LAURO, Guglielmo di
Figlio di Roberto, conte di Caserta, e di Agnese, nacque intorno alla metà del XII secolo. Il L. compare la prima volta nelle fonti come fideiussore insieme con il fratello Riccardo in una permuta del settembre 1178, mediante la quale il padre scambiò con l'abbazia della Ss. Trinità di Cava alcuni beni ubicati in Capua.
Alla morte del padre, avvenuta il 31 ag. 1183, il L. divenne conte di Caserta e nel settembre dello stesso anno, per adempiere la volontà del genitore, confermò all'abbazia di Cava la donazione di una terra con orto e botteghe posta nei pressi della città di Salerno.
Da una sentenza del gran giustiziere Enrico di Morra del 1240 si evince che i due figli superstiti di Roberto di Lauro divisero alcuni dei beni paterni secondo il diritto longobardo, ovvero in parti uguali: Ruggero conte di Tricarico ottenne la metà di Montoro, Serino e il casale di Solofra, mentre il L. conte di Caserta e signore di Lauro ereditò l'altra metà di Montoro e Striano.
Morto il 18 nov. 1189, senza eredi diretti, Guglielmo II d'Altavilla re di Sicilia, nella lotta per la successione al trono il L. sostenne inizialmente le ragioni di Tancredi di Lecce: infatti, in un documento dell'agosto 1190 compare, insieme con Riccardo di Acerra, cognato di Tancredi, come capitano e maestro giustiziere di Puglia e Terra di Lavoro, una carica con importanti funzioni di carattere militare e giudiziario. Tuttavia, dopo l'ingresso nel Regno delle truppe di Enrico VI, marito di Costanza d'Altavilla (29 apr. 1191), seguendo l'esempio del fratello Ruggero si schierò decisamente con gli Imperiali, favorendone il successo in Terra di Lavoro. Immediatamente dopo le prime affermazioni di Enrico VI, sottoscrisse come testimone due diplomi imperiali: un atto di conferma di beni in favore di Montecassino, datato Acerra 21 maggio 1191, e un documento simile in favore del monastero di Saint-Gilles in Hainaut del 17 giugno 1191. In particolare quest'ultimo documento, redatto in occasione dell'assedio di Napoli, ci lascia supporre una sua partecipazione diretta alle operazioni militari contro questa città, estremo baluardo dei seguaci di Tancredi, operazioni che si interruppero nell'agosto successivo quando Riccardo di Acerra, anche in seguito alla partenza di Enrico VI per la Germania, rovesciò completamente la situazione militare e riconquistò le posizioni rimaste sotto il controllo delle guarnigioni imperiali.
Sul finire del 1192 il L. sostenne la spedizione tedesca guidata da Bertoldo di Kunigsberg, penetrata fino a Venafro, quindi la campagna condotta nel gennaio dell'anno successivo dal cavaliere tedesco Dipoldo di Schweinspeunt contro i seguaci di Tancredi. Il legame del L. con il partito imperiale fu rafforzato nel 1193 dal matrimonio tra la vedova di suo padre - una sorella del conte Berardo di Loreto che il conte Roberto aveva sposato dopo la morte della madre del L. - e il comandante delle truppe imperiali Bertoldo di Kunigsberg. Tuttavia, in quello stesso anno, dopo la morte improvvisa di Bertoldo, avvenuta nel corso dell'assedio di Monteroduni nel Molise, Tancredi riuscì a recuperare il controllo di buona parte dei territori continentali del Regno, compresa la Terra di Lavoro, assediò Caserta e costrinse il L. alla resa.
Si ignorano le vicende del L. durante l'ultimo periodo di governo di Tancredi, mentre sappiamo che il fratello Ruggero di Tricarico abbandonò il Regno e, fattosi crociato, morì in Terrasanta.
Dopo la morte di Tancredi (febbraio 1194) e la definitiva affermazione di Enrico VI e Costanza d'Altavilla, il L. conservò la contea di Caserta e il favore imperiale. Non a caso - in un documento dell'ottobre del 1194 con il quale, anche in nome del nipote Giacomo conte di Tricarico, donò ad Alessandro di Alife sette appezzamenti di terra nel territorio di Montoro - il L. si intitola "Dei et imperiali gracia Caserte comes" (cfr. Tescione, 1990, pp. 175 s., doc. n. XI).
