GUGLIELMO da Saliceto
Nacque presumibilmente a Saliceto di Cadeo, nel Piacentino, intorno al 1210.
La maggior parte dei dati relativi alla biografia di G. si ricavano dalle sue opere di medicina, che ebbero una grande fortuna fino al secolo XVI. Non sembra che G. abbia studiato a Bologna né che abbia insegnato nello Studio di quella città (non ancora istituzionalizzato); insegnò invece presso il Comune: nel 1269, infatti, risulta professore "in Gymnasio Bononiensi". Esercitò la chirurgia con consulti e cure in città diverse: Cremona, Milano, Pavia, Bergamo e Verona, dove nel 1275 svolgeva la professione di medico stipendiato dal Comune.
Compì molti interventi a Cremona, dove si era recato da Piacenza e dove curò un tale Bernardo de Avocatis, che aveva un ascesso a una spalla, e un certo Baldassarre (Chirurgia, I, 27); sempre a Cremona aveva curato alcuni feriti alla testa con spada o roncola: tale Enrico Cinzaro e tale Gabriele di Prolo, ferito a una gamba (ibid., II, 5). Nella Chirurgia narra di un'operazione compiuta, questa volta a Bergamo, su un soldato molto giovane gravemente ferito, dato per spacciato e curato invece con successo (II, 7). A Pavia mentre si trovava nel palazzo pubblico curò, chiamato dal medico maestro Ottobono, un soldato di nome Giovanni di Bredella all'apparenza morto per una ferita all'intestino (ibid., II, 15).
Un allievo di G., Lanfranco da Milano, che era originario probabilmente di Pisa e aveva studiato a Bologna, lo ricorda con gratitudine nella sua Chirurgia; Guy de Chauliac può essere considerato un continuatore di G. proprio attraverso l'opera di Lanfranco.
G. morì a Piacenza dopo il 1275, presumibilmente fra il 1280 e il 1285.
G. compose una Chirurgia e una Practica o Summa conservationis et curationis sanitatis, opera, quest'ultima, che costituisce la parte teorica che fissa la relazione tra la scienza universale e la scienza pratica. La composizione della Chirurgia dovette precedere quella della Practica in quanto nel prologo di quest'ultima è detto: "feci enim olim librum in quo de his quae pertinent ad manualem operationem seu Chirurgia secundum meam possibilitatem, complete determinavi". Tuttavia negli esemplari manoscritti o a stampa la Practica precede quasi sempre la Chirurgia, proprio per il suo carattere teorico di medicina pratica generale rispetto alla chirurgia, scienza meramente operativa.
La Practica fu scritta da G. su richiesta di Ruffino priore di Piacenza e dei suoi amici e per amore del figlio Leonardino, che egli voleva introdurre alla professione dell'arte medica.
La lettura di questo testo evidenzia il carattere del sapere medico del chirurgo che proprio da questo momento cominciò a chiamarsi physicus e non più medicus, ossia la stretta relazione tra l'operazione manuale e i principî generali della physis, cioè della natura del corpo umano. Il trattato è una vera opera di medicina pratica a fondamento teorico e inaugura la tradizione della medicina bolognese e padovana di Taddeo Alderotti e Pietro d'Abano, ossia della medicina come scienza che non è una mera arte meccanica, ma l'unione di teoria e pratica. Dal punto di vista formale questa opera si presenta come un trattato e non si configura ancora nella forma scolastica della quaestio.
L'insegnamento medico presente nella Practica era stato trasmesso nei secoli XII e XIII attraverso le opere della medicina salernitana di Costantino Africano, integrate dalle maggiori conoscenze in campo terapeutico e farmacologico di 'Alī ibn al-'Abbās, di ar-Rāzī e di Avicenna (Ibn Sīnā).
La scuola medica a cui si riallaccia G. è quindi quella della medicina salernitana greco-araba, fondata sulla dottrina dell'equilibrio o rottura delle combinazioni delle qualità umorali che regolano le complessioni sane e malate. Tuttavia G. si pone in posizione critica nei vari trattamenti delle operazioni e delle cure rispetto ai suoi predecessori, anche se l'impianto generale dei rapporti tra pratica e teoria medica rimane sempre lo stesso. Pertanto G. critica le dottrine della sensazione del dolore presenti nel De sensu di Aristotele, per richiamarsi alla spiegazione di Avicenna, e per lenire il dolore mostra di conoscere l'importanza dell'uso di alcune erbe che sono delle vere e proprie droghe calmanti. Nell'opera di G. si trovano numerosi termini arabi, che nelle traduzioni in volgare tendono a scomparire.
