GAJANI, Guglielmo
Nacque a Mercato Saraceno (Forlì) il 25 giugno 1819 da Pellegrino, piccolo proprietario terriero, e da Elisabetta Ricci. Cresciuto in una famiglia che anche nel ramo materno aveva guardato con favore alla dominazione francese per poi mal sopportare il ritorno della Romagna sotto il governo pontificio, il G. maturò i propri sentimenti liberali durante gli studi, che compì prima nel liceo convitto di Ravenna, quindi all'Università di Bologna, dove nel 1839 si laureava in diritto canonico e civile. Intanto, al primo contatto con gli scritti propagandistici di G. Mazzini, l'iniziale simpatia per il settarismo e per l'antiassolutismo carbonaro si era mutata in convinta adesione alle tesi unitarie. Sancita dall'affiliazione alla Giovine Italia che ebbe luogo verso il 1838 - a opera, sembra, del mercante di campagna romano N. Del Grande -, l'appartenenza al mazzinianesimo portò il G., che nel frattempo si era trasferito a Roma per entrare come praticante in uno studio legale, a seguire le turbolenze romagnole degli anni Quaranta con forte senso di partecipazione, ma anche evitando di incappare nei rigori repressivi dell'ultimo scorcio del pontificato gregoriano (cosa che invece non riuscì al fratello Enrico, arrestato dopo i moti del 1845).
Con l'elezione di Pio IX il movimento nazionale dello Stato pontificio uscì finalmente allo scoperto; ma fu solo con la creazione della Repubblica Romana che il G., il quale il 21 genn. 1849 era risultato eletto all'Assemblea costituente in rappresentanza di Forlì, poté esordire in politica. Era il deputato più giovane di tutta l'Assemblea, e lo si avvertì bene nel modo con cui assolse al proprio mandato, assumendo nei suoi frequenti e non sempre meditati interventi posizioni di un radicalismo estremo, che si trattasse della legislazione sociale - per la quale propose misure assai drastiche in materia di prestito forzoso e di repressione delle speculazioni finanziarie (il 24 apr. 1849 sollecitò l'esecutivo a disporre l'arresto del banchiere A. Torlonia) - o della legislazione religiosa. Ciò che però lo caratterizzò maggiormente fu una certa astiosità nei confronti del Triumvirato, di cui spesso parve adombrare, con la sua critica di ispirazione vagamente rousseauiana, una volontà di prevaricazione sull'Assemblea: e forse fu per arginarne l'irruenza che, iniziato l'assedio francese, i triumviri lo delegarono con altri deputati all'apprestamento delle opere di difesa nelle varie zone cittadine (al G. toccò il rione Regola) e poi lo inclusero nella commissione creata per giudicare le requisizioni illegali; impegni, questi, che spiegano la sua scarsa partecipazione al dibattito sulla costituzione, un tema che sembrava fatto apposta per la sua preparazione giuridica.
Caduta Roma, l'esilio portò il G. a Torino dove, previo esame di conferma della laurea, gli fu consentito di patrocinare in tribunale d'appello e di collaborare come ripetitore con la cattedra universitaria di filosofia del diritto. In politica fidava sempre in un prossimo "trionfo della democrazia" puntando, ben più che in passato, sulla capacità d'iniziativa del Mazzini; e mentre questi lo ricordava come uno dei "nostri nell'anima, attivo e in relazione concreta coi buoni dell'emigrazione romana" (Mazzini, XLVII, p. 392), il G. a sua volta, come segretario della Società dell'emigrazione italiana, lavorava tra Torino e Genova al fine di isolare gli incerti e di raccogliere gli elementi atti a formare "un battaglione di uffiziali, il quale contenga i quadri di un'intera divisione" (lettera ad A. Saffi, s.d., in Arch. del Museo centr. del Risorgimento di Roma). In tale convincimento lo rafforzava infine la misura di espulsione dal Piemonte di cui fu vittima dopo il fallito moto milanese del 6 febbr. 1853: cacciato successivamente anche dal Belgio, il G. approdò finalmente a Londra con l'intima certezza che in nessun paese d'Europa la libertà dell'individuo fosse tutelata dall'arbitrio dei governi e che solo il Comitato nazionale istituito da Mazzini nel 1850 potesse rappresentare le aspirazioni degli Italiani. Fu proprio il desiderio d'una vita realmente libera che, nel luglio del 1853, lo indusse a emigrare negli Stati Uniti.
