GUGLIELMO (Guillelmus, Willelmus) da Capriano
Proveniente da Capriano del Colle, una località del contado bresciano, G. dovette nascere tra il 1130 e il 1135. In questa figura è possibile ravvisare un giurista della scuola bolognese, divenuto poi presule di Asti e in seguito di Ravenna.
I limiti cronologici della vita di G., arcivescovo di Ravenna nell'ultimo decennio del secolo XII e in precedenza vescovo di Asti, possono in effetti corrispondere con gli anni della vicenda storica del glossatore forse da identificarsi con il Guglielmo magister a Bologna al quale Stefano di Tournai scrisse una lettera negli anni in cui era abate di St-Euverte a Orléans, sua città natale; è d'altra parte difficile ipotizzare che due forestieri provenienti dalla medesima località si muovessero negli stessi anni e nelle stesse terre occupando entrambi posizioni di assoluto rilievo. Per altro verso le approfondite conoscenze giuridiche possono avere aiutato G. anche nella carriera ecclesiastica.
È proprio prendendo le mosse da questa identificazione che Sarti, sulla scorta del cronista bresciano Iacopo Malvezzi, poté affermare che la famiglia del giurista G. era tra le più in vista di Brescia e proveniva "ex castro agri brixiani Cabriano".
Come già accennato in precedenza, è possibile che a G. indirizzasse una lettera Stefano di Tournai. Egli aveva studiato a Bologna verso il 1150 alla scuola di Bulgaro e, in un anno imprecisato del suo abbaziato a St-Euverte (1167-76) - così la lettera è datata nell'edizione di Desilve - raccomandò il chierico Ugo di Orléans ad Alberico di Porta Ravennate e a un "Guillelmo Bononiensi", anch'egli maestro nella città felsinea. All'identificazione di questo destinatario con G. pare esservi una sola alternativa: Guglielmo Gosia, figlio di Martino. Non conosciamo altri magistri con questo nome a Bologna in quegli anni; e, d'altra parte, ciò che scrive Stefano non risulta in contraddizione con quanto sappiamo della vita di Guglielmo. La biografia che si propone si basa sull'accettazione di questa identità che però non può essere affermata con certezza.
G. e Stefano si conobbero forse attorno al 1150: con ogni probabilità il primo iniziava allora a seguire le lezioni di Bulgaro, mentre il secondo concludeva il suo soggiorno bolognese. Il tono della lettera inviata a G., in particolare il fatto che Stefano si rivolga a lui con il confidenziale "tu", si accorda assai bene con questa ipotesi. Non si può escludere che anche G. sia stato discepolo di Alberico di Porta Ravennate, altro destinatario della lettera del futuro vescovo di Tournai.
Entro la fine del 1158 G. scrisse i Casus codicis, una reportatio - secondo l'analisi di Dolezalek (Die Casus codicis…) - delle lezioni di Bulgaro. Si è sostenuto che probabilmente l'opera vide la luce non molto prima di questa data: in riferimento a C. 9.2.16 leggiamo un atto d'accusa con valore esemplificativo in data 15 luglio 1157 ed è ragionevole credere che si utilizzasse la data dell'anno corrente, o di un anno non lontano; anche l'indizione è corretta. Si può forse andare oltre: si noterà l'interessante coincidenza tra l'indicazione cronologica presente nel testo e il fatto che l'opera si concluda proprio con il libro IX del codice. Ricordando che G. riporta gli insegnamenti di Bulgaro si può ipotizzare che nei casus egli sviluppi gli appunti delle lezioni del 1156-57 che dovettero terminare all'inizio di agosto di quell'anno; il 15 luglio il maestro poteva ben avere commentato C.9.2.16. All'epoca G. partecipava quindi ai corsi di Bulgaro, ma certo doveva essere giunto oramai al termine degli studi se poteva vantare le conoscenze necessarie per scrivere un'opera come questa.
Nell'attività docente egli riscosse probabilmente un buon successo, ma non godette di fama eccezionale.
