BULGARO, Guglielmo di
Primogenito di Simone, nacque agli inizi del sec. XIII da illustre famiglia genovese. Il suo nome è ricordato per la prima volta dalle fonti a noi note nel 1230, quando ottenne dalla moglie Sibilia 35 lire di genovesi a titolo di prestito, che prometteva di restituire entro tre anni. Dopo la morte di Sibilia, avvenuta in un anno a noi ignoto, il B. sposò - non sappiamo quando - una certa Careta, che era ancora viva nel 1288 e dalla quale ebbe un figlio, Simonino. Per tutta la sua vita risiedette a Chiavica, centro commerciale di Genova.
Il B. iniziò il suo apprendistato nel grande commercio internazionale esercitando la mercatura in Oriente; in seguito costituì con i fratelli minori Giacomo e Bulgarino una società per l'esportazione e l'importazione da e per i paesi d'Oltremare. Sappiamo, ad esempio, che egli, nel 1251, perdette gran parte di un carico di pepe, caduto nelle mani degli armati di Hyères, i quali avevano abbordato e, quindi, sequestrato la galera che lo trasportava. Solo a fatica il B. giunse a recuperare un'aliquota della preziosa merce, che poté in seguito collocare sulla piazza di Montpellier. Proprietario di case sul porto, volle in genere affittarle a mercanti. Messo da parte un discreto capitale, il B. abbandonò gradualmente l'esercizio diretto della mercatura per dedicarsi soprattutto all'attività cambio-bancaria (prestiti di danaro, finanziamenti, compravendita di immobili). In questo secondo periodo della sua attività commerciale egli preferì investire i propri guadagni nell'ingrandire le sue proprietà fondiarie, acquistando terreni soprattutto a Rapallo. Aveva contemporaneamente iniziato la sua fortunata carriera politica. Avvocato della Chiesa di Genova, nel 1248, all'epoca della quarta magistratura podestarile genovese di Rambertino di Bovarello - l'uomo politico bolognese noto come poeta provenzale - fu tra gli "Otto Nobili ossia Clavigeri del Comune", e collaborò attivamente a porre Genova con il suo territorio in grado di sostenere con successo e di rintuzzare il probabile attacco di Federico II, allora tuttavia impegnato sotto le mura di Parma. Nominato "console e vicecomite dei Genovesi in Siria" per l'anno 1249 insieme con Simone Malocello, il B. si trasferì con il collega ad Acri, da dove diresse per conto delle autorità municipali l'amministrazione delle colonie della Repubblica in Siria. Scaduto dalla carica e rientrato in Italia prima del maggio 1250, quando esplose il conflitto fra Manfredi - reggente nel Regno in nome di Corrado IV di Svevia - e il papa Innocenzo IV, il B. fu uno dei più attivi propagandisti dell'arruolamento dei volontari per l'esercito che il pontefice andava reclutando contro il reggente. Arruolatosi egli stesso, trovò la morte nel 1254, nella grande battaglia sotto le mura di Foggia che vide gli eserciti della Chiesa battuti da quelli di Manfredi.
Il B. ebbe tre fratelli minori: Giacomo, Bulgarino, e Ugolino. Suo padre, Simonedi Bulgaro, fu anch'egli mercante e uomo politico di un certo rilievo. Sappiamo che nel 1207, subito dopo l'audace colpo di mano compiuto dai Pisani contro le navi genovesi all'ancora nel porto di Cagliari, egli ebbe il comando del Santo Iacopo, il vascello inviato dalle autorità municipali per un'azione dimostrativa nelle acque della Sicilia; e che egli, "trovando ivi gli uomini di Messina atterriti e stupefatti per timore dei Pisani, del tutto li confortò". Console di Genova nel 1216 accanto a Filippo Embriaco, Raimondo della Volta, Percival Doria, Guglielmo Spinola, Lanfranco della Turca, dispose - d'accordo con i suoi colleghi - l'approntamento di una squadra di sei navi e dodici galere, e impose ai Genovesi una contribuzione straordinaria di 3 denari per libbra sul valore dei beni mobili e immobili, per finanziare la creazione del dispositivo di difesa necessario a respingere il temuto attacco veneto-pisano. Al supremo magistrato era giunta infatti notizia "di navi dei Veneziani e dei Pisani che... dovevano armarsi a Costantinopoli". Nel 1222, passata Ventimiglia sotto il dominio della Repubblica, Simone venne inviato in quella città per riscuotervi il tributo dovuto - secondo i trattati - alla Dominante. L'anno successivo, insieme con Enrico Rogiato e Marchisio Scriba, egli venne inviato a Marsiglia come plenipotenziario del podestà di Genova - allora Spino da Soresina -, con il compito di cercar di comporre per via diplomatica la crisi apertasi nei rapporti tra le due comunità in seguito all'arresto di un mercante genovese, Rainaldo Arcanto.