Secondo l'esigenza di G. di conferire dignità di scienza medica anche alla practica, ossia alle operazioni manuali della chirurgia, egli polemizza in molte sezioni della sua opera con gli empirici, che egli chiama laici, cioè i non dotti, i praticoni. Inoltre egli stabilisce un decalogo per il medico, assai somigliante a quello che sarà successivamente teorizzato da Pietro d'Abano nel suo Conciliator. La professione del medico comincia a configurarsi così come quella di un doctor di un sapere operativo che possiede conoscenze teoriche fondate su principî generali a cui attenersi.
Le connessioni tra la dottrina della chirurgia e quella della practica di G. sono strettissime perché non sono state ancora fissate le relazioni gerarchiche tra le due discipline, come avverrà più tardi. Si tratta invece, ora, di due specialismi distinti semplicemente dai loro modi operativi e dall'apparato tecnico e concettuale che presuppongono. La Practica ha una struttura disciplinare più sviluppata della Chirurgia che, tuttavia, sembra più nobile perché più efficace. G. rivela di avere a disposizione un ampio repertorio di autori come Ippocrate, Galeno, Avicenna, ar-Rāzī, Albucasis (Abū l-Qāsim az-Zahrāwī), sui quali si fonderà per trattare De regimine cibi et potus, De conservatione sanitatis, De flebotomia, De causis, De signis, De morbis a capite ad calcem, mostrando di conoscere dettagliatamente le differenze tra i vari punti di vista, di Avicenna, Almansor (al-Mānsūr ibn Abī Ā'mir), a cui si richiama spesso, per esempio a proposito della febbre quartana. Su questo argomento esordisce nel secondo libro con una accurata distinzione dei generi e delle specie delle febbri classificate secondo le cause che possono essere medicinales, a loro volta distinte in primitivae, antecedentes, e coniunctae. Egli impiega per queste definizioni i procedimenti logici delle argomentazioni scolastiche entro la particolare impostazione logica di Aristotele, ma con molte cautele, sottolineando i limiti della quaestio in medicina, per esempio sulla febbre.
Il prologo generale della Practica è molto importante perché fissa la problematica filosofica della relazione tra scienza pratica e teorica nei termini della metafisica aristotelica, sebbene ancora in forma assai approssimativa. Nel prologo è descritta la struttura dell'opera: essa è divisa in quattro parti in cui ogni capitolo è suddiviso in modo tale da riportare il nome della malattia e la sua descrizione; quindi la materia del caso e successivamente i segni che indicano quella malattia e le sue cause. Poi stabilisce una breve cura e infine parla della sua personale esperienza, ossia di ciò che ha verificato egli stesso "per usum et operationem". Il primo libro tratta di tutte le malattie del corpo con un capitolo sulla conservazione della salute e cioè la cura di tutte le malattie; il secondo delle febbri e di tutto ciò che è necessario nello studio e cura di esse; il terzo dei veleni; il quarto degli antidoti delle medicine semplici e composte che sono utili e necessarie nelle cure. Il prologo contiene infine un decalogo utile affinché il medico non si comporti come i "laici" o praticoni, empirici e profani. I precetti qui espressi con precisione non si trovano nella Chirurgia, dove si hanno invece descrizioni dettagliate, gli "exempli publici" (Padova, Biblioteca del Seminario vescovile, Mss., 49, f. 1rA) di suoi interventi su richiesta del medico curante, dove sono dichiarati i nomi dei pazienti, il carattere delle ferite, l'intervento chirurgico, la cura, il bendaggio e la preparazione delle medicine.
La Chirurgia è dedicata a Bono, probabilmente Bono Del Garbo, medico e padre di Dino, ed è redatta in forma di trattato. Secondo l'explicit di alcuni testimoni manoscritti (tra i quali Verona, Biblioteca civica, Mss., 610), G. avrebbe terminato l'opera a Bologna nel 1268 e avrebbe impiegato quasi quattro anni per redigerla "cursorie". Poi l'avrebbe emendata e rivista durante il suo soggiorno a Verona nel 1275: "Sigillavimus et complevimus emendative librum cirurgie nostre die sabbati VIII die Junii in civitate Verone in qua faciebam moram eo quod salarium recipiebamus a Comuni anno currente MCCLXXV; verum est ipsum ordinaveramus cursorie ante hoc tempus in Bononia per annos quattuor".
