LISIO, Guglielmo Gribaldi Moffa conte di
Nacque a Bra, presso Cuneo, il 19 dic. 1791 dal conte Corrado, ufficiale del reggimento provinciale di Asti, e da Cristina Adelaide Duc della Cassa. Il padre servì l'esercito fino alla vigilia dell'occupazione francese del 1796; restò ferito due volte e raggiunse, in seguito, il grado di maggiore generale. Rimasto fedele alla dinastia sabauda, il conte Corrado seguì il re nell'esilio in Toscana portando con sé la famiglia.
Nel 1801 il L. era allievo del collegio Tolomei di Siena, frequentato da altri figli di piemontesi legati alla monarchia. Nel 1802, dopo la pubblicazione di un decreto che minacciava l'esproprio dei beni dei fuorusciti, il padre tornò in Piemonte e il L. invece restò a Siena, dove rimase fino al 1806, quando un decreto imperiale proibì ai sudditi francesi (il Piemonte nel frattempo era stato annesso alla Francia) di fare studiare i figli all'estero. Rientrato in famiglia, il L. proseguì privatamente gli studi finché, nella primavera del 1809, per legare maggiormente a sé l'aristocrazia piemontese, Napoleone destinò i giovani di famiglie nobili alla Scuola militare di Saint-Cyr, dove il L. rimase, però, pochissimi mesi perché, grazie all'appoggio dello zio C.E. Alfieri, gran cerimoniere alla corte del principe C. Borghese, governatore generale dei dipartimenti al di là delle Alpi, già nel luglio dello stesso anno poté far ritorno a Torino con la nomina a paggio del principe.
Nell'agosto del 1810 fu nominato sottotenente e destinato al 21° reggimento dragoni, un reparto di origine piemontese. Fino all'aprile del 1811 restò a Belfort, presso il deposito del reggimento. Partì poi per la Spagna, ma non si hanno notizie relative alla sua partecipazione alle campagne nella penisola iberica. Nel 1813, al rientro in Francia, a Saintes, ottenne la promozione a tenente (22 luglio) e fu poi destinato con il suo reggimento a operare contro gli alleati nella Francia orientale. Il 22 febbr. 1814, sotto Troyes, fu ferito e catturato. Rimasto prigioniero in Ungheria sino al termine delle ostilità, nell'agosto si dimise dal servizio francese e il 28 dic. 1814 entrò nell'armata sarda come sottotenente del reggimento cavalleggeri del re. Promosso poco dopo tenente, prese parte alla campagna del 1815 contro la Francia, fu alla presa di Grenoble e, successivamente, all'occupazione di Lione.
Sul finire di quell'anno il L. fu promosso capitano e, sempre servendo nel reggimento cavalleggeri di stanza prima a Vercelli e poi a Pinerolo, entrò in contatto con l'ambiente liberale piemontese legato alla carboneria, cui aderivano per lo più giovani formatisi nella temperie napoleonica e quindi insofferenti del clima della Restaurazione. Resta tuttavia ignoto se la sua adesione a idee e progetti liberali fosse dovuta all'esperienza spagnola, come si verificò per altri, o se invece fosse il frutto del suo passato napoleonico ovvero dei contatti con parenti e amici portatori delle idee di avversione per l'Austria. A ogni modo il L., che probabilmente aveva aderito all'Associazione dei federati italiani, seppe accattivarsi la simpatia dei suoi soldati, interessandosi in ogni circostanza alle loro necessità e propagandando, attraverso l'esempio, le proprie idee.
La sua condotta non era sfuggita all'attenzione dei superiori, ma il L. seppe evitare le loro contromisure non del tutto convinte (una missione militare in Germania) protestando la sua fedeltà. Poi però, come esponente di spicco del movimento costituzionale e antiaustriaco, egli fu uno dei quattro congiurati che il 6 marzo 1821 si abboccarono a palazzo Carignano con il principe Carlo Alberto preavvisandolo dello scoppio del pronunciamento e chiedendo la costituzione e la guerra all'Austria.
La preparazione del moto, sospesa per le incertezze di Carlo Alberto, riprese subito dopo tra disguidi ed equivoci. Fu così che il L. si portò a Pinerolo, arringò i soldati del suo reggimento, affermando che gli Austriaci stavano per invadere il Piemonte, e portò fuori con sé 300 cavalleggeri. Il 10 marzo era con Santorre de Rossi conte di Santarosa a Carmagnola, dove diede alle stampe un manifesto in cui si dichiarava che - come già aveva fatto nel 1813 l'esercito prussiano - ci si doveva allontanare dalle norme della subordinazione per la suprema salvezza della patria. Il 12 marzo raggiunse Alessandria, nel frattempo insorta, e prestò giuramento alla costituzione di Spagna, che vi era già stata proclamata.