Riprendendo la tradizionale politica della famiglia in favore delle fondazioni ecclesiastiche campane, nel luglio 1185, presenti la moglie Joetta e il figlio Roberto, il L. donò alcuni beni alla chiesa di S. Giacomo di Caserta e, nello stesso mese, donò all'abbazia di Cava una terra con una casa in Salerno, nei pressi dell'arcivescovado; nel settembre 1189, insieme con il figlio Roberto, concesse a Rogerio, abate del monastero napoletano dei Ss. Severino e Sossio, un mulino in Scafati e la facoltà di costruire un casale nelle pertinenze di Striano; nell'agosto 1192, sempre in compagnia del figlio, fece ancora una donazione di beni in Striano e nel territorio di Scafati in favore dello stesso abate Rogerio; nel 1195 concesse al monastero dei Ss. Severino e Sossio altri beni in Striano e, nel giugno dello stesso anno, il diritto di patronato sulla chiesa di S. Maria nel territorio di Lauro. Nel luglio 1189 e nel 1195 il L., sempre in presenza del figlio Roberto, donò alcuni beni all'abate di S. Pietro di Piedimonte di Caserta. Nel gennaio 1191 il L. e Roberto donarono beni nel castrum di Morrone al priore della chiesa di S. Giacomo di Caserta. La documentazione testimonia altre donazioni in favore dei cisterciensi di S. Maria de Ferraria (prima del 1193), di Montevergine (1196), di S. Maria della Grotta nella diocesi di Teano e di S. Maria de Episcopo di Capua.
Nel burrascoso periodo seguito alle morti di Enrico VI e di Costanza, il L. si avvicinò alle posizioni del cancelliere Gualtieri di Pagliara e del pontefice Innocenzo III, tutore del giovane Federico di Svevia. Nel febbraio 1199 riuscì a catturare Dipoldo di Schweinspeunt, diventato il principale alleato di Marquardo d'Annweiler, aspirante alla reggenza del Regno, e - seguendo l'invito del papa, che lo aveva esortato a rimanere fedele al giovane Federico e a non rilasciare il prigioniero - lo tenne recluso per quasi nove mesi.
Con ogni probabilità il L. morì poco dopo questi avvenimenti, verso la fine del 1199.
Secondo Riccardo di San Germano, Dipoldo sarebbe rimasto prigioniero del L. fino al giorno della morte di questo, quindi il tedesco sarebbe stato liberato da un figlio del conte di Caserta, anch'egli di nome Guglielmo, che ne avrebbe sposato la figlia. Tuttavia dalla documentazione non si evince l'esistenza di un secondo Guglielmo, tanto più che alla morte del L. gli successe il figlio Roberto, comparso al suo fianco sin dal 1185 e attestato come conte di Caserta dal 1202 fino al 1212.
Probabilmente, proprio grazie a un accordo con Roberto, raggiunto sul finire del 1199 subito dopo la morte del L., Dipoldo riacquistò la libertà e assunse il ruolo di capo del partito "imperiale" in Campania. Fu dunque Roberto (II) di Lauro a sposare la figlia di Dipoldo, forse identificabile con Adelgasia (Adelagia, Adelagisia), che compare nella documentazione solo nel 1210. Sempre con Roberto va identificato il conte di Caserta che combatté e fu sconfitto al fianco di Dipoldo nei pressi di Capua il 10 giugno 1201 da Gualtieri di Brienne, genero di Tancredi e prezioso alleato di Innocenzo III nella lotta contro i capitani tedeschi che minacciavano i diritti di Federico II sul Regno. Non va quindi identificato con un conte di Caserta, tanto meno come figlio del L., quel Guglielmo di Lauro citato da Kantorowicz come podestà di Como nel 1239 a riprova del "rapido insediarsi dei pugliesi nei nuovi distretti" (p. 521).
L'ultima notizia su Roberto di Lauro risale al 1212; suo figlio Tommaso, che compare come conte a partire dal 1216, perse la contea di Caserta e fu dapprima fatto arrestare (1223), quindi - dopo un intervento in suo favore di papa Onorio III - liberato e costretto a lasciare il Regno (1224) per volontà di Federico II.
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