La suddivisione della Chirurgia è stata modificata nel corso del tempo: nella versione originaria l'opera è divisa in cinque parti o trattati, mentre in edizioni cinquecentesche si trova divisa in sei libri. I trattati sono poi suddivisi in capitoli. Al testo vero e proprio è premesso un prologo in cui G. fornisce la definizione della chirurgia e il suo carattere di scientia specialis particolare subordinata a quella universale che si trova nell'anima ed è acquisita per esperienza e ragione. Nel prologo G. ripropone i precetti già esposti nella Practica in numero di undici, mentre qui gli stessi precetti sono esposti più succintamente e ridotti a tre.
Partendo dal presupposto che il chirurgo deve possedere una scienza universale, ossia dei principî sui quali fondare la scienza speciale della chirurgia, G. polemizza con tutti i chirurghi praticoni e ignoranti che non ce l'hanno. La polemica con gli ignoranti, i laici, sarà costante anche nella Chirurgia, in cui G. critica numerosi interventi chirurgici di medici non solo del suo tempo, ma anche del passato.
Per i manoscritti della Practica e della Chirurgia in latino si vedano Kristeller e Thorndike - Kibre; l'editio princeps dei due testi fu pubblicata a Piacenza nel 1476 dal tipografo Giovanni Pietro Ferrati.
Esistono almeno due redazioni differenti della Chirurgia nella sua traduzione in italiano perché la versione presente nelle prime edizioni a stampa (Venezia, Filippo Petri, 1474 e Brescia, stampatore anonimo, 1486), è redazione diversa da quella presente nei manoscritti di Padova, Biblioteca del Seminario vescovile, Mss., 49, del sec. XIV-XV (sul quale: A. Donatello et al., I manoscritti della Biblioteca del Seminario vescovile di Padova, Firenze 1998, p. 19) e Firenze, Biblioteca nazionale, Conventi soppressi, C 1, 2651, del sec. XIV-XV.
La Chirurgia di G. è stata tradotta anche in francese (La cyrurgie de maistre Guillaume de Salicet, tradotta da Nicole Prévost, Lyon, Mathieu Huss, 1492; La chirurgie de Guillaume de Salicet, a cura di P. Pifteau, Toulouse 1898) e in boemo (Praga 1867, su cui si veda A.C. Klebs, Incunabula scientifica et medica, Hildesheim 1963, p. 163).
Fonti e Bibl.: M. Sarti - M. Fattorini, De claris Archigymnasii Bononiensis professoribus, a cura di C. Albicini - C. Malagola, I-II, Bononiae 1888-96, pp. 554 s.; K. Sudhoff, Beiträge zur Geschichte der Chirurgie im Mittelalter, II, Leipzig 1914-18, pp. 399-416, 463-467; A. Boreri, G. da S., studio storico-critico, Piacenza 1938; T. Tabanelli, La chirurgia italiana nell'alto Medioevo, II, Firenze 1965, pp. 499-800 (con l'edizione di una versione libera in italiano); M.L. Altieri Biagi, G. volgare. Studio sul lessico della medicina medievale, Bologna 1970; N. Siraisi, Taddeo Alderotti and his pupils, Princeton 1981, pp. 14-20; T. Zucconi, G. da S. e il progresso della medicina, in Storia di Piacenza, II, Piacenza 1984, pp. 404-408; J. Agrimi - C. Crisciani, Edocere medicos: medicina scolastica nei secoli XIII-XIV, Salerno-Napoli 1988, pp. 163-167; Id., The science and practice of medicine in the thirteenth century according to G. da S., Italian surgeon, in Practical medicine from Salerno to the black death, a cura di L. García-Ballester, Cambridge 1994, pp. 60-87; N. Siraisi, How to write a Latin book on surgery, ibid., pp. 88-109; M. McVaugh, introduzione a Guy de Chauliac, Inventarium sive Chirurgia magna, I, Leiden 1997, pp. XII-XVIII; L. Thorndike - P. Kibre, A catalogue of incipits of Mediaeval scientific writings in Latin, London 1963, s.v.; P.O. Kristeller, Iter Italicum. A cumulative index to volumes I-VI, sub vocibus Gulielmus de Placentia, Gulielmus Placentinus, Gulielmus de S., S., Gulielmus de, S., Gulielmus; Rep. fontium historiae Medii Aevi, V, pp. 319 s.