GUGLIELMO da Volpiano (Guglielmo di Digione), santo
Nacque all'inizio dell'estate del 962 nel castello di San Giulio sul lago d'Orta.
L'appellativo da Volpiano deriva dalla località del Canavese ove suo nonno Vibo, membro di una famiglia dell'alta aristocrazia germanica, in seguito a una faida era stato costretto a rifugiarsi e dove acquistò dei beni. Là nacque il padre di G., Roberto, conte durante il regno di Berengario II, in favore del quale, intorno ai mesi di giugno-luglio del 962, difese il castello di San Giulio dagli attacchi di Ottone I il Grande.
Nel corso delle operazioni belliche condotte in quel periodo da Roberto, da Perinza, nobile di stirpe longobarda imparentata forse per via indiretta con il futuro re d'Italia Arduino, nonché con lo stesso Berengario II, nacque G., ultimo di quattro fratelli (gli altri tre si chiamavano Goffredo, Nitardo e Roberto). Al termine dell'assedio Ottone I impose al bambino il nome G. e l'imperatrice Adelaide lo tenne a battesimo per solennizzare la pace raggiunta con Roberto dopo la vittoria su Berengario II.
Nel 969 G. fu presentato come oblato nel monastero di S. Michele di Lucedio, in diocesi di Vercelli. Qui, a motivo delle eccellenti doti intellettuali dimostrate negli studi grammaticali compiuti a Vercelli e a Pavia, ebbe incarichi di insegnamento e rivestì l'ufficio di sacrista. Gli fu inoltre affidata, quando non aveva ancora vent'anni, la cura degli affari interni ed esterni dell'abbazia. Il rifiuto del diaconato e del conseguente giuramento al vescovo di Vercelli, che G. considerava contrario allo spirito evangelico, lo mise in urto con il locale presule. Dopo un pellegrinaggio al monastero di S. Michele della Chiusa, tornato a Lucedio, nel 987 conobbe Maiolo, abate di Cluny, al seguito del quale si recò nell'abbazia borgognona, ove entrò come monaco e ricevette il diaconato. Nel 988 fu posto alla guida del priorato cluniacense di Saint-Saturnin-sur-Rhône (l'attuale Pont-Saint-Esprit).
Il trasferimento di G. in Borgogna, oltre (e forse più) che dal suo presunto desiderio di abbracciare una forma di monachesimo indipendente dalle autorità diocesane come quello cluniacense, dovette essere dettato dalle relazioni parentali che egli aveva, per parte materna, con Ottone Guglielmo, conte di Mâcon e poi duca di Borgogna, e con Brunone, vescovo di Langres, entrambi interessati a dare nuovo impulso alla vita monastica nei territori di loro competenza.
Non a caso, proprio su invito di Brunone, il 24 nov. 989 G. si insediò con dodici monaci cluniacensi nel monastero di St-Bénigne di Digione, un Eigenkloster del vescovo di Langres, subentrando alla comunità che vi aveva vissuto fino a quel momento. Nel 990 ricevette l'ordinazione sacerdotale, fu nominato abate di St-Bénigne (carica che conservò fino alla morte) e, negli anni immediatamente successivi, gli fu affidata la guida di altri monasteri sottoposti all'autorità di Brunone: St-Pierre di Bèze, Moutier-Saint-Jean (Reomaus), St-Michel di Tonnerre (certamente dopo il 992) e St-Pierre di Molosme. Tali abbazie conservarono anche sotto G. il proprio statuto di Eigenkloster e restarono indipendenti anche da St-Bénigne di Digione, che divenne in breve tempo uno dei maggiori centri di irradiazione della riforma monastica di tutto l'Occidente.
