GUGLIELMO d'Altavilla, duca di Puglia
Nato intorno al 1096, era figlio di Ruggero Borsa, duca di Puglia dal 1085 al 1111, succeduto al padre Roberto il Guiscardo della famiglia normanna degli Hauteville (Altavilla), e di Adela (o Ala), figlia di Roberto conte di Fiandra, vedova di Canuto IV, re di Danimarca (m. nel 1086), la quale all'inizio del 1092 aveva sposato in seconde nozze il duca di Puglia. Dal matrimonio tra Ruggero Borsa e Adela nacquero tre figli, di cui i primi due, Ludovico (m. nel 1094) e Guiscardo (m. nel 1108), morirono prima del padre: soltanto G. gli sopravvisse.
La data della nascita di G. può essere stabilita soltanto approssimativamente: secondo Romualdo Guarna, arcivescovo di Salerno, G. aveva al momento della morte, il 28 luglio 1127, più di trent'anni ("maior triginta annis", p. 206); egli deve essere quindi nato prima del 28 luglio 1097. L'attendibilità dell'indicazione di Romualdo viene suffragata dal fatto che G. al momento della morte del padre, nel febbraio 1111, era ancora minorenne e che egli ottenne l'investitura nel Ducato soltanto durante il sinodo di Ceprano dell'ottobre 1114. Dato che tutto lascia pensare che nel Mezzogiorno normanno si diventasse maggiorenni dopo il compimento del sedicesimo anno di età (si pensi per es. a Ruggero II d'Altavilla, nato probabilmente alla fine del 1095 e diventato maggiorenne nel 1112), sembra verosimile che G. fosse nato nel 1096 o all'inizio del 1097. G. doveva quindi avere, al momento dell'investitura a duca di Puglia da parte di papa Pasquale II, già diciassette o diciotto anni. L'investitura può essere stata ritardata a causa del fatto che Pasquale II nel 1111 era stato fatto prigioniero dall'imperatore Enrico V e che egli dopo aver tenuto, in seguito alla sua liberazione, nel marzo 1112 un sinodo a Roma, soltanto nell'ottobre 1114 tenne un sinodo a Ceprano, in cui ci fu l'occasione per l'investitura del duca.
G. ereditò una situazione difficile: suo padre non era stato in grado di esercitare il dominio sulla Puglia con la stessa forza di Roberto il Guiscardo e di contenere le aspirazioni a una maggiore autonomia da parte della nobiltà e delle città. Perciò aveva dovuto ricorrere più volte all'aiuto di suo zio, Ruggero I conte di Sicilia (morto nel 1101), il quale, benché fosse in teoria un suo vassallo, si rivelò in pratica più forte di lui.
La reggenza di Adela era stata poi probabilmente un'altra occasione per un rafforzamento delle forze particolaristiche. A Bari, per esempio, nel 1114 i "milites" della città imprigionarono la madre di Roberto conte di Conversano e, affidata la guida all'arcivescovo Risone, avevano iniziato a opporsi al conte Roberto.
Nel 1114 G. sposò Gaitelgrima, figlia di Roberto "de Airola", conte di Caiazzo. L'esatta data del matrimonio, che secondo Romualdo Salernitano sarebbe da collocare nel 1116, si evince da un diploma emanato nel dicembre 1114 da G. per l'abbazia di Cava de' Tirreni, sottoscritto dalla moglie.
Come i suoi genitori, anche G. fu un grande benefattore di questo cenobio benedettino: nel 1116 gli donò un quarto del monastero di S. Giorgio nel Cilento e nell'aprile 1117 gli confermò i privilegi ottenuti dai suoi predecessori.
