DAMIANI, Guglielmo Felice
Nacque a Morbegno (Sondrio) il 28 ott. 1875 da Giovanni Battista e da Caterina Volpatti.
Dopo aver compiuto gli studi liceali a Como, frequentò la facoltà di lettere all'università di Pavia, dove era ospite del collegio Ghislieri, aperto gratuitamente ai giovani di modesta famiglia e promettente preparazione. Laureatosi nel 1898, il D. iniziò nello stesso anno la carriera d'insegnante nel ginnasio parificato di Celana; successivamente si trasferì a quello statale di Mortara e, nel 1901, passò alla scuola normale femminile di Napoli. In questa città egli stabilì la sua residenza abituale, ritornando tuttavia nelle vacanze estive a Morbegno e alla casa paterna, che costituiranno più tardi i temi centrali della sua produzione poetica, permeata di una soffusa nostalgia per il distacco, sempre rinnovato, dai cari affetti familiari e dalla vita semplice del paesino montano.
Il D. aveva già rivelato una notevole sensibilità critica ed un profondo interesse per l'analisi del linguaggio poetico nello studio Sopra la poesia del cav. Marino che, presentato come tesi di laurea nel 1898, fu pubblicato l'anno seguente a Torino con aggiunte e modifiche.
Preceduto da un'introduzione sui periodi storici che documentano il tramonto di una civiltà - del paganesimo nell'età Postellenica, dei Rinascimento nell'età barocca - il saggio del D. esamina l'intera opera poetica del Marino negli artifici retorici, nel gusto per il meraviglioso e lo straordinario, nel dominio sapiente dello stile, e stabilisce numerose corrispondenze tra il poeta barocco e gli autori della decadenza latina e greca, attraverso una rigorosa indagine filologica delle fonti a cui aveva attinto il Marino per le sue composizioni.
La prima prova poetica del D. fu la raccolta di idilli Le due fontane (Milano-Palermo 1899), dove appaiono evidenti alcune reminiscenze dello Zanella, nel solco della tradizione classicista del secondo Ottocento. Il D. continuò tuttavia, negli anni successivi, la sua attività di critico e di filologo, in cui si affermava anche un certo piacere dell'erudizione: nel 1900pubblicò a Sondrio L'iscrizione romana di Olonio in Valtellina: nota archeologica, e nel 1902 uscì a Milano il volume L'ultimo poeta pagano, Nonno da Panopoli.
Quest'ultima opera conferma la predilezione del D. per i poeti che esprimono una crisi culturale e letteraria: dopo aver studiato in Marino l'epigono barocco del Rinascimento, egli analizza infatti con Nonno da Panopoli l'epigono dell'alessandrinismo. D'altra parte già nel precedente saggio sul Marino, il D. aveva accostato i due poeti, rinvenendo alcune derivazioni dell'Adone dalle Dionisiache di Nonno, le quali rappresentano l'estrema testimonianza della civiltà alessandrina giunta irrimediabilmente alla fine.
Allo stesso modo l'interesse del D. per la cultura greca moderna ed il suo filellenismo si possono collegare col mito romantico delle rinascenze culturali e dei risorgimenti politici delle nazioni decadute ed oppresse: sul Marzocco del 3 genn. 1904, p. 3, egli scrisse un articolo su La questione della lingua neoellenica, una nota sul Teatro di Demetrio N. Bernardakis, ed una recensione alla Storia di Atene sotto la turcocrazia, 2 voll., Atene 1903, di Temistocle N. Filadelfo.
Intanto il D. aveva pubblicato il racconto in versi La casa paterna (Milano-Palermo-Napoli 1903), ispirato al tema della memoria, dello stato d'animo di chi rievoca con rimpianto il sottile fascino di un passato destinato a scomparire.
Il protagonista Valerio è trattenuto, infatti, nella casa paterna dal ricordo dei genitori, dalla malia che sprigionano gli antichi oggetti, le sale disabitate dove, uniche presenze vitali, rimangono il vecchio domestico e il vecchio cane. Alla fine il giovane decide di partire e di affrontare una nuova esistenza più ricca ed impegnata (Valerio è, come il D., un socialista ed un umanitario) accanto a Gestilia, la donna che ha sostituito nel suo cuore l'amore per Luisa, l'antica compagna di giochi dell'infanzia.