Stefano di Tournai nella lettera inviatagli gli augura che la sua fama cresca; e continua: "longe lateque diffusa, in auditorium tuum remotas excitet nationes". Ciò che evidentemente non era già avvenuto e che, se consideriamo che pochi mesi o, al massimo, pochi anni dopo G. prese possesso della diocesi di Asti, difficilmente poté accadere in seguito. Nondimeno vi è da credere che le parole di Stefano fossero, in parte almeno, captatio benevolentiae: l'abate di Orléans chiedeva protezione per un amico, e dunque ai complimenti fatti a G. bisogna forse togliere qualcosa e certamente non aggiungere nulla.
Il ruolo di G. quale giurista dello Studium bolognese è stato oggetto nel corso del tempo di discussioni e verifiche (cfr. Kantorowicz, Seckel e Genzmer, Kuttner, Meijers, Dolezalek e da ultima Di Renzo Villata); negli studi più recenti, solo per menzionare due questioni molto dibattute, gli è negata la paternità della Summa Vindocinensis e l'appartenenza di Giovanni Bassiano alla sua scuola è giudicata assai improbabile.
La sua importanza nella storia giuridica è riferibile ai Casus codicis. Gero Dolezalek - che li ha riscoperti trent'anni fa - considera i casus una reportatio di corsi al Codex di Bulgaro, ch'egli ritiene essere stato maestro sia di G. sia di Giovanni Bassiano. L'opera risulta essere dunque la più antica di questo genere letterario, che avrebbe avuto altri interpreti in Niccolò Furioso e in Alessandro di S. Egidio. I casus di G. illuminano l'insegnamento di Bulgaro in modo affatto nuovo; le linee della sua attività didattica, infatti, si possono desumere solo in parte dalle glosse che, come è noto, a quei tempi erano destinate ai maestri, non agli studenti.
La produzione scientifica di G. godette di un certo credito nella scuola se è vero che alcune sue allegazioni furono inserite da Accorso nell'apparato al Corpus iuris. A lui si attribuisce anche una distinctio e, sebbene in forma dubitativa, lo Stemma Bulgaricum (cfr. Dolezalek, Verzeichnis der Handschriften).
Il 14 luglio 1173 G. è menzionato una prima volta come vescovo di Asti. Per quanto concerne il periodo dell'episcopato astigiano si può notare che le due linee maggiori della sua attività paiono essere i rapporti con l'imperatore e il Comune di Asti per un verso, la conservazione e l'acquisizione di beni per la sua Chiesa per un altro.
Analizzando le figure eminenti al fianco di Federico I in Italia, Brezzi (1940) ne ricorda solamente tre: Guglielmo III di Monferrato, Guido di Biandrate e, appunto, Guglielmo. I rapporti tra il glossatore e l'imperatore risalivano forse alla Dieta di Roncaglia del 1158: ciò si può ipotizzare ricordando la presenza dei quattro dottori e i rapporti assai stretti che dovevano intercorrere allora tra G. e Bulgaro: proprio in quest'epoca, si ricorderà, si colloca la stesura dei Casus codicis.
Sulla scena politica G. compare nel 1177 quando la Lega lombarda gli affidò - verisimilmente per le sue solide conoscenze giuridiche, certo, ma anche in virtù dell'antica frequentazione con Federico I - il ruolo di mediatore ed egli fu dunque uno dei protagonisti della tregua di Venezia. Nel 1183 fu l'imperatore ad affidarsi a lui nelle trattative con i Comuni che precedettero la pace di Costanza. In tali vicende dovette distinguersi per la moderazione; come affermò l'Ughelli: "Quantae porro prudentiae in rebus gerendis, et dexteritatis, apudque omnes auctoritatis esset noster Vuillelmus, quod hic subiicimus aperte demonstrat" (F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, IV, Venetiis 1719, col. 370).