La crescente anarchia in Puglia, dovuta alla debolezza di G., nell'agosto 1115 dava al papa l'occasione per rinforzare il suo ruolo imponendo a Troia una pace di Dio: i conti Roberto di Loritello e Giordano di Ariano nonché tutti i baroni della Puglia giurarono di osservare questa pace per tre anni, ma l'impegno fu presto disatteso. Le lotte interne nella città di Bari sfociarono nel 1117 nell'uccisione dell'arcivescovo Risone, mentre il signore della città, Grimoaldo Alferanite, si proclamò nel 1118 principe e stipulò alcuni anni più tardi, nel 1122, un trattato con Venezia. L'esiguità del potere esercitato dal duca di Puglia divenne evidente quando, nel 1120, dovette intervenire il papa per costringere Alessandro, conte di Matera, a rimettere in libertà Costanza, la vedova dello zio paterno di G., Boemondo (I) di Taranto, principe di Antiochia. G. intervenne soltanto tardivamente in aiuto di Costanza con una spedizione militare che sembra non aver avuto nessun effetto.
In questi anni G. non era in grado di dare un sostegno al suo signore feudale, il papa, che poté contare soltanto sull'appoggio di Roberto principe di Capua. G. prestò il giuramento di fedeltà nel 1118 al papa Gelasio II e nel 1120 al suo successore, Callisto II. Quest'ultimo, immediatamente dopo aver concesso l'investitura a G., nell'ottobre 1120, si recò a Troia per cercare di imporre una tregua di Dio e poi cercò di ristabilire la pace anche a Bari, dove ottenne la liberazione di Costanza. A Troia il papa aveva costretto G. a restituire alcune terre al monastero di S. Nicola di Troia. Si tratta di un ulteriore indizio della debolezza di G., avvalorato anche dal fatto che una serie di vassalli del duca di Puglia entrarono in un rapporto di diretta dipendenza feudale dal papa.
Nel frattempo in Sicilia era succeduto a Ruggero I il figlio Ruggero II, che riuscì ad aumentare il già alto prestigio conquistato dal padre. Nel febbraio 1122 G. si recò a Messina per chiedere a Ruggero II di aiutarlo contro il conte Giordano di Ariano. Secondo il cronista Falcone di Benevento G. avrebbe chiesto al conte di Sicilia un sostegno sia in uomini, sia in denaro. Per convincere Ruggero G. gli avrebbe riferito le minacce e umiliazioni da lui subite per opera di Giordano. Ruggero II non rifiutò l'aiuto a G., suo signore feudale oltre che nipote, ma se lo fece ben ricompensare. Mise a disposizione di G. sei o settecento cavalieri nonché il denaro necessario e ottenne in cambio che il duca, ufficialmente come i suoi predecessori duca di Puglia, Calabria e Sicilia, rinunciasse alla metà di Palermo, Messina e della Calabria, che erano in suo possesso. Di conseguenza, Calabria e Sicilia erano ora per intero nelle mani di Ruggero.
Con l'aiuto datogli da Ruggero G. attaccò subito Giordano strappandogli il castello di Roseto e altri possedimenti, conquistando e saccheggiando il castello di Montegiove per poi assediare il castello di Apice, residenza del conte di Aversa; grazie al sostegno dei Beneventani G. riuscì poi a espugnarla e a ottenere la sottomissione di Giordano. Successivamente il duca fece riconoscere il suo dominio ad Ariano e in tutta la contea. Poi assediò e conquistò il castello di Montecorvino, vicino Salerno. Infine punì con severità a Montevico l'uccisione di un barone normanno, Guarino di Ollia, da parte dei suoi villani. In queste azioni G. appare come un energico uomo di azione, ma dal racconto di Falcone si apprende che i suoi successi erano dovuti ai cavalieri messigli a disposizione dal conte di Sicilia. Quando questi se ne tornarono in Sicilia, il duca fu costretto a chiedere aiuto a Giordano (II), dal 1120 principe di Capua, e ai Beneventani. Alla fine del 1122 G. si recò a Salerno, dove restò fino al giorno della sua morte.