Costui, un nobiluomo che viaggiava per commissione del seid di Tunisi "con una certa sua nave carica di mercanzie di Cristiani e di Sarraceni" alla volta della Spagna, era stato costretto da una serie di incidenti tecnici a modificare la sua rotta e a riparare con la nave in avaria nel porto di Marsiglia. E qui, dopo alcuni giorni che stava alla fonda, era stato imprigionato per ordine del podestà di Marsiglia, il milanese Carnelevario di Ozeno, mentre la merce da lui trasportata veniva posta sotto sequestro. Non conosciamo le ragioni del provvedimento; secondo le fonti cronistiche genovesi, lì a Marsiglia vi erano state persone che, "pensando come potessero rubare a esso Rainaldo quel viaggio e seminare discordia infra esso e i Sarraceni, susurrarono con frode ai Sarraceni che Rainaldo proponeasi di ammazzarli e di spogliarli completamente dei loro beni": onde i Musulmani imbarcati sulla nave del genovese avevano richiesto la protezione delle autorità di Marsiglia, Certo è che la missione di Simone si risolse in un nulla di fatto proprio per l'intransigenza delle supreme autorità di Marsiglia e, in particolare, di Carnelevario di Ozeno, il quale si rifiutò - ad onta delle convenzioni che legavano le due città - non solo di consegnare Rainaldo Arcanto, perché potesse venir tradotto e giudicato a Genova, ma negò perfino ai marinai della nave sequestrata di uscire dal territorio del Comune per tornare via terra in patria. Solo dopo che due vascelli di Ventimiglia, spintisi in crociera sino a Tunisi, si furono impadroniti della nave dell'inviato marsigliese presso il seid alla fonda in quel porto; solo quando Carnelevario di Ozeno fu caduto nelle mani dei Genovesi e imprigionato a sua volta, le autorità di Marsiglia si indussero a trattare, offrendo, in cambio della liberazione del loro ex podestà e del rinnovo dei trattati di buon vicinato, "non solo di far liberare Rainaldo dal carcere, ma anco di risarcirlo in tutto del danno che avea patito, a beneplacito del podestà di Genova". Nel quadro di questo riavvicinamento tra le due città marittime deve essere visto anche l'uultimo atto politico a noi noto, compiuto da Simone. Nella seconda metà di quel medesimo 1223, insieme con Marchisio Scriba, fu inviato ambasciatore presso il seid di Tunisi, per ristabilire le buone relazioni con quel governo, relazioni che erano state interrotte in seguito alla recente crisi dei rapporti tra Marsiglia e Genova, ed all'audace colpo di mano compiuto nel porto nordafricano dai due vascelli di Ventimiglia. Questa volta un pieno successo arrise ai due emissari della Repubblica ligure: essi, "avendo cura di conservare nel loro stato, e di bene in meglio gli uomini di Genova", conclude con evidente soddisfazione il cronista, "ridussero a vana cosa ciò che era stato stabilito circa la restaurazione da farsi da parte degli uomini di Genova delle cose che i Ventimilianensi aveano prese, e fecero con lo stesso re patti di pace con l'acquisto di un fondaco, di un bagno, e di un forno" a Tunisi.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Not. Iohannes Vegius, I, pp. 185 s., 220 V; Ibid., Not. Bonusvassallus de Cassino, I, pp. 21v, 22, 23r; Ibid., Not. Bartholomeus de Fornario, II, c. 149; III, c. 101; Ibid., Not. Conradus de Capriata, I, c. 15v; Ibid., ms. 519: Famiglie di Genova, ff.465 s.; Registrum Curiae Archiepiscopalis Ianuae, a cura di L. T. Belgrano, in Atti della Soc. ligure di storia patria, II (1870), n. I, p. 328, e tav. XLII; C. Desimoni, Quatre titres des Génois à Acre et Tyr, in Archives de l'Orient-latin, II (1884), n. 2, pp. 214 s.; R. Roehricht, Regesta Regni Hierosolymitani (1097-1291), Oeniponte 1893, pp. 309 ss.; Annali Genovesi di Caffaro e de' suoi continuatori, a cura di C. Imperiale di Sant'Angelo, III, Roma 1923, in Fonti per la Storia d'Italia..., XIII, p. 178; IV, ibid. 1926, ibid., XIV, pp. XXVI, e 14; Lanfranco (1202-1226), a cura di H. G. Krueger e R. L. Reynolds, in Notai liguri dei secoli XII e XIII…, VI, 1, Genova 1951, pp. 81, 355 s., 800 s.