GIRALDI (Ziraldi), Guglielmo (Guglielmo del Magro)
Figlio del sarto Giovanni de' Ziraldi detto il Magro; rimane ancora sconosciuta la sua data di nascita, nonostante esista una ricca documentazione archivistica su questo miniatore, di recente pubblicata nella preziosa opera di A. Franceschini (1993, 1995, 1997). Senza dubbio nacque a Ferrara - firmandosi egli si dichiara "Gulielmus de Ferraria" - città dove è documentato, come abitante della contrada S. Gregorio, dal 1441 al 1494.
Nelle carte d'archivio viene citato sia come Guglielmo de' Ziraldi, sia come Guglielmo del Magro, tanto che Tiraboschi (1776), primo a far emergere dai documenti la memoria del miniatore, aveva erroneamente pensato che esistessero due distinte personalità. Il ritrovamento di un atto notarile del 21 marzo 1465 in cui si menziona "magister Gulielmus de Ziraldi aminiator filius quondam Iohannis de Ziraldis dicti Magro sartoris de contrada sancti Gregorii" permise a Cittadella (1868, p. 180) di comprendere come l'appellativo del Magro derivasse dal soprannome del padre. La dizione Giraldi è, invece, la forma italiana del cognome attestata più tardi (Campori, 1872, pp. 253 s.), cui però ci si attiene essendo essa oramai radicata negli studi.
Il primo documento noto che lo riguarda è un atto del 12 nov. 1441, dal quale si evince che a tale data il G. ricevette la prima tonsura, abbracciando lo status di clericus (Peverada, p. 45). Fu solo in età avanzata che il miniatore realizzò la scelta ecclesiastica: nel 1486 è, infatti, definito "venerabilis dominus"; mentre nel 1494, in uno degli ultimi documenti che lo riguardano, è detto arciprete di S. Giovanni di Sassocorvaro (ibid., p. 48; A. Franceschini, 1995, docc. 546, 555, e 1997, doc. 159). Il già citato atto notarile del 1465 dice il G. erede del fratello Antonio, anche lui miniatore (Id., 1993, doc. 1041). Da un documento del 1466 evinciamo che egli aveva un altro fratello Nicolò, padre di Isabella, andata sposa al milanese Alessandro Leoni, altro miniatore, che diverrà negli anni della maturità il più stretto collaboratore del G. (ibid., doc. 1081). Del legame del G. con Isabella e Alessandro Leoni fanno fede numerosi documenti, che li dicono figli putativi e abitanti nella stessa casa dello zio, e, soprattutto, il testamento del G. redatto a Ferrara il 10 ag. 1478, nel quale il miniatore li nomina suoi eredi usufruttuari insieme con gli eredi universali Antonio, Giovanni e Nicolò loro figli (Id., 1995, doc. 259). Alla stessa data anche Alessandro Leoni fa testamento nominando suoi eredi usufruttuari il G. e Isabella (ibid., doc. 260). Sempre dal testamento del G. ricaviamo un particolare legame dell'artista con la certosa di S. Cristoforo di Ferrara, nella cui chiesa dispose di essere sepolto e alla quale lasciò del denaro.
Nel corso della sua lunga attività il G., certamente uno dei principali miniatori del Rinascimento italiano, lavorò per una qualificata clientela. A Ferrara suoi principali committenti furono gli Estensi, in particolare Lionello (1441-50), Borso (1450-71) ed Ercole I (1471-1505); lavorò inoltre per la cattedrale, e, tramite gli Estensi, per i monaci della certosa di S. Cristoforo. Committenti illustri non ferraresi furono, invece, il patrizio veneziano Leonardo Sanuto, visdomino della Repubblica a Ferrara tra il 1457 e il 1459 (Mariani Canova, pp. 57-70), il marchese di Mantova Ludovico Gonzaga, per il quale il G., come si evince da una lettera dell'artista alla moglie di questo Barbara Hohenzollern (Campori, pp. 272 s.; Battisti, p. 20), lavorò a Mantova nel 1469, e, infine, il duca d'Urbino Federico da Montefeltro.