In seguito Enrico il Grande, duca di Borgogna e zio di Ottone Guglielmo, pose G. alla guida del cenobio di St-Vivant di Vergy, nella diocesi di Autun. Queste prime esperienze servirono da modello alle successive riforme operate da G. che, pur attribuendo talora il priorato a discepoli di provata fedeltà da lui formati a St-Bénigne, continuava tuttavia a esercitare sulle comunità una sorta di superiore controllo spirituale e giuridico (il patrocinium), riservandosi il diritto di tornare anche formalmente (come in qualche caso fece) alla guida di celle e monasteri. Nel 994 sottoscrisse il documento di elezione di Odilone di Cluny ad abate del cenobio cluniacense. Nel 995 intraprese un primo viaggio in Italia che lo condusse da Roma - dove papa Giovanni XV gli confermò il controllo dei monasteri di Bèze e di Digione - a Benevento, fino al santuario di S. Michele a Monte Sant'Angelo.
La capacità di coniugare la riforma della disciplina regolare con le esigenze dei proprietari laici ed ecclesiastici di celle e monasteri garantì il successo dell'opera riformatrice di G. che, tornato in Francia, ricevette prima del 996 la donazione a St-Bénigne della chiesa di Saint-Aubert-sur-Orne da parte di Riccardo (I) duca di Normandia. Nel 996-997 estese la propria riforma alla Lotaringia, dove gli furono affidati St-Arnoul di Metz e St-èvre di Toul (996-1004).
Nel corso del suo secondo viaggio in Italia (999-1001) si recò a Roma e a Farfa, ove introdusse la riforma cluniacense. Sulla via del ritorno fu colpito dalla malaria e costretto a soggiornare prima presso il monastero di S. Cristina sull'Olona, quindi a Vercelli e infine nelle terre dove era radicata patrimonialmente la sua famiglia. In quell'occasione avviò con i suoi fratelli (che avrebbero fatto ingenti donazioni) le trattative per la costruzione del monastero di S. Benigno di Fruttuaria (San Benigno Canavese, nella diocesi di Ivrea).
Tornato in Francia su richiesta del duca Riccardo (II), assunse l'abbaziato del monastero La Trinité di Fécamp (1001), prima tappa dell'espansione della sua riforma in Normandia, dove si sarebbe recato diverse volte. Il centro irradiatore della sua attività restava tuttavia St-Bénigne, che riedificò nel 1002 e attorno al quale raccolse negli anni seguenti numerosi priorati, chiese e celle, organizzando una vera e propria rete monastica.
In occasione del suo terzo viaggio in Italia il cenobio di Fruttuaria, secondo una fonte non del tutto fededegna, fu consacrato il 23 febbr. 1003; in seguito il monastero ebbe un diploma di conferma dal re d'Italia Arduino (1005). Proprio i buoni rapporti con quest'ultimo spiegano l'ostilità di G. verso il vescovo Leone di Vercelli, schierato contro il sovrano italico in favore di Enrico II. Solo dopo la sconfitta di Arduino G. ricevette un diploma per Fruttuaria anche da Enrico II nel 1006, poco prima che la chiesa del monastero venisse consacrata in sua presenza (1006-07). Non esistono invece elementi di datazione convincenti per la fondazione dell'unico monastero femminile da lui istituito nel Regno italico (forse quello di Buzzano).
Successivamente G. compare in qualità di sottoscrittore in un documento del vescovo Brunone di Langres per il monastero di Bèze (1008). In una data imprecisata tra il 1012 e il 1017 riformò il monastero di Gorze nella diocesi di Metz. Forse nel 1012 ritornò a Roma per chiedere al papa Benedetto VIII la protezione apostolica per Fruttuaria. Certamente in Italia nel 1014-15, ottenne documenti di conferma per il monastero canavesano da Enrico II (1014) e, di nuovo, da Benedetto VIII (1015). I buoni rapporti intrattenuti con questo pontefice sono testimoniati anche dal privilegio del 1016 per il monastero di Fécamp.
Le linee essenziali della concezione della libertà monastica teorizzata da G. sono sintetizzate nel singolare documento, databile fra il 3 genn. 1015 e il 30 genn. 1016, con il quale egli illustrava la vicenda della fondazione di Fruttuaria e ne chiariva lo statuto giuridico, mettendone in rilievo l'assoluta indipendenza da qualsiasi vescovo, monastero o autorità laica. Per conferire validità al documento lo corroborò con 324 sottoscrizioni di altrettanti monaci, grandi abati, vescovi e perfino monarchi. Tra questi Roberto II, re di Francia, di cui G. fu ascoltato consigliere e che nel 1025 fu da lui consolato per la morte del figlio ed erede al trono Ugo. L'anno seguente lo stesso sovrano lo pose alla guida dell'importante monastero parigino di St-Germain-des-Prés.