Si stabilì a New York e, dopo alcuni mesi di difficile ambientamento - reso più penoso dalla totale mancanza di mezzi sebbene alleviato dalla solidarietà di quei compatrioti che si raccoglievano intorno alla locale congrega della Giovine Italia -, cominciò a scrivere articoli e a tenere conferenze aventi come principale bersaglio polemico la teocrazia pontificia, argomento la cui trattazione trovava una buona accoglienza non solo nel giro degli intellettuali, ma anche da parte di una popolazione tradizionalmente votata all'antipapismo. La ben remunerata attività di conferenziere non solo permise al G. di risollevarsi finanziariamente, ma lo mise anche in contatto con gli esponenti di spicco della vita culturale newyorkese e bostoniana (tra gli altri B. Silliman, H. Tuckerman, Ch. Hickling, H.W. Longfellow), il cui appoggio non poco contribuì a restituirlo alla originaria professione di avvocato (o di counsellor at law, con studio in Wall street). Noto a tutti per la sua integrità morale, il G. prese allora a curare prevalentemente le questioni legali degli emigranti. Testimonianza della sua operosità di pubblicista restavano le 450 pagine di un libro, The Roman exile (Boston 1856): destinato al pubblico statunitense nel momento di massima diffusione dell'italofilia, il libro collocava le vicissitudini dell'autore sullo sfondo della storia recente di uno Stato come quello pontificio, chiuso, in nome di una malintesa fedeltà al passato, a ogni processo di modernizzazione, ivi compresa la nascita di un ceto dirigente laico. Particolarmente grata alla mentalità protestante doveva risultarvi la proposta di una totale distruzione della Chiesa di Roma che il G. avanzava a chiusura di una analisi appassionata quanto viziata talvolta da convenzionalismi e da eccessi ideologici.
Sempre attento alle cose italiane, il G. aveva continuato a valutarle col metro del repubblicano e nel 1855 aveva denunziato in una lettera aperta al Daily Times di New York gli aspetti utilitaristici della partecipazione piemontese alla guerra di Crimea. Col tempo, però, seguì una parabola simile a quella di F.E. Foresti, altro mazziniano da anni esule negli Stati Uniti, il quale, oltre a servirsi di lui come consulente legale, lo introdusse negli ambienti politici garantendogli importanti entrature anche a Washington. Così il G. conobbe e divenne amico di G. Perkins Marsh, futuro ambasciatore a Torino, finendo per condividere l'opinione positiva dell'amministrazione americana sulla fase finale del processo d'unificazione della penisola e sull'opportunità di un'alleanza del Piemonte con la Francia. Tale era anzi il suo apprezzamento del ruolo della monarchia sabauda che, annessa la Romagna al Piemonte, volle aderire pubblicamente al nuovo Stato e, nei tre anni che durò ancora il suo soggiorno negli U.S.A., tenne altri cicli di conferenze al Lowell Institute di Boston per esaltare le caratteristiche di un processo rivoluzionario nazionale promosso dal popolo e ricondotto negli argini dalla sapienza dei governanti subalpini.
Nel marzo del 1863 il G. rientrò in Italia. Pur non avendo problemi economici aprì uno studio legale a Torino; ma ben presto la salute, declinante per una grave malattia polmonare, lo costrinse a tornare a Firenze. Soffriva di frequenti emottisi che lo costringevano a lunghi periodi di degenza e gli precludevano talora anche l'uso della parola, motivo non ultimo, questo, del fallimento della sua candidatura alle politiche del 1865. Sperava tuttavia di assistere un giorno al crollo del potere temporale, e fu dunque molto deluso per l'esito della spedizione garibaldina del 1867 che aveva ridestato i suoi mai sopiti istinti anticlericali. All'inizio del 1868 una nuova crisi minò ulteriormente il suo organismo provato da anni di sofferenze.
La fine lo colse a Mercato Saraceno il 9 giugno 1868. La salma fu successivamente tumulata nel cimitero degli Inglesi di Firenze.
Fonti e Bibl.: Esigua, ma importante per ricostruire alcuni momenti della vita del G., è la documentazione inedita conservata nell'Archivio del Museo centr. del Risorgimento di Roma, dove risaltano le 15 lettere a G. Perkins Marsh (b. 723/15), le 2 ad A. Saffi (b. 255/85) e quelle inviategli dal Foresti dopo il suo ritorno in Italia (b. 65/28); alcune testimonianze dei contemporanei in L.C. Farini, Lo Stato romano dal 1815 al 1850, Firenze 1853, III, p. 240; G. Mazzini, Edizione nazionale degli scritti (per la consultazione si vedano gli Indici, a cura di G. Macchia, II, Imola 1972, ad nomen); F. Orsini, Lettere, a cura di A.M. Ghisalberti, Roma 1936, p. 90. Per l'attività nell'Assemblea costituente della Repubblica Romana si vedano i volumi delle Assemblee del Risorgimento. Roma, Roma 1911, III, pp. 11, 30, 99, 396 s., 400 s., 403-429, 459 s., 483, 613, 691 s., 697 s., 745, 820, 919 ss., 998-1010, e IV, pp. 46, 75, 102 ss., 109, 114, 180 s., 185, 257, 264-268, 282-287, 289 ss., 294 ss., 347, 352, 434, 443 s., 447 ss., 480 s., 483 ss., 570, 584 s., 645 s., 652 s., 687, 699 s., 711, 715, 720, 761 s., 777, 829, 1014 s., 1023 s. Un lavoro complessivo che offre anche un'appendice di lettere è quello di F. Santucci, Un illustre romagnolo deputato alla Repubblica Romana, Firenze 1983; alcune notizie sugli anni trascorsi negli U.S.A. in H.R. Marraro, American opinion on the unification of Italy 1846-1861, New York 1932, ad indicem; sull'esilio torinese del 1851-53 G.B. Furiozzi, L'emigraz. politica in Piemonte nel decennio preunitario, Firenze 1979, ad indicem.