A proposito della committenza urbinate rimangono due preziose testimonianze. La prima è una lettera inviata da Matteo Contugi da Volterra al marchese Ludovico Gonzaga, in data 16 ott. 1478, in cui il calligrafo - a quel tempo al servizio di Federico da Montefeltro - segnala di essere a Ferrara per sollecitare un miniatore a completare la decorazione di un'opera di Dante, che vi è ragione di identificare con la Divina Commedia miniata in parte dal G. e appartenuta a Federico da Montefeltro (Biblioteca apostolica Vaticana, Urb. lat. 365). La seconda è una missiva di Federico da Montefeltro a Ercole I d'Este del 6 dic. 1480, nella quale il duca comunica che avrebbe presto mandato il G., da lui definito "mio miniadore", a Ferrara per ritirare alcuni libri da copiare (Bertoni, 1925, p. 38; G. Franceschini, 1959, pp. 143 s.).
Il prestigio del G. nel mondo della cultura ferrarese e l'alta considerazione della sua arte sono attestati, come ha messo in luce Mariani Canova (pp. 9-12), anche da testimonianze letterarie, e in particolare da due distici dell'umanista Guarino da Verona e da un epigramma del poeta Gasparo Tribraco, databili agli anni Cinquanta del Quattrocento.
Nella composizione di Guarino, il G. è paragonato a un pittore che c'è ragione di identificare con Cosmè Tura, artista senza dubbio conosciuto dal G., in quanto i due maestri figurano come testimoni in due atti notarili del 1465 e del 1490 (A. Franceschini, 1993, doc. 1041, e 1995, doc. 766). Nei componimenti letterari si allude a un'attività del G. come pittore, che peraltro viene ribadita anche dalla menzione "maestro Vielmo pentor", ritrovata nel pagamento del 1458 nel libro dei conti di Sanuto (Mariani Canova, p. 62) e dal sonetto purtroppo perduto di Gaspare Tribraco intitolato appunto In Gulielmum Macrum pictorem optimum (Tiraboschi, 1784, p. 285).
È certamente documentata, a partire dalla fine degli anni Settanta, un'attività del G., in società con il nipote Leoni, come curatore e commerciante di libri (cartularius: A. Franceschini, 1995, docc. 190, 321c).
Il catalogo dell'artista, che attualmente è costituito da più di trenta manoscritti, iniziò a costituirsi alla metà dell'Ottocento con l'attribuzione dell'Innario e del Salterio della cattedrale (Ferrara, Museo della Cattedrale), scritti nel 1472 e pagati per la miniatura al G. tra il 1473 e il 1474 (Antonelli), e con il ritrovamento del Salterio della certosa di Ferrara (Modena, Biblioteca Estense, ms. alfa Q.4.9 = Lat. 990), che il colophon dice scritto nel 1475 dal certosino Matteo d'Alessandria e miniato dal G. insieme con il nipote Alessandro Leoni (Campori, pp. 253 s.).
Agli inizi del XX secolo, grazie al confronto stilistico con questi manoscritti documentati, il corpus venne arricchendosi con l'attribuzione al G. e alla sua bottega (Venturi) della Bibbia e della cospicua serie di Antifonari e Graduali, di grande formato, eseguiti per la certosa di S. Cristoforo a Ferrara. Bibbia e Corali, di cui purtroppo non esistono documenti di pagamento, furono commissionati, come indicano gli stemmi miniati nei frontespizi, dai duchi Borso ed Ercole I d'Este, come dono alla comunità certosina.
La Bibbia (Ferrara, Museo civico d'arte antica di Palazzo Schifanoia, mss. OA 1346-1349) è composta da quattro volumi, scritti da Matteo d'Alessandria, di cui il terzo risulta finito, per la parte scritta, nel 1469 e il quarto nel 1476. I Corali (Ibid., mss. O 1328-1343) recano invece un'unica data, il 1468, posta all'interno di una miniatura nel Graduale O (O 1341).