In occasione del viaggio compiuto in Italia nel 1026-28, G. ottenne due diplomi per Fruttuaria da Corrado II, emanati il primo a Ivrea (1026) e il secondo dopo l'incoronazione imperiale, a Roma (1027). Il 17 ott. 1028 presenziò alla consacrazione della chiesa del monastero di S. Giusto di Susa, fatto erigere dal marchese di Torino Olderico Manfredi.
Tornato in Francia, nel dicembre del 1030 si ammalò durante una visita al monastero di Fécamp, dove morì il 1º genn. 1031.
Di G. ci resta una lettera di dubbia autenticità scritta nel 1026-27 a Odilone abate di Cluny (Epistola ad Odilonem Cluniacensem abbatem, in J.-P. Migne, Patr. Lat., CXLI, coll. 869-872; per altre opere, quasi certamente spurie, cfr. Sancti Willelmi Divisionensis abbatis… opera…, a cura di E. de Levis, Augustae Taurinorum 1797) circa l'opportunità per alcuni cluniacensi di restare nel monastero di Vézelay nonostante la scomunica loro comminata dal vescovo di Autun, Elmoino.
G. coltivò anche interessi musicali in funzione del rinnovamento della liturgia monastica e in particolare del canto. Al suo insegnamento si riferisce con buone probabilità il manoscritto conservato a Montpellier (Bibliothèque de la Ville et du Musée Fabre, H.159), redatto per la schola di St-Bénigne di Digione, nel quale i pezzi melodici sono raggruppati per generi e per toni e con notazione sia neumatica sia alfabetica. A G. si attribuisce altresì l'introduzione dell'in organum, primitiva forma polifonica costruita su una melodia gregoriana. Non poggia, invece, su prove incontrovertibili la pur significativa tradizione che lo vuole fondatore dei jongleurs de Normandie, una confraternita laicale dedita al canto e alla musica sacra.
La ricostruzione dell'attività artistica di G. è strettamente legata alla sua opera di riformatore. Importante in tal senso appare la restaurazione spirituale e materiale dell'abbazia di St-Bénigne di Digione, ma soprattutto della sua chiesa (sulla data di inizio dei lavori - 14 febbr. 1002 - si veda Heitz, p. 64 e n. 1) che versava in rovina.
A un impianto basilicale fu unita la celebre rotonda, una struttura su tre livelli, in corrispondenza del capocroce, oggi conservata solo nel piano inferiore. La consacrazione della parte maggiore dell'edificio sacro venne celebrata il 30 ott. 1016 (ibid., p. 64: 1017) da Lamberto, vescovo di Langres; e il 13 maggio 1018 si inaugurò la rotonda (Schlink, p. 45, considera questa data riferibile solo al primo piano). Gli scavi degli anni 1976-78 hanno permesso di stabilire con certezza la terminazione ad ovest, l'esistenza di due sole navate laterali e di un transetto continuo con probabili torri agli angoli occidentali. È stato individuato l'ingresso alla cripta, di cui sono emersi alcuni elementi, e si è ipotizzata la presenza di passaggi nei muri (Malone, 1980; 1996).