Falcone sottolinea al riguardo che il Ducato di G. conobbe in seguito un periodo di pace e quiete; in verità il duca era riuscito a imporre il suo dominio soltanto in alcune parti della Campania, ma non in Puglia e Basilicata. Questo spiega l'intervento di Ruggero II di Sicilia, il quale nel 1124 fece una spedizione militare a Montescaglioso, ai confini tra Basilicata e Puglia, per impossessarsi dell'eredità della sorella Emma, vedova di Radolfo (Raoul) signore di Montescaglioso, morta intorno al 1120. L'azione di Ruggero ignorava, oltre ai diritti di G., anche quelli della già ricordata Costanza, reggente per il figlio Boemondo (II); Costanza nell'aprile 1121 aveva conquistato un castello sul Basento, nel territorio della signoria di Montescaglioso, ufficialmente con l'aiuto di G. e di Tancredi di Conversano, ma più probabilmente soltanto quest'ultimo era intervenuto con efficacia.
Sappiamo poco sugli ultimi anni di Guglielmo. Nel 1123 emanò due atti a favore dell'abbazia di Cava: nel febbraio le confermò la donazione, fatta quando aveva preso l'abito monastico, di Guaimario, nipote di Guido a sua volta fratello del principe di Salerno Gisulfo (II); nel settembre concesse all'abbazia cavense di costruire fortificazioni per difendere alcuni suoi possedimenti. Nel 1125 G. ottenne l'investitura del Ducato da parte del nuovo papa, Onorio II.
Il titolo con cui furono emanati i diplomi rilasciati da G. sottolineano il fatto che l'investitura nel Ducato gli spettava per diritto ereditario (G. "gratia Dei princeps et dux, filius bone memorie domini Rogerii, gloriosi eximii piissimi ducis, filii domini Roberti gloriosi magnifici ducis"). Il titolo di principe deriva dal fatto che Salerno, capitale dell'antico Principato longobardo, era ormai diventata la residenza dei duchi di Puglia. Secondo Deér Roberto (I), principe di Capua, a differenza di G., non avrebbe ricevuto l'investitura da parte del papa, ma sarebbe stato vassallo diretto di G., come viene suggerito da un documento, emanato da G. nel 1119, in cui si parla di una "postulatio Robberti Capuanorum principis dilectissimi consanguinei ac baronis nostri". In pratica G. non riuscì però mai a esercitare una effettiva supremazia sul principe di Capua.
Nel maggio 1126 G. confermò all'abbazia di Cava i beni ottenuti da Sichelgaita, vedova di Guaimario, figlio di Guido di Salerno, e nell'agosto dello stesso anno il duca confermò all'abbazia di Montecassino tutti i suoi possedimenti. Infine, nel luglio 1127, avendo scelto come luogo di sepoltura la cattedrale di S. Matteo di Salerno, G. donò all'arcivescovo Romualdo alcuni beni ubicati nel porto della città. Poco prima della morte, avvenuta il 28 luglio 1127, fece oralmente all'abbazia di Cava un'ultima donazione che fu fissata per iscritto soltanto l'8 ag. 1127, quindi dopo la sua morte.
Il giorno della morte indicato da Romualdo Guarna (Romualdo Salernitano) in quello della festa di S. Nazario, cioè il 28 luglio (mentre Falcone lo colloca al 1° agosto) è lo stesso ricordato dai necrologi di S. Matteo di Salerno, di Montecassino e della Ss. Trinità di Venosa.
Falcone racconta che la moglie di G., alla sua morte, si sarebbe tagliata i capelli e si sarebbe gettata sul cadavere piangendo e gridando disperatamente. Altrettanto dolore avrebbe manifestato la popolazione di Salerno che si recò nel palazzo ducale per piangere il duca sul letto di morte, mentre l'arcivescovo salernitano avrebbe organizzato un funerale particolarmente solenne. Dopo le esequie celebrate nella cattedrale il duca, sempre secondo Falcone, fu sepolto in una tomba preziosamente ornata; Romualdo Guarna parla invece di una sepoltura nella cattedrale nello stesso sacello del padre. Il sarcofago in cui fu inumato G. si è conservato nell'atrio della stessa cattedrale. Si tratta di un sarcofago "di Meleagro" appoggiato alla facciata della chiesa con rielaborazioni medievali sulle facce laterali del coperchio (Herklotz, p. 76).
