureto contro la prepositura di S. Pietro di Foresta. Lo scambio presentò delle difficoltà e il C. dovette anche affrontare una causa per dimostrare di aver agito in conformità con le leggi canoniche e provare la assoluta regolarità della sua posizione. Il 28 giugno 1321 suo fratello Raimondo divenne vescovo di Adria e Penne, dopo che il C., che'era stato eletto dal capitolo di Adria, aveva rinunciato alla carica.
Le prove del favore papale si moltiplicarono: l'11 luglio 1321 il C, unico nominato fra gli "scrittori" del papa, era presente, insieme con alcuni cardinali, all'udienza pontificia in cui Bertrand de Got si impegnò a restituire alla Camera apostolica la metà dei 300.000 fiorini d'oro che aveva ricevuto da papa Clemente V. Nello stesso anno 1321 venne incaricato, insieme con il vescovo di Catania e con l'abate del monastero della SS. Trinità di Mileto, di riportare la pace fra il re Roberto di Napoli e la Chiesa di Cosenza in dissidio per il possesso del castello di S. Liceto Calabro. Nel 1323 i benefici del C. vennero esentati dalla giurisdizione di Oddone, patriarca di Alessandria, amministratore della diocesi di Cassino. Ai benefici italiani se ne aggiunsero altri: nel 1324, un beneficio a Wambeke, nella diocesi di Cambrai, che rendeva 60 lire tornesi all'anno.
Nel novembre del 1324 il capitolo di Adria lo prescelse di nuovo quale vescovo. Tuttavia neanche questa volta il C. occupò la cattedra vescovile; per ben due volte (nel febbraio e nel dicembre 1325) il papa gli concesse di procrastinare la cerimonia della consacrazione, ma gli accordò nel contempo di fruire intanto integralmente dei proventi di tutti i benefici di cui era titolare poiché il reddito della sua diocesi non gli consentiva di mantenersi "iuxta sui status decentiam". Analoghe preoccupazioni finanziarie lo indussero, con ogni probabilità, a rinunciare all'episcopato il 13 marzo 1326, esattamente tre giorni dopo essere stato nominato cappellano del papa. Nel luglio del 1328 il C. ricevette numerosi altri benefici per un valore complessivo di 18 once d'oro, nonostante fruisse già di un reddito di oltre 80 once d'oro. Un altro piccolo beneficio (del valore di 3 once) gli venne conferito nel dicembre del 1328. A tutti i suoi numerosi benefici, ad eccezione di quelli siciliani, i cui proventi non incassava da anni, dovette tuttavia rinunciare nell'ottobre del 1329, quando venne prescelto quale tesoriere della chiesa di S. Martino di Tours dotata di ricche rendite. Ormai le sue sostanze dovevano essere cospicue e il favore di Giovanni XXII nei suoi confronti si manifestò nuovamente, quando il pontefice gli rinnovò (11 settembre 1330) la facoltà di disporre dei propri beni per testamento.
Altri benefici Gugliemo ottenne da Benedetto XII che, nel 1339, intervenne anche presso il vescovo di Cassino affinché questi costringesse tal Bartolomeo Plumbate a render conto dei benefici - soprattutto siciliani - del C., i cui proventi non erano entrati in possesso del titolare per molti anni, procurandogli un danno di circa 12.000 fiorini. Al C., insieme al vescovo di Lubecca e al preposto di S. Giorgio di Stade, venne affidata l'esecuzione della sentenza definitiva per l'assegnazione del vescovato di Hildesheim. Il 17 marzo 1340 venne eletto vescovo di Chieti e questa volta accettò. Venne consacrato da Bertrando, vescovo di Ostia e Velletri e il 23 luglio 1340 ricevette il permesso di abbandonare la Curia, dove aveva lavorato per non meno di trent'anni. Anche dopo l'inizio del suo ministero pastorale il C. continuò ad esercitare una certa influenza nella Curia papale se, nel marzo 1341, quando venne compilata la lista dei nuovi "tabellioni" pontifici, due nomi vennero lasciati in bianco affinché il C. potesse sceglierli personalmente. Nuova dimostrazione della fiducia che il papa riponeva in lui si ebbe quando fu scelto per svolgere una delicata indagine sulle eventuali interferenze del re di Napoli Roberto d'Angiò nella elezione a vescovo di Aversa di Giovanni Mathoni, cantore della chiesa di S. Nicola di Bari. Le risultanze dell'inchiesta munite del sigillo episcopale del C. avrebbero dovuto essere spedite ad Avignone nella massima segretezza. Non sappiamo, per il silenzio delle fonti, come questa vicenda si sia conclusa. Secondo l'Ughelli - ma ignoriamo da chi egli tragga queste notizie - il C. avrebbe saputo guadagnarsi anche la fiducia di re Roberto di cui sarebbe diventato "familiaris et consiliarius"; né avrebbe dimenticato i membri della sua famiglia se nominò quale suo vicario un nipote, Pietro Capodiferro di San Vittore, canonico della Chiesa teatina.
L'azione pastorale intrapresa dal nuovo vescovo incontrò tuttavia seri ostacoli nell'opposizione di alcuni signori locali. La situazione interna della diocesi si fece col volger degli anni sempre più tesa, finché il C. dovette abbandonare la sua sede legittima, dopo aver lanciato la scomunica su un suo feudatario, Francesco Della Torre, colpevole di usurpazioni e di guasti ai danni dei beni della Chiesa teatina, e responsabile, inoltre, dell'uccisione di numerosi tra laici e chierici fedeli vassalli della stessa Chiesa. Al Della Torre risaliva anche la responsabilità di aver costretto il C. all'esilio. L'anno dopo, nel 1350, la scomunica fu estesa anche ai partigiani ed ai sostenitori di Francesco che avevano commesso ogni sorta di violenze per forzare i fedeli ad abbandonare il loro legittimo pastore.
La situazione non doveva essersi ancora risolta nel 1353, quando il C. venne a morte.
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