La complessità della pianta e i numerosi altari rivelano la preoccupazione principale di G. rivolta appunto a soddisfare esigenze liturgiche. Gli studiosi hanno proposto vari possibili modelli per la rotonda (il Pantheon e la chiesa di S. Stefano a Roma, il Santo Sepolcro di Gerusalemme, per citare solo quelli considerati più frequentemente o con larghezza di motivazioni). Schlink ha sottolineato i legami fra il Pantheon e la rotonda voluta da G. anche da un punto di vista spirituale e liturgico, considerando, tra l'altro, la corrispondenza del giorno di consacrazione e la medesima dedica alla Vergine, e reputando ingiustificati altri rimandi. Tuttavia, la struttura di Digione trova ulteriori collegamenti con le cripte carolingie a rotonda orientale, e la chiesa in genere può ritenersi, nella sua complessità, una sintesi di forme preromaniche borgognone, ottoniane, italiane, arricchite da reminiscenze antiche (Malone, 1980, p. 277; 1996, p. 57). L'abbazia divenne poi a sua volta modello, in primo luogo spirituale e non in ultima istanza architettonico, e fu meta di visita anche da parte di specialisti costruttori.
La scultura superstite attesta la presenza di artefici di formazione diversa, alcuni probabilmente provenienti dall'Italia. La critica più recente (Baylé, 1996) ha verificato l'omogeneità delle maestranze che realizzarono i capitelli della rotonda, sottolineando l'utilizzo della medesima tecnica e la presenza di uno stesso stile; la varietà dei riferimenti, oltre a quelli riguardanti l'oreficeria altomedievale, include spunti ottoniani e notevoli apporti italiani. Architettura e scultura si completano nel significato simbolico, che rimanda alla Gerusalemme celeste: della scelta del programma scultoreo è stato ritenuto responsabile Guglielmo. La ricostruzione dell'abbazia di Digione si rivela come un'opera concepita e scaturita dalla mente dell'abate, che vi prestò particolare cura, "magistros conducendo et[…] opus dictando" (Heitz, p. 69).
Anche la pianta della chiesa annessa all'abbazia di S. Benigno di Fruttuaria, fondata da G., è di tipo basilicale, a tre brevi navate tagliate da un transetto particolarmente sviluppato, sporgente e concluso da due cappelle; si può ipotizzare un coro tripartito da cappelle comunicanti tra loro e con absidi semicircolari, sovrastante una cripta fuori terra; l'atrio, con funzione funeraria, sarebbe stato realizzato in un secondo momento, ma già previsto nel progetto originale; il campanile, non coinvolto nella ricostruzione settecentesca, è staccato dal corpo principale come in altri esempi ricollegabili alla tradizione padana. L'impiego del cosiddetto coro "benedettino" rispondeva a esigenze legate al cerimoniale sacro e imposte dall'abate costruttore (sul suo contributo alla diffusione di questa tipologia architettonica: Pejrani-Baricco, 1988, pp. 591 s.; 1996, p. 88). Fra i vari riferimenti a Cluny e Digione, la somiglianza di alcune misure non è sembrata casuale (ibid., 1996, p. 83), trattandosi, nel caso di Fruttuaria, di una costruzione ex novo. La chiesa piemontese ricevette, sin dalla sua origine, una reliquia del Santo Sepolcro, che determinò la costruzione di una piccola rotonda in muratura nel settore orientale della crociera e l'istituzione di un particolare rito voluto dallo stesso fondatore; questo ha suggerito l'ipotesi che nel monumento alla funzione liturgica e simbolica si associasse quella martiriale (ibid., 1988, p. 598).
Non è possibile valutare l'influenza esercitata dall'abate nella costruzione di chiese italiane come per esempio quella di S. Stefano a Ivrea, o francesi, come Saint-Seine-l'Abbaye in Borgogna (Bulst, 1996, pp. 19 s.). È indubbio tuttavia il ruolo di mediazione che egli svolse fra l'Italia settentrionale e la Francia.
A G. si deve una spinta culturale che investì più strati sociali e arti: nel primo quarto dell'XI secolo, lo scriptorium di Fécamp elaborò, sotto la sua influenza e quella del suo successore, Giovanni da Ravenna, un proprio stile di decorazione libraria (Baylé, 1997, p. 731).
G., che per la sua severità si meritò l'appellativo di "supra regulam", è stato identificato (Canestro Chiovenda, pp. 60-71) con il personaggio severo, dal piglio quasi militaresco, scolpito sul pulpito della chiesa di S. Giulio nell'omonima isola del lago d'Orta.
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