Un esame paleopatologico dei resti scheletrici conservati nel sarcofago ha accertato che essi appartengono a un individuo di sesso maschile deceduto all'età di 30-35 anni, dell'altezza di 1,70 m. Dall'esame paleonutrizionale emerge una alimentazione basata quasi completamente su cibi di origine animale; risultano poi una serie di patologie dovute a sovraccarichi ponderali e funzionali causati forse da armi pesanti e dall'equitazione, fratture e una necrosi post-traumatica dovuta forse a una ferita da combattimento. Da questi risultati sembra lecito dedurre che i resti sono veramente quelli di G. e che questi, al momento della morte, era afflitto da numerose patologie, che spiegano forse la sua scarsa intraprendenza politica negli ultimi anni della sua vita, nonché le generose donazioni in favore dei monaci di Cava (Houben, 2002, p. 53).
G. non lasciò figli e, per quanto riguarda la successione nel Ducato, sembra che egli avesse fatto promesse da ogni parte.
Così si spiegherebbero le notizie contrastanti fornite su questo punto dalle fonti. Alessandro di Telese riporta che G. avrebbe designato erede Ruggero II di Sicilia, e la stessa notizia viene data da Romualdo Guarna. Falcone invece nulla scrive a proposito; secondo lui, che era comunque ostile al conte di Sicilia, questi assunse arbitrariamente il titolo di duca di Puglia cercando poi invano di ottenerne il riconoscimento dal papa. Ruggero, in quanto zio di G., ritenne di avere diritti sul Ducato di Puglia. Il papa, Onorio II, era invece di avviso di concedere a Ruggero II il feudo, tornato con la morte di G. in suo possesso, solo se egli si fosse comportato correttamente nei confronti del suo futuro signore feudale; il che però, secondo il pontefice, non era prevedibile in quanto già Ruggero si era comportato male nei confronti del suo predecessore, Callisto II.
Secondo un'altra fonte, la Vita del conte Carlo di Fiandra, fratellastro di G., redatta da Gualtieri di Thérouanne, G. avrebbe concesso tutti i suoi beni a Onorio II. L'autore, che era stato a Roma presso la Curia pontificia, sosteneva di aver udito ciò dallo stesso pontefice, ma Gualtieri fraintese forse un accenno fatto dal papa relativo a una promessa di G., secondo cui questi avrebbe voluto che il Ducato dopo la sua morte non fosse più dato in feudo, ma tornasse nelle mani del pontefice. Sembra improbabile l'ipotesi di un testamento fatto da G. in favore del papa, come ritenne invece Deér.
Un ritratto di G. viene fornito dal cronista Romualdo, arcivescovo di Salerno, che gli era grato per i favori accordati alle istituzioni ecclesiastiche: secondo Romualdo, il duca, nonostante fosse di corporatura gracile, sarebbe stato un forte e audace cavaliere, generoso, affabile, pio e buono con tutti, amatissimo dai suoi uomini, molto impegnato a favore della Chiesa e dei suoi ministri. Precedentemente però il cronista non aveva tralasciato di sottolineare che il duca proprio per il suo carattere fosse disprezzato da alcuni. Ne emerge quindi l'immagine di un personaggio mite, molto legato alla Chiesa, che non riuscì a imporsi sui propri vassalli e a evitare che il Mezzogiorno peninsulare cadesse in uno stato di anarchia, a cui fu posto fine soltanto quando Ruggero II di Sicilia se ne impossessò.
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