Parallelamente Hermann (1900, pp. 174-192, 248, 258-260) rintracciava, anche se purtroppo solo su basi documentarie, l'attività giovanile del miniatore costituita dal Breviario di Lionello, di cui il G. aveva eseguito un quinterno nel 1445 pagatogli nel 1447, dal Messale, commissionato da Lionello e continuato negli anni di Borso (1450-54), e dal Breviario di Borso (1454-59). Altre opere rese note da Hermann (1900, pp. 177 s.) sono il Libro del Salvatore di Candido Bontempi (Modena, Biblioteca Estense, ms. alfa T.5.27 = Ital. 353), eseguito tra il 1469 e il 1471, e il Pontificale del vescovo di Ferrara Bartolomeo Della Rovere, realizzato nella seconda metà degli anni Settanta (Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 661).
Fondamentale fu inoltre il ritrovamento delle Noctes Atticae di Aulo Gellio (Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. S.P. 10/28) finito di scrivere a Bologna nel 1448 e firmato dal G. nella vignetta miniata a c. 90v (Libaert). In seguito, l'esemplare delle Comoediae di Plauto di Madrid (Biblioteca nacional, Vit. 22.5), reso noto da Battisti, risultava essere un sicuro documento dell'attività del miniatore per i Gonzaga. Venivano poi riconosciuti, attraverso una disamina dei codici del fondo Urbinate della Biblioteca Vaticana, i manoscritti eseguiti dal G. per Federico da Montefeltro. Il Dante, citato nella lettera di Matteo Contugi, venne identificato con la Divina Commedia (Biblioteca apostolica Vaticana, Urb. lat. 365), dove il G. è responsabile delle miniature dell'Inferno e dell'inizio del Purgatorio; mentre, in carte seriori, si ravvisano le mani del miniatore mantovano Franco dei Russi e di altri aiuti minori (Bonicatti, 1957; Michelini Tocci - Salmi - Petrocchi; Alexander, 1977, pp. 25, 32, 84-91); si attribuisce al G. la miniatura con il Trasporto di Anchise in un Virgilio per il resto eseguito da artisti fiorentini (Biblioteca apostolica Vaticana, Urb. lat. 350; Bonicatti, 1958) e, infine, lo splendido Evangeliario di Federico da Montefeltro (Biblioteca apostolica Vaticana, Urb. lat. 10; Salmi, 1958).
La lettura stilistica di tali opere evidenziava sempre meglio l'alta statura del miniatore i cui principali punti di riferimento venivano già correttamente individuati nel continuo colloquio con il pittore ferrarese Cosmè Tura e con Piero Della Francesca. Nel 1984 vennero alla luce, grazie ad Avril, due nuove opere conservate alla Bibliothèque nationale di Parigi (Dix siècles d'enluminure…, pp. 141-143): il foglio staccato del Breviario diBorso d'Este (Lat. 9473, c. 2), manoscritto documentato come opera del G. (A. Franceschini, 1993, docc. 7630, 764u, 784e, 786h, 788g, 789h, 824m, 827, 860a, 1123c), e il codice contenente le opere di Virgilio con il commento di Servio (Lat. 7939A.), appartenuto al patrizio veneziano Leonardo Sanuto, responsabile anche della scrittura. Il G., che qui lavorò insieme con il miniatore Giorgio d'Alemagna, è autore di tutte le iniziali delle Bucoliche e delle Georgiche, di alcune iniziali dell'Eneide e delle settantadue vignette disegnate a penna e rialzate ad acquerello che illustrano il testo dell'Eneide e del Moreto.
Nella pubblicazione della traduzione italiana del saggio di Hermann con revisione e note d'aggiornamento (1994, pp. 141 n. 106, 237, 239 n. 46) vennero attribuite al G. altre opere, quali lo splendido codice contenente la Declaratio musicae disciplinae di Ugolino da Orvieto (Biblioteca apostolica Vaticana, Ross. 455), opera eseguita insieme con Giorgio d'Alemagna agli inizi del settimo decennio, e la Quadriga spirituale di Nicolò da Osimo, miniata tra il 1471 e il 1473 (Modena, Biblioteca Estense, ms. alfa P. 6. 15 = Ital. 1332).
