PAZZI, Guglielmo de'
PAZZI, Guglielmo de’. – Nacque il 6 agosto del 1437 da Antonio di Andrea de’ Pazzi e Niccolosa degli Alessandri.
Nel 1460 Guglielmo prese in moglie Bianca, figlia di Piero di Cosimo dei Medici, e sorella di Lorenzo il Magnifico, nel quadro di un progetto nuziale mirante ad attenuare le tensioni che venivano affiorando tra due famiglie così ricche e potenti. A lui e a Giovanni era intestata la ragione sociale dell’azienda di Roma. Inoltre, già dai primi anni Sessanta fu titolare di una banca a Ginevra insieme a Francesco Nasi, corrispondente del banco Cambini tra il marzo 1461 e il dicembre del 1462 (Tognetti, 1999, p. 228). Nel 1466 a Guglielmo e a Nasi si associò Francesco Capponi: i tre fondarono un’importante banca a Lione, ancora tra i corrispondenti dei Cambini tra il 1472 e il 1473.
La ditta, che rappresentò fino al 1478 la concorrenza più qualificata nei confronti dei Medici (De Roover, 1963, trad. it. 1988, pp. 448 e 531; Spallanzani, 1987, pp. 307-310) venne meno in seguito alla congiura dei Pazzi in cui furono coinvolti i fratelli di Guglielmo. Il rapporto tra Pazzi e Cambini si ripropose in una forma assai meno solidale poco dopo i fatti del 1478: fu proprio un Cambini, Francesco, a ottenere l’incarico di curare, per conto dei Medici, la confisca dei beni dei Pazzi in seguito alla condanna (Böninger, 1998, p. 50).
Pur trovandosi a Roma dall’autunno del 1464 almeno fino al gennaio successivo, certo a seguito degli affari dell’azienda, fu proprio lui nel mese di maggio ad accompagnare Lorenzo nella sua prima missione ufficiale presso la corte sforzesca: l’occasione nasceva dall’arrivo a Milano del giovanissimo Federigo d’Aragona incaricato di prendere in consegna Ippolita, figlia del Duca e sua futura cognata, per scortarla a Napoli dove si sarebbero celebrate le sue nozze con Alfonso, Duca di Calabria. La familiarità con Lorenzo emerge anche dalla corrispondenza superstite: con una lettera dell’aprile 1468 Guglielmo ne caldeggiava al Magnifico il latore, «ser Geronimo sta con Iacopo Alexandri per ripetitore», aggiungendo a suggello, l’assenso della moglie, «Raccomandotelo di buono chuore quanto posso, e ’l simile fa la Biancha» (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo Avanti il Principato, filza XX, 386). Il rapporto di intesa e amicizia che tra i due si era instaurato, tuttavia, non impedì a Lorenzo di impiegarlo a suo vantaggio, ora tentando di porlo al margine della vita politica fiorentina, ora utilizzandolo come pedina interna per contrastare le ambizioni di individui più temibili come suo zio Jacopo Pazzi; il fatto che Guglielmo fosse stato ammesso a far parte della Balìa del 1471 era, secondo i dispacci degli ambasciatori milanesi allo Sforza, il risarcimento concesso da Lorenzo alla famiglia per averne tenuto fuori Jacopo (Martines, 2003, trad. it. 2004, p. 101).
Accatastato con i fratelli minori Giovanni e Francesco nel quartiere di S. Giovanni, Guglielmo possedeva, alla denuncia fiscale del 1469, molti immobili cittadini nell’area di San Pier Maggiore e poderi nel contado tra San Donato alle Torri, Gaville, Remole e Quona.
Anche se Guglielmo fu certamente il meno antimediceo della casa, fu tuttavia intorno alle figure dei suoi fratelli Francesco e Giovanni che si coagulò, dopo la morte di Piero dei Medici, l’intolleranza per l’operato del Magnifico. I motivi di conflitto tra i Pazzi e Lorenzo, erano numerosi: la ricchezza dei primi e il potere del secondo davano origine a continui attriti, e lo stesso Machiavelli (Storie, VIII, I-II) riteneva che allo sdegno dei Pazzi per non aver ricevuto da Lorenzo onori adeguati al loro status, facesse eco, in costui, il timore che costoro accumulassero troppo potere.
La tesoreria papale, un tempo in mano ai Medici e gestita nella sede romana da Giovanni Tornabuoni, a seguito di inimicize incorse fra il papa e Lorenzo venne ceduta ai Pazzi: fu il fratello Francesco, che abitava a Roma – dove era anche titolare di una compagnia a suo nome – che ottenne da Sisto IV l’ufficio della depositeria apostolica tolta al Magnifico e fu ancora Sisto IV, nel giugno del 1476, a trasferire dalla banca Medici a quella Pazzi, il monopolio dell’allume. Poco dopo il passaggio della tesoreria, la vacanza delle sedi arcivescovili di Firenze prima, di Pisa poi, tornarono nuovamente a opporre Lorenzo dei Medici e Francesco dei Pazzi: per la sede fiorentina, infatti, la candidatura di Rinaldo Orsini, cognato del Magnifico, si scontrava con quella di Francesco Salviati, cugino di Pazzi. E se in questo caso ebbe la meglio Rinaldo Orsini che fu eletto arcivescovo il 24 gennaio del 1474, neanche dieci mesi dopo, il 14 ottobre dello stesso anno, Salviati otteneva l’arcivescovato di Pisa con il favore di Sisto IV. Le controversie che ne originarono si protrassero per un anno intero. In questo panorama intervenne, a dare il colpo di grazia, il caso dell’eredità Borromeo. Protagonista l’altro fratello di Guglielmo, Giovanni, che aveva sposato la figlia del ricco mercante Giovanni Borromeo. Nel venire a morte senza figli maschi, Borromeo aveva stabilito che le sue sostanze pervenissero in eredità alla figlia Beatrice e, di conseguenza, a Giovanni dei Pazzi suo marito. La disposizione scatenò il disaccordo di Carlo Borromeo, nipote del defunto, che aspirava all’eredità dello zio. Ad avallarne le pretese intervenne il Magnifico che, nel marzo del 1477, fece emanare una legge con cui si vietava alle figlie di ereditare i beni del padre in presenza di nipoti maschi. Così, il patrimonio destinato in origine ai Pazzi finì per essere assegnato a Borromeo.
