DELLO MONACO (Lo Monaco, Monaco, Monacus), Guglielmo (Guglielmo Monaco)
Nacque a Parigi da Gualtiero nella prima metà del sec. XV; di lui non abbiamo notizie fino al 1443, anno in cui, Filippo Maria Visconti alla cui corte egli si trovava in considerazione della sua perizia "in fabricandis horologis et ... conficiendis multiplicibus machinis", lo nominò suo familiare. Nel 1452 il D. era a Napoli, al servizio di Alfonso il Magnanimo con una provvigione annua di 400 ducati d'oro. A quell'epoca egli era già circondato da una solida fama di abile artigiano: i documenti ufficiali lo dicono "egregie instructus arte horologiorum et quarundam pulchrarum rerum". Dal canto suo, il sovrano aragonese non lesinò gli sforzi e le spese per blandire e, legare a sé durevolmente l'artista. Al "diletto" D. venne dunque assegnato un emolumento fisso, pagabile in due rate, con la dichiarata finalità di consentirgli in tal modo una esistenza scevra da preoccupazioni e di incoraggiarlo a dedicarsi al suo lavoro "bene, alacri, libero et toto animo". Il relativo privilegio, munito "tanto de sigillo pendente quanto del quadro e de rotundo" eccezionalmente gli venne spedito "gratis et senza pagamento" di tassa alcuna (10 genn. 1452).
Dello stesso anno è la notizia di un suo viaggio a Ferrara - probabilmente motivato da un impegno di lavoro - per il quale il D. ottenne da Alfonso diritto di libero transito. Nel 1456 il duca di Milano avrebbe voluto averlo di nuovo presso di sé per il tempo necessario a completare l'orologio posto nella libreria del castello di Pavia, ma non sembra che il D. fosse più uscito dal Regno, dove godeva della stima incondizionata dei sovrani aragonesi. Alfonso gli permise di aggiungere le armi d'Aragona alle sue (grifo rampante d'oro in campo azzurro) onde marcare il favore da lui goduto presso la corte; Ferrante, che lo ebbe molto caro, si affrettò appena salito al trono (1458) a confermargli la provvigione annua di 400 ducati.
Altre importanti concessioni gli accordò Ferrante, in riconoscimento dei servizi prestati: la gabella della piazza Maggiore di Napoli, cioè il diritto di riscuotere 10 grana per oncia su ogni bestia o altro vi si vendesse (1463); la licenza di edificare a suo piacimento su di un altro terreno, contiguo al precedente, che il D. aveva - un comprato dal convento di S.Pietro (1466); terreno situato al Molo piccolo e la facoltà di erigervi case e botteghe (1465). Acquistò invece a proprie spese il feudo di Monasterace in Calabria Ultra e la bagliva di Cosenza, ma, sempre in segno di gratitudine, il sovrano si accontentò di un prezzo (5.874 ducati) di molto inferiore al reale valore dei beni. Monasterace fu poi rivenduto dal D. a Silvestro Galeota (1486). Qualche tempo prima egli aveva ceduto a Giovanni Poù i feudi di Perricello e di Campolongo in Calabria Ultra.
Il D. era stato ingaggiato da Alfonso "ad conficiendum ... horologia et alia que sua ars fert". Effettivamente nel 1458 cominciò a costruire un orologio a campane, da collocarsi sulla gran sala del Castelnuovo, per il quale gli fu versata la prima rata mensile (60 ducati) del prezzo convenuto di 1.117 ducati. I pagamenti, sospesi alla morte di Alfonso, ripresero nel 1459 per volontà di Ferrante.
Tuttavia, è probabile che l'assunzione del D. fosse stata motivata non tanto dalla sua perizia di ingegnoso orologiaio, quanto dalla esperienza maturata come fonditore di bombarde. Le "altre cose" cui si faceva genericamente riferimento erano appunto i nuovi ordigni che i progressi dell'arte della guerra avevano da poco escogitato e che rivestivano grande interesse agli occhi di un monarca impegnato, come Alfonso, in una ambiziosa politica di potenza. La difesa del Castelnuovo durante il regno di Alfonso e di Ferrante fu affidata quasi esclusivamente alle bombarde: all'epoca si riteneva che la più potente artiglieria esistente fosse quella che Alfonso aveva allestito nella reggia.
Già nel 1453 il D. era al lavoro, fondendo alcune bombarde, per le quali ricevé la somma di 500 ducati. In quello stesso anno Alfonso, spinto dal timore di un colpo di mano dei Genovesi, gli ordinò di piazzare grosse bombarde in vari punti del litorale napoletano, a difesa delle navi ormeggiate nel porto.