La mostra del Museo Poldi Pezzoli di Milano nel 1991 (Le muse e il principe…, pp. 79 s.), dove viene avvicinato al G. il Libro d'ore oggi a Varsavia (Biblioteca nazionale, ms. akc 12399), e l'esposizione di Londra e New York del 1994-95, in cui veniva esposto il Libro d'ore Gualenghi (Los Angeles, J. Paul Getty Museum, Ludwig IX 13), opera a due mani del G. e di Taddeo Crivelli (The painted page…, pp. 216-218), vennero attestando sempre più il ruolo svolto dal G. nell'ambito della miniatura ferrarese del Rinascimento, rivelando l'esigenza di uno studio esaustivo sull'attività dell'artista che si concretizzò nella monografia sul miniatore realizzata dalla Mariani Canova.
La figura del miniatore, di cui sono ampiamente studiate le vicende biografiche e la fortuna critica, viene qui indagata in relazione ai diversi ambienti in cui egli fu attivo, mettendo chiaramente in evidenza la sua continua crescita stilistica, dettata da un perfezionamento del proprio linguaggio, ma anche dallo stretto legame con i principali pittori e miniatori contemporanei. Tra le nuove attribuzioni proposte nella monografia si ricordano l'intervento del G. nel secondo volume della Bibbia di Borso d'Este (Modena, Biblioteca Estense, ms. V.G.13 = Lat. 423), poi precisato da Toniolo (1997) nel commentario al facsimile dell'opera (La Bibbia di Borso d'Este…), l'Appiano eseguito per Ercole d'Este (Biblioteca Estense, ms. alfa K. 3.18 = Ital. 164), citato anche nei documenti (A. Franceschini, 1993, doc. 1228q), e il De origine domus Estensis super decessu Borsii ducis di Andrea Pannonio (Biblioteca Estense, ms. alfa Q.9.12 = Lat. 108). Importantissima risulta inoltre l'analisi del Libro di conto di Sanuto conservato all'Archivio di Stato di Venezia, che ha permesso di documentare l'attribuzione delle miniature del Virgilio, oggi a Parigi, al G. e a Giorgio d'Alemagna, e di datare i loro interventi al 1458-59 (Mariani Canova, pp. 62 s., 154).
Nel catalogo della mostra sulla miniatura ferrarese del 1998 vengono riportate numerose opere del G. e, tra queste, il Messale di Vigevano (Vigevano, Museo del Duomo), già ricondotto al G. da Boskovits (pp. 456, 460), e il Salterio-Innario in due volumi proveniente dal convento francescano di S. Maria la Nova di Napoli (Napoli, Biblioteca provinciale francescana, corr. 3, 18) dei secondi anni Settanta, la cui esecuzione va ricondotta ai rapporti di Ercole d'Este con gli Aragonesi a seguito del suo matrimonio con Eleonora d'Aragona (La miniatura a Ferrara…, pp. 145-148, 216-218).
Luogo e data di morte del G. non sono noti.
Tra le opere citate dai documenti e non ancora rintracciate, oltre al Messale iniziato per Lionello e terminato per Borso (A. Franceschini, 1993, docc. 644l, 646aaa, 661i, 682z, 684u, 702c, 723t, 723u, 724g, 726f, 728o; App. 31l), ricordiamo una "ragione de canto" e un Tibullo, miniati per la corte e pagati al miniatore nel 1454 (ibid., doc. 7260), un Offiziolo per Cecilia Gonzaga, pagatogli da Borso tra il 1467 e il 1469 (ibid., docc. 1096u; 1158d) e un Canzoniere di Francesco Petrarca fatto per Alberto d'Este e pagato nel 1470 (ibid., doc. 1188t).
