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CORTUSI, Guglielmo

di J. Kenneth Hyde - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 29 (1983)
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CORTUSI, Guglielmo

J. Kenneth Hyde

Nacque probabilmente intorno al 1285 a Padova, da Bonzanello, dato che compare per la prima volta il 27 febbr. 1305 come testimone a un testamento.

La famiglia Cortusi, se non nobile come asserisce qualche moderno, era riputata di antica ricchezza, stabilita da lungo tempo nel quartiere di Ponte Altinate e nel borgo di Ognisanti, con terreni e decime tenute a feudo dai vescovi di Treviso nel contado vicino al Brenta ad est di Padova. Nella sua cronaca sulle famiglie padovane, scritta verso 1317, Giovanni da Nono designa i Cortusi come famiglia curiale, e parla di Matteo, avo di Guglielmo, come di un cavaliere molto ricco. Benché lo status di cavaliere di Matteo non sia provato da documenti, è certo che fu uomo distinto nella vita politica del Comune padovano. Podestà di Bassano nel 1278, fu consigliere per la giurisdizione di questo Comune nel 1281, quando esso era sotto il dominio dei Padovani; ancora consigliere nel 1292 per la fortificazione di Castrobaldo sull'Adige da parte del Comune di Padova, di cui fu anche ambasciatore presso la Signoria veneziana nel 1303 e 1306 (G. B. Verci, Storia della marca trevigiana, Venezia 1786-91, docc. nn. 226, 255, 343; ILibri commemoriali della Repubblica di Venezia, a cura di R. Predelli, I, Venezia 1876, nn. 133, 261). Dal testamento, ordinato il 24 giugno 1308, risulta che Matteo lasciò quattro figli, di cui uno, Ruggiero, fu priore di Oriago nel 1313, e un altro, Aldrighetto, seguì una carriera molto simile a quella del padre: fatto cavaliere da Guecellone da Camino, divenne podestà di Feltre nel 1361 e di Belluno nel 1322 (Archivio di Stato di Padova, Arch. diplomatico, n. 4850; Padova, Biblioteca del Seminario: G. Gennari, Codice diplomatico padovano, VI, f. 99v; G. Piloni, Historia di Belluno, Belluno 1929, pp. 245, 251); pochissimo sappiamo di Bonzanello, padre del C., il quale sembra non avere tenuto nessun ufficio politico o amministrativo, ed era già morto nel marzo 1313, ben due anni prima che il figlio, unico per quanto sappiamo, cominciasse la sua carriera.

Entrando nel Collegio dei giudici di Padova nel dicembre del 1315, il C. seguiva le tradizioni curiali della famiglia; Giovanni di Ivano Cortusi, accolto nello stesso Collegio verso il 1297 era senz'altro un suo parente. Dalle matricole del Collegio risulta che il C. svolse i soliti uffici giudiziali a Padova fino al 1356 e fu gastaldione del Collegio non meno di sei volte tra il 1321 e il 1353. In confronto a questa carriera amministrativa così lunga e così attiva, gli incarichi politici tenuti dal C. risultano ben pochi. Dalla sua stessa cronaca sappiamo che nel 1327 prese parte ai colloqui a Verona con lo ambasciatore di Lodovico il Bavaro, re dei Romani, tentando vanamente di conservare l'indipendenza del Comune di Padova contro il vittorioso Cangrande della Scala. Nel febbraio del 1336 andò a Verona per comunicare le lamentele dei Padovani contro il malgoverno e le tasse eccessive imposte dalla signoria scaligera; nel giugno dello stesso anno era uno dei quattro giudici ai quali era confidato il governo di Padova per due settimane mentre s'aspettava l'arrivo del nuovo podestà. L'anno dopo fu stabilita definitivamente la signoria carrarese in Padova; sotto il nuovo regime, il C. appare solamente negli uffici giudiziari e amministrativi, fino al 1356.

Doveva essere ancora vivo nel 1361, quando compare in un elenco di giudici della città, ma dopo questa data non si hanno più notizie di lui.

Dal testamento, redatto il 2 genn. 1357 nella sua casa di contrada San Bartolomeo, s'apprende che la moglie del C. Enide, figlia del giudice Alberto Bergoleti da Castrobrenta, era ancora in vita, come lo erano le tre figlie alle quali lasciò una dote di lire 300 ciascuna e lire 100 in più; gli eredi universali furono i nipoti Ludovico, Pietro e Bonzanello, figli del figlio Giovanni già defunto. Ludovico, a cui fu lasciato il patronato della chiesa rurale di S. Maria presso Stornapria, divenne a sua volta giudice, dottore di leggi e professore all'università di Padova.