Successivamente, e per l'intera durata della sua carriera, il D. divise equamente i suoi impegni fra opere di pace ed opere di guerra. Dal 1466 a 1472 (quando fu sostituito da Luciano de Laurana), tenne la carica di "mestre maior dela Artelleria", con l'annua provvigione di 600 ducati e continuò fino al 1474 a fabbricare trabucchi, cirbottane e bombarde, in bronzo, secondo i più moderni ritrovati della tecnica.
Nel contempo partecipò ai lavori di rifacimento del Castelnuovo: oltre a costruire l'orologio a campane, che non era ancora terminato nel 1470, fuse una campana destinata al campanile posto sulla facciata della cappella palatina, per la quale gli erano stati consegnati quattro quintali di stagno; provvide a dorare nel parco della reggia il padiglione di copertura di una fontana voluta da Alfonso, ricevendo 100 ducati; curò, infine, la fusione del bronzo destinato alle porte del castello. Infatti, in uno dei medaglioni che, a guisa di borchie, stanno agli angoli dei battenti, si scorge il ritratto del D., con la scritta "Guillelmus Monacus me fecit miles". A questo proposito, è stata formulata da Riccardo Filangieri l'ipotesi che l'intervento del D. non si sia limitato alla semplice fusione del metallo, ma abbia interessato anche la progettazione della composizione plastica della porta, nella quale Ferrante volle eternare il ricordo della vittoria riportata su Giovanni d'Angiò. Le capacità necessarie a realizzare una simile opera non gli avrebbero certamente fatto difetto: infatti, secondo il costume del tempo, egli usava arricchire le armi di sua fabbricazione con un vasto repertorio di decorazioni che conferivano loro un significato artistico trascendente la pura e semplice funzionalità bellica. Il capolavoro del D., un ordigno colossale del peso di 198 cantaia e 22 rotoli, denominato "la napoletana" (che gli fu pagato 773 ducati e fu portato in Castelnuovo il 14 sett. 1455), recava scolpite anteriormente le armi aragonesi e del Regno di Sicilia e ai lati due "imprese". Inoltre, proprio il D., sempre a giudizio del Filangieri, avrebbe realizzato alcuni dei disegni di bombarde che il Pisanello (Antonio di Puccio), aveva tracciato durante il suo soggiorno alla corte aragonese (1448-1450), bombarde assimilabili per l'eleganza delle forme e la ricercatezza delle ornamentazioni a vere e proprie opere d'arte.
Orologiaio, fonditore, scultore, l'eclettico D. si cimentò ancora in un altro tipo di attività: nel 1461 "per li fructuosi et relevanti servictii prestiti in la prossima passata guerra" (contro Giovanni d'Angiò), ebbe in concessione da re Ferrante "tuqte le alumere de questo regno excepto quelle de Ischia et de Lipari".
In conseguenza di ciò, il D. impiantò presso il lago di Agnano una fabbrica di allume che in soli tre anni, con l'aiuto di tutta la famiglia, mise in grado di funzionare. La fabbrica comprendeva un opificio, fornaci, caldaie, un deposito, vari attrezzi; non mancavano le bestie da soma per il trasporto del materiale. Con un contratto stipulato il 20 maggio 1465, il sovrano si impegnò a pagare la metà del capitale impiegato "in tutte le cose mobili" e a contribuire, sempre nella proporzione del 50%, alla spesa giornaliera e al salario dei circa 130 operai, riserbandosi, in cambio, la metà dell'allume che si sarebbe prodotto, previsto in 200 cantaia al mese. Dismessa nel 1469la fabbrica di Agnano, ne fu poi ripristinata un'altra presso Pozzuoli. Non sappiamo se l'impresa si rivelasse redditizia; in ogni caso, la carica di governatore delle regie miniere di allume assicurava lauti guadagni: basti pensare che nel 1471egli fu in grado di prestare grosse somme di denaro al re.
Il D. morì, probabilmente a Napoli, nel 1489.
Divenuto già nel 1453cittadino napoletano, il D. aveva stabilito la sua dimora in un palazzo con vigna e giardino situato fuori Napoli, di fronte a Castelnuovo, nella zona dove si andava raccogliendo la nuova élite cittadina, cresciuta all'ombra dei trono aragonese. Ignoriamo il nome della moglie, dalla quale ebbe due figli, Luigi ed una femmina. Furono appunto i figli di Luigi e di Criseida Perrella che, defunti tutti gli altri parenti, raccolsero l'eredità dell'avo paterno: un'eredità piuttosto cospicua, che comprendeva argenterie, gioielli, denaro liquido, tappezzerie, manoscritti pergamenacei e libri a stampa, biancheria, cinque schiavi negri, la bagliva di Cosenza, numerosi beni immobili (case con botteghe site in Napoli al Molo piccolo, alla Selleria, a S. Pietro Martire, un'altra con corte, giardino e fontana nel borgo di Pozzuoli, una masseria a Soccavo) e infine, quasi a suggello della sua attività di infaticabile fonditore, una bombarda.
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