Il linguaggio poetico del D. ha raggiunto ne La casa paterna una maggiore fluidità, ma non sempre i momenti lirici e meditativi si armonizzano con il procedere del racconto, nel quale la narrazione si alterna alle scene più dense di pathos, senza assorbirle in sé. Numerosi sono gli accorgimenti retorici: interrogazioni enfatiche, esclamazioni, iperboli si succedono nel discorso poetico e gli conferiscono un tono di concitata confessione, che raramente si risolve in vera poesia. Soltanto alcuni passi s'illuminano di un intenso lirismo: quando il poeta rievoca il limpido paesaggio delle sue montagne, la pace notturna del paese addormentato nel chiarore lunare; o quando l'elemento meditativo prende respiro e allarga le maglie del racconto, dilatando il dolore personale in una malinconica e desolata visione della natura.
Alla fine di settembre del 1904, il D. lasciò per l'ultima volta l'amata casa paterna: giunto a Napoli, morì il 24 ottobre di quell'anno, vittima di un'infezione carbonchiosa.
Dopo la morte del poeta, G. Bertacchi raccolse tutte le liriche disperse e inedite del D. in due volumi che intitolò Lira spezzata (1 vol., Bologna 1908; 2 voll., ibid. 1912). Idilli, canzoni, distici, epistole in ottava rima si susseguono nei due volumi, e similmente si avvicendano i temi civili e quelli autobiografici, la poesia encomiastica e quella d'ispirazione lirica. Tuttavia il carattere inevitabilmente poco organico della raccolta rende ancora più manifesto il non facile trapasso, nella poesia del D., dall'impressione naturalistica alla fantasia evocatrice, dalla contemplazione idilliaca alla meditazione fantastica.
La personale vicenda di partenze e di ritorni, sulla quale si ritmò la vita sentimentale del poeta, ispira alcune liriche (Ali migranti, la Canzone di Natale ... ) che tradiscono, pur nella loro assoluta sincerità, la tendenza alla declamazione elegiaca, il prevalere della componente narrativa sugli accenti più scopertamente lirici. Nondimeno certe isolate immagini denotano nel D. un'attitudine innata alla rappresentazione di moti dell'animo, o del paesaggio naturale, impedita nel suo libero sviluppo da modi troppo discorsivi; così nell'Epistola valtellinese in ottava rima, una visione dell'inverno sospesa e arcana si distacca dalla convenzionale descrizione della vita montana: "Tacciono allora i pascoli superni / e tace l'onda immota sotto il ponte: / non più gridi nei chiusi orti nè frulli / ...".
Il gruppo delle liriche Quando la notte mi parla, Estate in Lomellina, Verso il cielo, Intermezzo d'amore, e i numerosi poemetti, lodati dal Bertacchi, e dei quali alcuni già apparsi nel volumetto Le due fontane, - come Lira, Ulisse (l'uno di memoria alessandrina l'altro di gusto omerico), Le tessitrici, La veglia, La Madonna del lago - presentano palesi influssi pascoliani, articolate movenze classiche, e talvolta riuscite fusioni fra il tessuto narrativo e i momenti contemplativi. La seconda parte del primo volume e il secondo volume di Lira spezzata comprendono, invece, i componimenti civili: encomi, commemorazioni, compianti, dove predominano la declamazione o la semplice narrazione.
Infine ricordiamo che il D. fu anche pittore e cultore di storia artistica: scrisse un opuscolo su L'arte valtellinese e Pietro Ligari (Pavia 1898).
Bibl.: G. Bertacchi, In memoria di G. F. D., Lecco 1905; necr., in Giorn. stor. della lett. ital., XXIII (1905), 14, pp. 190 s.; I. Frizzi, G. F. D., Sondrio 1909; F. Fiorini, Un ricordo e un canto, in Fanfulla della domenica, 16dic. 1917; P. Ambrosetti, La Valtellina nei canti dei suoi Poeti, Sondrio 1925, pp. 63-71; C. Pellizzi, Le lettereitaliane del nostro secolo, Milano 1929, pp. 334, 455 s.; E. M. Fusco, La lirica, II, Milano 1950, pp. 300 s.; E. Mazzali, Poeti e letterati in Valtellina e in Valchiavenna, Sondrio 1954, pp. 193 204; E. Janni, Ipoeti minori dell'Ottocento, II, Milano 1958, pp. 287 ss.; Dizionario enciclopedicodella letteratura italiana, II, Bari-Roma 1966, sub voce.