GUGLIELMO da Perugia
Figlio di Cellolo, nacque a Perugia nel terzo decennio del XIV secolo, da una famiglia di rilievo nella vita pubblica cittadina (è forse da identificare con il padre di G. quel Cellolo che fece istanza e ottenne il 28 febbr. 1334 la cancellazione del proprio nome dal "libro rosso" dei nobili redatto a Perugia nel 1333). G., come poi il figlio Sallustio Buonguglielmi, fu giurista e lettore presso lo Studio di Perugia, nonché personaggio politico di primo piano nella Perugia della seconda metà del sec. XIV. Discepolo del grande Bartolo da Sassoferrato, ne sposò la figlia Francesca: come tale è ricordato nel testamento di Bartolo del 14 maggio 1356.
G. compare una prima volta nella vita comunale come sostenitore della fazione popolare il 31 dic. 1362, quando fu eletto iudex super Comuni dividendo, una magistratura composta generalmente da giuristi che aveva il compito di rappresentare gli interessi delle categorie meno facoltose della città.
Il 21 dic. 1363 fu estratto podestà di Castiglione Aretino per il semestre successivo (1° giugno - 31 dic. 1364). Di nuovo in carica nel primo semestre del 1365 come iudex super Comuni dividendo, dal 18 ottobre. Sempre nel 1365 fu nominato lettore straordinario del Digesto nuovo e dell'Inforziato giungendo, nel 1369, alle più alte cariche politiche della città.
In quegli anni, infatti, il partito popolare perugino, intenzionato a difendere l'autonomia cittadina, adottò una posizione intransigente contro papa Urbano V, in Italia dal 1367 e intenzionato a stabilizzare gli incerti equilibri politici delle città del Patrimonium. Le aspirazioni di Perugia determinarono nel 1369 la guerra contro il pontefice e G., insieme con Ludovico di Arlotto dei Michelotti e Giacomo di Picciolo, fu dei Tre magistrati contro la guerra, carica ricoperta anche nel 1370. Verso la fine di quell'anno si giunse a un accordo fra i rappresentanti del pontefice e la città di Perugia, indebolita dalla carestia e dai conflitti di fazione. Nel maggio 1371 il cardinale Pierre d'Estaing, vicario generale nell'Italia centrale, riprese formalmente possesso della città favorendo il ritorno degli appartenenti alla fazione nobiliare precedentemente esiliata. È in questo contesto che la casa di G. fu devastata da un gruppo di cittadini che costrinsero alla fuga lo stesso Guglielmo.
Nel settembre del 1372 Perugia passò infine sotto il diretto controllo di Géraud Dupuy, abate di Marmoutier, esattore generale delle terre del Patrimonio: le conseguenze furono immediate per G., che fu bandito dalla città e in seguito condannato come ribelle e traditore perché aveva abbandonato il luogo destinatogli, probabilmente per riparare a Firenze. In questa città lo troviamo, infatti, verso la fine di quell'anno, quando prese contatti sempre più stretti con i locali dirigenti, contatti che lo introdussero nel grande gioco dell'Italia centrosettentrionale permettendogli di assolvere in seguito incarichi della massima importanza.
Il Pellini, raccogliendo la tradizione di cronache oggi non conservate, afferma che G. fu uno dei principali strumenti della lega sorta nell'estate del 1375 fra Bernabò Visconti e i Fiorentini e altre città dell'Italia centrale contro il pontefice. Sta di fatto che G. si manifestò come uno dei più importanti agenti diplomatici nella complessa organizzazione della lega e fu probabilmente un elemento di rilievo nell'organizzare il movimento di forza che permise la ribellione perugina del dicembre 1375. Cacciato l'abate Dupuy dalla città, G. vi fece ritorno non senza però essersi assicurato contro una eventuale rivincita della fazione nobiliare a lui avversa: infatti, nell'autunno del 1376, l'anno del suo ritorno, dubitando sulla sua sicurezza a Perugia, ottenne per i suoi meriti la cittadinanza di Firenze per sé e per suo figlio Sallustio; l'anno successivo, il 29 ottobre, fu anche immatricolato nell'arte dei giudici e dei notai di quella città, pur rimanendo in seguito sempre attivo nella sua città natale.
Il 10 genn. 1376 fu nominato ambasciatore a Firenze per indagare sulle condizioni offerte a Perugia per entrare nella lega antipapale che si era costituita; successivamente, il 16 marzo, fu decisa la sua partenza insieme con Nicola di Lello, Angelino di Ceccolo "Synibaldi" e Gualfreduccio di Giacomo per Firenze. Il 15 maggio era a Firenze.
Le trattative per l'adesione di Perugia alla lega erano difficili, sia per lo scarso contributo di uomini e di denari che la città poteva offrire, sia per i dissapori sorti tra Firenze e Perugia circa i patti concordati con l'abate di Dupuy per il rilascio della cittadella di Porta Sole, da lui fatta costruire nel corso del suo governo e ancora presidiata da truppe rimastegli fedeli.