La Chronica de novitatibus Padue et Lombardie del C., benché inizi con la presa di Padova da parte di Ezzelino da Romano nel 1237, è fonte originale dal 1311 fino al 1358; quindi, della ricca storiografia padovana, è l'unica cronaca che registri il trapasso dal regime comunale alla signoria scaligera e carrarese. Siccome il C. non dà un giudizio complessivo su questa trama politica, è difficile giudicare con esattezza in quali periodi i diversi libri furono scritti; sembra che, come per tanti altri, fossero i drammatici risultati della calata di Enrico di Lussemburgo in Italia nel 1310 che spinsero il C. a iniziare a scrivere, e che egli abbia continuato a più riprese, dando così giudizi discordanti, mai armonizzati. L'opera del C. è molto conservatrice sia nello stile sia nel contenuto e perciò vicinissima agli annali anonimi; siamo lontanissimi dalla storiografia neoliviana del suo contemporaneo Albertino Mussato. Le citazioni sono poche e tutte bibliche; rari i ricorsi alla retorica che è sempre quella dei dettatori delle scuole.

Per la carriera del tiranno Ezzelino da Romano trattata nei primi sette libri della cronaca, il C. non fa altro che un riassunto intelligente dell'opera del Rolandino, del quale segue non solo la narrazione ma anche l'atteggiamento antitirannico, sottolineando il repubblicanesimo della sua fonte. Parlando de statu pacifico et magnifico del Comune padovano nel 1311, il C. vanta soprattutto che "Padua sola libera in communibus in tota marchia imperabat"; anche nel discorso di Marsilio da Carrara che nel 1337 solleva la città contro il dominio scaligero, la cronaca sottolinea le sue allusioni alla liberazione di Padova dall'oppressione ezzeliniana. L'immagine di Marsilio il patriota, nonché l'elogio della costituzione veneziana, sono prettamente rolandiniani.

Il mondo cortusiano non fu però quello del Duecento. Il C. doveva conformarsi a una serie di rivoluzioni politiche, e nell'approvare ciascuna egli fu costretto ad adattarsi a una moralità quasi situazionale. Quindi Cangrande della Scala, in primo tempo flagello del Comune padovano, diventa "tanquam pater" non appena prende il governo della città. L'assassinio di Marsilio Papafava da parte di Giacomo da Carrara è giustificato per ragioni di Stato, ma quando lo stesso Giacomo è assassinato da un suo figlio illegittimo, costui è condannato come peggiore di Giuda. Il C. osserva il suo ambiente politico con perspicacia e senza illusioni: la potenza carrarese si giustifica perché mantiene l'indipendenza di Padova, e quindi la ribellione dei da Lozzo è condannata. Negli ultimi libri della cronaca sono sempre più presenti descrizioni degli spettacoli, feste e giostre con cui i principi si mantenevano il favore dei cittadini. In questo modo il C. ci fa capire quasi dall'interno la rivoluzione di mentalità che provocò il sorgere delle signorie in città di forti tradizioni repubblicane come Padova.

La Chronica del C. fu pubblicata per la prima volta da F. Osio, sotto il nome del C. e di suo nipote Albrighetto, a Venezia nel 1636; l'edizione dell'Osio fu poi ripresa dal Grevio nel Thes. Italiae, VI, 1, coll. 1-150. L'edizione moderna, Guillelmi de Cortusiis Chronica de novitatibus Padue et Lombardie, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XII, 5, a cura di B. Pagnin, Bologna 1941, rimane incompleta, e dal libro VII, cap. XVIII, occorre rifarsi all'edizione muratoriana, Rerum Italicarum Scriptorum, XII, Mediolani 1728, coll. 898-954. Il libro, capp. I-XXIV dell'edizione citata, è un'interpolazione che narra la carriera di Uguccione della Faggiuola e l'assedio di Padova da parte di Cangrande della Scala nel 1317-18 da un punto di vista molto ghibellino. La cronaca del C. divenne fonte importante per le cronache carraresi (cfr. Gesta magnifica domus Carrariensis, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XVII, 1, 2, a cura di R. Cessi, p. XXIII. L'Additamentum che la segue nell'edizione muratoriana, coll. 959-982, è una versione in volgare di una cronaca carrarese del sec. XV, in Nuovo Arch. veneto, IX [1895]).

L'attribuzione di una parte della cronaca a Albrighetto, nipote di Guglielmo, fu dimostrata errata dal Pagnin, cit., pp. V-VII.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Padova, Archivio diplomatico, nn. 4607, 4850, 5515, 5566; Ibid., Atti del Consiglio dei 40 (Liber tabularum), f. 152v; Padova, Bibl. universitaria, Archivioantico, ms. 123: Statuta et matriculae Collegiiiudicum, ff. 7r, 8r, 38r, 39r, 41v, 44r, 45r; Padova, Bibl. del Seminario, ms. n. 11: Giovanni da Nono, De generatione aliquorum civium urbis Padue, f. 46r; A. Gloria, Monum. della universitàdi Padova 1318-1405, II, Padova 1888, p. 1186; I. von Zahn, Über das Additamentum I. ChroniciCortusiorum, in Arch. für öesterr. Geschichte, LIV (1876), pp. 405-411; L. Capo, I cronisti di Venezia e la Marca trevigiana, in Storia della cultura veneta, a cura di G. Folena, II, Vicenza 1976, pp. 311-319; Repert. fontium hist. MediiAevi, III, Fontes, p. 655.

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