Dato che della prima opera documentata dell'artista, il Breviario di Lionello (ibid., doc. 585a; App. 24a), identificato dalla critica con quello in collezione Llangattok, venduto mutilo presso Christie's nel 1958 (Christie's Fine illuminated manuscripts…, p. 32), non è per ora stata rintracciata alcuna pagina attribuibile al G., la prima opera nota del miniatore, da cui partire per la ricostruzione del suo stile, è dunque l'Aulo Gellio del 1448. Nei fregi troviamo la decorazione ferrarese a filigrana con foglie, fiori e pallini dorati che racchiude tondi raffiguranti animali di gusto pisanelliano; nelle miniature figurate appare invece un linguaggio innovativo, dove un realismo ancora riconducibile alla pittura tardogotica emiliana si coniuga con esiti plastici e attenzioni prospettiche, resi attraverso una luce naturalistica, vicini alla contemporanea pittura toscana.
Una prima maturazione dell'artista si ravvisa nella pagina oggi a Parigi del salterio del Breviario di Borso, databile al 1456-57, dove la realizzazione risulta condotta sull'esempio dei miniatori allora attivi a Ferrara, quali Taddeo Crivelli e Giorgio d'Alemagna.
Il rapporto con i pittori dello studiolo della dimora estense di Belfiore, e in particolare con le prime opere note di Tura, si evidenzia nelle carte del secondo volume della Bibbia di Borso, e soprattutto nel Virgilio di Sanuto. Le vignette disegnate e rialzate con acquerelli rosa, azzurro, verde, seppia, rivelano tangenze nel dinamismo plastico con la Musa Tersicore (Milano, Museo Poldi Pezzoli) di Tura, ma altresì denunciano, in congruenza con le scelte del giovanile Aulo Gellio, una luminosa misura spaziale derivata da opere di Piero Della Francesca, quali gli affreschi con le Storie della vera croce in S. Francesco ad Arezzo. Si ravvisano inoltre affinità con il pittore Marco Zoppo. Una profonda comprensione della spazialità pierfrancescana si percepisce nella vignetta con la nascita di Ercole posta ad apertura della Commedia di Anfitrione nel Plauto dei Gonzaga, dove l'ornato dei fregi a cappi intrecciati rivela l'adesione alla cultura antiquaria dell'ambiente mantovano. Le capacità di aggiornamento del G. su Tura trovano conferma nelle opere eseguite nella seconda metà degli anni Sessanta, e specialmente nella Bibbia e nei Corali della certosa, dove il miniatore sembra far tesoro di opere più mature di Tura, precedenti le ante d'organo di Ferrara, e, in specie, delle tavole con S. Giacomo (Caen, Musée des beaux-arts) e con S. Domenico (Firenze, Uffizi). Da una dimensione più robusta e articolata del linguaggio, ricca di ornati colorati e fantasiosi, visibile per esempio nel frontespizio della Genesi, gradualmente il G. raggiunge, soprattutto nelle splendide iniziali dei Corali, un sentimento più raccolto e un'emotività commossa in perfetta sintonia con la spiritualità certosina. Nei volumi per la certosa, eseguiti nel tempo di Ercole, e nelle altre opere del principio degli anni Settanta appare una nuova concisione formale in linea con la cultura figurativa ferrarese dell'ottavo decennio, che diviene più asciutta e lineare per l'influenza delle prime opere di Ercole de' Roberti. Tale momento è ben ravvisabile nel Salterio e nell'Innario della cattedrale e anche nel Pontificale eseguito per Bartolomeo Della Rovere e oggi a Bologna. In questa fase nasce il problema della collaborazione con il nipote Alessandro Leoni, documentata nel Salterio per la certosa del 1475, la cui mano è forse da ravvisare in realizzazioni meno felici, per esempio nella prima pagina. Nelle opere del periodo urbinate, tra cui spicca l'illustrazione del Dante, il G., come già in precedenza aveva fatto nel Virgilio di Sanuto, mostra una straordinaria capacità di entrare nello spirito del testo, rivelando una più profonda adesione, nella realizzazione asciutta delle figure e negli scenari rocciosi, all'arte di Francesco del Cossa e Ercole de' Roberti.
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