Il 3 giugno dello stesso anno G. con Pellino di Cucco Baglioni fu inviato ambasciatore a Bologna e a Milano, presso Bernabò Visconti, per ottenere il loro appoggio in favore dei Fiorentini. Il 1° settembre la città di Perugia riconobbe con pubblico atto i suoi meriti risarcendolo dei danni provocatigli dall'irruzione del 1371, restituendogli i diritti sulla casa devastata e requisita, nonché disponendo una somma in moneta. Il 1° dicembre era di nuovo nominato ambasciatore a Firenze; in quel periodo dimorava costantemente in quella città e ottenne l'incarico come stabile oratore; le funzioni di collegamento furono affidate a Oddo Baglioni, eletto a tale scopo.
Ritornato a Perugia il 3 genn. 1377 fu nominato, insieme con Pellino di Cucco Baglioni, Berardello di Vanne e Nicola di Coccolino Michelotti, ufficiale super conservanda libertate et bono statu civitatis Perusii, una magistratura straordinaria che aveva pressoché i pieni poteri per quel che riguardava sia la politica estera di appoggio alla lega, sia quella interna a favore dei raspanti.
L'attività della magistratura fu però in questo periodo soprattutto esterna, rivolta a reinserire in una propria rete di alleanze le città che negli anni precedenti si erano allontanate da Perugia: così è per Assisi, Paciano, Marsciano e altri centri del circondario. L'apporto di G. in favore della lega antipontificia fu notevole: nell'aprile di quell'anno, tra l'altro, fu a capo di 150 lance fiorentine inviate in aiuto del Prefetto di Vico che teneva Viterbo per conto degli alleati.
Nel frattempo la stessa città di Perugia non mancò di esprimere a G. in modo tangibile il suo ringraziamento concedendogli, il 30 apr. 1378, in considerazione dei suoi meriti, la comunanza del castello di Fossato in perpetuo. Si trattava di uno dei più ricchi cespiti patrimoniali della città.
Il ritorno di Gregorio XI a Roma ebbe come diretta conseguenza la progressiva ricerca di accordi delle città del Patrimonium, tutte colpite da scomunica, con il papa; in tale prospettiva G. che, il 21 ag. 1378, aveva ottenuto dal Consiglio dei priori delle arti un pagamento di 300 fiorini d'oro per le sue attività, fu eletto il 1° ottobre ambasciatore presso Galeotto Malatesta a Rimini, mentre il 12 novembre fu tra i deputati per concordare i capitoli della pace con il pontefice. Di nuovo ambasciatore presso Galeotto Malatesta e Antonio da Montefeltro, il 16 dicembre, G. fu uno degli artefici della pace siglata con il pontefice il 4 genn. 1379.
Il Comune di Perugia ottenne tra l'altro che fossero assolti da ogni pena e scomunica anche G. e i suoi figli e tale assoluzione venne inserita negli stessi capitoli dell'accordo. La pace con il pontefice prevedeva inoltre il rientro dei fuoriusciti perugini di parte nobiliare e quindi l'esigenza di costituire una magistratura dotata di pieni poteri che evitasse il capovolgimento della politica cittadina; a tale scopo fu eletta una deputazione di dieci "providi et circumspecti viri", dei quali cinque nominati dal Consiglio dei priori fra i cittadini che offrissero maggiori garanzie e cinque eletti "super pace et unione et conservatione libertatis et pacis": fra i cinque nominati compare anche Guglielmo. Il 7 apr. 1379 il Consiglio dei priori, considerata la difficoltà di riunire i membri di tale magistratura, ridusse il numero dei componenti ai soli cinque nominati, ma neppure in questo caso l'iniziativa ebbe successo e si finì per ridurlo ancora al numero di tre fra i quali compare ancora G. insieme con Onofrio di Andrea dei Vibi e Narduccio di Ciuccio che sembrano essere stati in quel momento i maggiori esponenti del partito popolare. G. partecipò a questa magistratura fino al 27 maggio 1381, quando, insieme con altri sei esponenti cittadini, fu incaricato di un'ambasceria a Città di Castello che sotto la spinta dei nobili locali tentava di disfarsi della tutela perugina. Il 28 agosto era presente agli accordi tra Perugia e il conte di Montefeltro e il 27 settembre fu inviato ambasciatore presso Carlo III d'Angiò Durazzo insieme con Simone di Ceccolo e Longaruccio di ser Angelo.
Dal 1381, forse per l'età avanzata, la fervida attività politica di G. andò scemando. Il 27 sett. 1382 fu uno dei cinque super custodia civitatis et comitatus Perusii et conservatione liberi et popularis status. Il 2 febbr. 1384 il Consiglio dei priori lo elesse insieme con altri quattro magistrati "super statum civitatis", ma poco dopo, per il prevalere della fazione nobiliare, il Consiglio dei dieci ufficiali sull'unione dei cittadini lo bandì al confino di Pavia o Bologna concedendogli la facoltà di cambiare luogo di confino. Il 14 genn. 1385, negli accordi fra Perugia e il gonfaloniere di Assisi, G. veniva indicato fra le persone che non dovevano essere ricevute nella città di Assisi.