Sebbene Guglielmo fosse probabilmente davvero estraneo alla congiura che ne seguì, il diretto coinvolgimento dei suoi fratelli spiega perché anche egli fu colpito dalla repressione che ne seguì e condannato, con sentenze del 28 aprile, a un esilio da 5 a 20 miglia (A. Perosa, in A. Poliziano, Della congiura dei Pazzi (Coniurationis commentarium), 1958, pp. 83-86). L’esilio venne revocato solo a distanza di sedici anni, nel 1494, ma nonostante la dura punizione il legame con i Medici non tardò a far sentire i suoi effetti: già nel 1480 gli venne concesso di potersi spostare, seppure a debita distanza da Firenze (a Valenza, da dove continuò a scriversi con il Magnifico, almeno dal novembre 1481 al marzo del 1483, Protocolli del carteggio di Lorenzo il Magnifico per gli anni 1473-74, 1477-92, a cura di M. Del Piazzo, 1956, pp. 173, 197, 225) e anche i buoni matrimoni delle figlie, negli anni successivi, rivelano uno stato di cose meno drammatico di quanto si potesse presagire.
Tuttavia, se la parentela con i Medici giovò a Guglielmo una sorte migliore di quella che toccò ai fratelli imprigionati e giustiziati, essa non valse a risparmiargli l’onta dell’esproprio quando i beni di famiglia vennero messi in vendita: tra questi il palazzo, che le fonti descrivono con un giardino adorno di sculture, tra cui una bella fontana in granito realizzata da Donatello a imitazione di quella fatta per Cosimo dei Medici (Elam, 1992, p. 64), che venne acquistato da Carlo Borromeo.
Come è ovvio, infine, le conseguenze del 1478 si abbatterono in maniera decisiva anche su quella che già appariva come una carriera politica frammentaria. Se infatti, eccetto il Priorato ricoperto nel 1467, le restanti elezioni erano andate a vuoto per mancato raggiungimento dell’età richiesta, dalla fine degli anni Settanta l’estrazione del suo nome agli uffici maggiori crollò a causa dei più svariati impedimenti: insolvente con il fisco nel 1481, inabile nel 1484 e nel 1485, cedola dilaniata nel 1485, al confino nel 1494. Con la cacciata dei Medici e la venuta di Carlo VIII, Guglielmo ritornò a Firenze dove ricoprì vari incarichi diplomatici e amministrativi, guadagnandosi tuttavia una mediocre reputazione. Solo alla revoca del bando fece seguito un progressivo e tenue recupero che lo portò, nel 1512, all’età di 75 anni a rivestire l’ufficio di gonfaloniere di Giustizia. Vedovo di Bianca ormai dal 1488, che lo aveva reso padre, tra maschi e femmine, di tredici figli, Guglielmo morì in età avanzata nel 1516.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Catasto 927, cc. 491r-496r; Mediceo avanti il principato, filza XX, n. 386; 650; XXI, n. 155; filza XXII, n. 51; filza XXIII, n. 9, 282, 619; filza XXVIII, n. 478; filza XXIX, n. 815, 891; filza XXX, n. 781; filza XXXII, n. 492; filza XXXIII, n. 30; filza XXXV n. 448, 593, 665, 822; filza XXXIX n. 598; filza CVI, n. 28; filza CXXXVII, n. 121, 128; Raccolta Sebregondi, 4097/a; F. Guicciardini, Storie Fiorentine dal 1378 al 1509, a cura di R. Palmarocchi, Bari 1931; Protocolli del carteggio di Lorenzo il Magnifico per gli anni 1473-74, 1477-92, a cura di M. Del Piazzo, Firenze 1956; A. Poliziano, Della congiura dei Pazzi (Coniurationis commentarium), a cura di A. Perosa, Padova 1958; R. De Roover, The rise and decline of the Medici Bank, 1397-1494, Cambridge (Mass.) 1963 (trad. it. Firenze 1988); A. Moscato, Il Palazzo Pazzi a Firenze, Roma 1963; M. Spallanzani, Le aziende Pazzi al tempo della congiura del 1478, in Studi di storia economica toscana nel Medioevo e nel Rinascimento in memoria di Federigo Melis, Pisa 1987, pp. 305-320; C. Elam, Lorenzo dei Medici’s sculpture garden, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXXVI (1992), pp. 41-84; L. Böninger, Francesco Cambini (1432-1499): doganiere, commissario ed imprenditore fiorentino nella Pisa laurenziana, in Bollettino storico pisano, LXVII (1998), pp. 21-55; S. Tognetti, Il Banco Cambini, Firenze 1999; L. Martines, April blood: Florence and the plot against the Medici, Oxford-New York 2003 (trad. it. La congiura dei Pazzi. Intrighi politici, sangue e vendetta nella Firenze dei Medici, Milano 2004); W. Ingeborg, Lorenzo il Magnifico e il suo tempo, Roma 2005 (con bibliografia aggiornata); N. Machiavelli, Istorie fiorentine, in Opere, a cura di C. Vivanti, III, Torino 2005.