Per quanto concerne i rapporti intercorsi tra G. e le autorità cittadine locali, non sappiamo se il vescovo diede mai l'investitura ufficiale ai consoli di Asti; nelle città nelle quali i presuli avevano goduto di poteri signorili questo diritto veniva sancito espressamente dagli accordi di Costanza, ma i documenti, nel caso in questione, mancano. Brezzi (1936) ha dedotto da ciò che probabilmente il trattato del 1183 ad Asti fu, in questo punto, disatteso.
Le relazioni tra il presule e il Comune di Asti dovettero peraltro essere eccellenti; scomparvero i dissidi che avevano caratterizzato il periodo precedente (nel 1155, per esempio, Federico I aveva messo a fuoco Asti in seguito alle lagnanze del vescovo Anselmo e di Guglielmo marchese del Monferrato contro il Comune) e proprio a favore del Comune G. si adoperò presso il Barbarossa per ottenerne un privilegio (9 giugno 1186). Non solo: a giudizio di Lodovico Vergano (Il potere civile dei vescovi di Asti nel periodo comunale, 1095-1314 [tesi di laurea dattiloscritta, non datata, depositata presso la Biblioteca Alfieri di Asti], pp. 133, 144-155, 160-167) probabilmente Asti dopo la resa del 1174 - in quell'occasione l'imperatore era sceso in Italia e aveva posto l'assedio alla città, che dal 1168 faceva parte della Lega - non subì danni e ricevette il perdono e l'amicizia del Barbarossa proprio per la mediazione del suo vescovo. Ciò confermerebbe l'esistenza di relazioni precoci tra i due.
La sua azione ottenne risultati significativi nella difesa dei confini della diocesi che dovettero essere ridefiniti, al pari di quelli delle diocesi di Acqui e Tortona, in occasione dell'elevazione di Alessandria alla dignità di sede vescovile: fu l'energica opposizione dei vescovi interessati, con ogni probabilità, a portare alla soppressione della nuova circoscrizione ecclesiastica (1180-81). G. consolidò anche i possessi vescovili con acquisizioni e difese e rivendicò antichi diritti: ricorderemo a tale proposito la contesa con i signori di Govone e quella, di minore importanza, con Sismondo di Sarmatorio.
Nel 1190, probabilmente, G. fu eletto arcivescovo di Ravenna e in questa sede fu trasferito a quanto pare l'11 febbr. 1191. Ricevette forse dal papa la conferma e il pallio quando accompagnò a Roma Enrico VI per l'incoronazione imperiale (15 apr. 1191); a ogni modo la consegna del pallio avvenne prima del 10 febbr. 1192.
Nel corso dell'archiepiscopato ravennate G. ebbe ottimi rapporti con l'Impero e il Papato e contrasti invece con il Comune. Quasi nemesi storica il successo diplomatico del 1183 si trasformò in un problema importante dei suoi ultimi anni. La pace di Costanza, infatti, dando ai Comuni piena sanzione giuridica, aveva spinto anche quelli che alla lotta non avevano preso parte, e perciò non ne godevano, di diritto, i privilegi, a chiarire i rapporti con i rispettivi vescovi. Così accadde a Ravenna. Non conosciamo i motivi contingenti che portarono allo scontro aperto, ma è indubbio che il problema decisivo fu quello delle enfiteusi ecclesiastiche perché da esso derivava la dipendenza dell'aristocrazia dalla Chiesa cittadina. Un accordo tra le parti fu raggiunto il 20 giugno 1193. Altri contrasti tra il presule e il Comune scoppiarono in seguito per il controllo delle saline di Cervia. Per altro verso nel 1194, in un momento di particolare sintonia tra le due autorità cittadine, si coniò per la prima volta il denaro "ravennate", una scelta importante che impedì a Bologna e Ferrara di assorbire Ravenna nella propria orbita finanziaria. Anche per quanto concerne l'emissione di moneta, tuttavia, nel tempo si crearono tensioni tra le autorità cittadine e l'arcivescovo.
G. morì il 31 luglio 1201 in luogo non noto.
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