Non si conosce con esattezza la data della morte di Guglielmo. Oldoini riporta il testo di un'iscrizione lapidaria del sepolcro di G. posta a Firenze a opera di un suo discendente, nella quale è indicato il 1384 come anno della sua morte (secondo lo stile fiorentino): il giorno dovrebbe perciò essere collocato tra il 14 gennaio e il 24 marzo 1385.
La moglie Francesca era ancora viva nel 1392, quando denunciava alcune nuove proprietà insieme con i fratelli di G., Giovanni e Bartolomeo, e i figli Sallustio e Tolomeo.
Dell'attività giuridica e universitaria di G. si sa molto poco e altrettanto poco è rimasto dei suoi consigli. Dovette però essere molto rinomato, anche se offuscato dalla fama di Baldo degli Ubaldi, il più illustre dei discepoli di Bartolo. Si sa però che il figlio Sallustio usò a lungo il sigillo del padre, evidente garanzia se non altro della scuola giuridica cui era appartenuto. Lettore, come già ricordato, del Digesto nuovo e dell'Inforziato dal 1365 al 1371 e successivamente nel 1378 presso lo Studio generale di Perugia, la produzione giuridica di G. fu a carattere essenzialmente pratico.
Un suo consulto in materia di dote e di legittima per i figli è, a stampa, nel primo volume dei Responsorum ad causas ultimarum voluntatum raccolti da G.B. Ziletti (Venetiis, apud F. Zilettum, 1581, c. 26). Numerosi suoi consilia e sottoscrizioni si trovano nel codice Barb. lat. 1396 della Biblioteca apostolica Vaticana alle cc. 47-48, 183v-184 (in materia di legati), 187v-192 (in materia tutelare), 192v, 226, 227 (in materia dotale), 227v (in materia di locatio-conductio), 228v, 294v (in materia ereditaria). La sua particolare propensione e competenza per le cause successorie ci è attestata dai consigli che sono conservati nei manoscritti Vat. lat. 8068 (c. 174v) e Vat. lat. 8069 (cc. 327-328; in quest'ultimo manoscritto si trova pure, alla c. 165, una sua subscriptio a un consulto di Baldo degli Ubaldi). Nella stessa biblioteca si trovano anche tre consigli di G. all'interno del manoscritto Urb. lat. 1132 alle cc. 308-309 (si tratta della questione dell'appello del contumace condannato), 412-424 (in materia di tutela) e 492-493 (in materia obbligatoria). Un consulto in materia successoria si trova inoltre nel manoscritto 275 della Biblioteca Angelica di Roma (cc. 162v-163).
Un suo parere in tema di successione ab intestato è citato da numerosi giuristi quali Pietro d'Ancarano (Consilia, Venetiis, 1585, cons. 220, c. 177v), Angelo Gambiglioni in due passi del suo commento alle Istituzioni (Ad libros quattuor Institutionum…, Venetiis 1609, pp. 145, 252) e Lauro Palazzoli (Super Statuto…, in Tractatus illustrium iurisconsultorum, II, Venetiis 1584, c. 274v). Ma la notorietà di questo consiglio è da attribuirsi al fatto che, come affermato dagli stessi autori, G. seguì l'opinione di Bartolo da Sassoferrato sull'argomento. Di un suo consiglio in materia di procedura penale abbiamo incidentale notizia da Marco Angelelli di Perugia ("late consuluit dominus Guglielmus perusinus in civitate Florentiae", in G.B. Ziletti, Consiliorum seu responsorum ad causas criminales, I, Venetiis, apud B. Ziletum et fratres, 1566, c. 23v), che ci testimonia anche una sua attività giuridica a Firenze, da porre probabilmente al tempo del suo esilio, tra il 1373 e il 1375.
Delle lecturae del suo insegnamento universitario, che pure ci è testimoniato, non si hanno che saltuarie notizie. Nelle sue additiones allo Speculum iudiciale di Guillaume Durand (Augustae Taurinorum, apud heredes Nicolai Bevilaquae, 1578, c. 62) G. si trova citato sulla questione "an die contractus debeat in termino computari" e con riferimento a D. 25, 3, 1, ma non in modo tale da poter presumere una sua repetitio del frammento né tanto meno una sua lectura del titolo o dell'intero Inforziato. Troppo poco dunque è rimasto degli scritti di G. per poter valutare la sua opera: di certo si può dire soltanto che egli si inserisce nella tipica corrente di pratici postbartoliana e che, per la sua attività di consulente, raggiunse discreta fama fra i giuristi del tempo.
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