Assunta la reggenza, Carlo Alberto accettò la costituzione di Spagna e concesse un'amnistia agli insorti che il L. - in quei giorni in movimento tra Torino, Casale e Alessandria - rifiutò; e quando il nuovo re, Carlo Felice, annullò le decisioni di Carlo Alberto, il L., promosso maggiore il 28 marzo, si portò ad Alessandria, dove l'8 aprile fu tra i pochi ad abbozzare una sia pur inutile resistenza agli Austriaci fra Borgo Vercelli e il ponte sul Sesia.
Mentre il potere regio veniva restaurato il L. raggiunse Genova, da dove si imbarcò il giorno 11 per Tolone. Di qui si portò a Ginevra per restarvi fino all'autunno, dove fu raggiunto dalla notizia del processo a suo carico, conclusosi con la degradazione, la condanna a morte (con l'impiccagione in effigie sulla porta di casa), la confisca dei beni e una assai più leggera condanna inflitta al padre.
Dalla Svizzera il L. raggiunse Parigi sotto falso nome, poiché il governo piemontese, dopo averli fatti scacciare dalla Svizzera, voleva che gli esuli venissero confinati in villaggi fuori mano. La presenza a Parigi, come ambasciatore sardo, dello zio C.E. Alfieri contribuì a facilitargli il soggiorno nel decennio successivo, che il L. trascorse frequentando l'ambiente degli esuli moderati, guidato da E. Dal Pozzo principe della Cisterna e da G. Provana di Collegno.
Quegli anni, in cui strinse amicizia anche con il filosofo V. Cousin, furono per il L. densi di studi e di letture, specialmente di carattere filosofico e religioso, e segnati da un ritorno alla fede. Pur rimanendo legato agli ideali del 1821 e continuando a interessarsi ai problemi dell'Esercito piemontese, il L. restò comunque un po' in ombra, probabilmente per non precludersi il rimpatrio.
L'ascesa al trono di Carlo Alberto nel 1831 non portò alcun cambiamento; ma l'anno successivo, ammalatosi gravemente suo padre, il L. ottenne tramite C.E. Alfieri, divenuto gran ciambellano, l'autorizzazione a raggiungerlo, sotto falso nome e con divieto di passare per Torino. Partito da Parigi ai primi di maggio, arrivò a Bra soltanto il 15, quando il padre era già morto. Riuscì, comunque, a rinviare la partenza e, sempre sottoposto a stretta sorveglianza, chiese e ottenne di poter rimanere per mettere ordine negli affari di famiglia. A fine anno, per l'intercessione dei parenti e per la buona condotta, ottenne infine la revoca della condanna a morte e della confisca dei beni. In segno di gratitudine, nel marzo 1833 il L. si offrì volontario - aggregato al reggimento "Piemonte" - nella spedizione sarda contro Tunisi. Al ritorno fu autorizzato a muoversi liberamente nel Regno, salvo il mostrarsi troppo spesso a Torino. Gli anni successivi furono trascorsi dal L. a Bra, dove restaurò la casa avita, raccogliendovi un'ingente biblioteca, ricca di opere sulla Rivoluzione francese e sull'Impero, continuando a interessarsi dell'esercito, ma conducendo una vita ritirata, anche dopo che nel 1842 venne concessa un'amnistia per tutti i condannati del 1821.
Fu soltanto nel 1848, con la concessione dello statuto e con la guerra all'Austria, che il L. tornò alla vita pubblica. Reintegrato nell'esercito col grado di colonnello e chiamato a far parte dello stato maggiore della guardia civica (poi nazionale), il L. si presentò come candidato alla Camera dei deputati nel maggio per i collegi di Bra e di Canale; fu eletto in entrambi e optò per il primo.
Preoccupato per l'impreparazione militare e per la lentezza delle operazioni, già il 2 giugno sollecitò in Parlamento nuovi ed energici provvedimenti per rafforzare l'esercito, anche a costo di mobilitare la guardia nazionale. Nominato dal governo ministro residente "al campo" per controfirmare i provvedimenti del re, il L. raggiunse il sovrano a Codogno il 31 luglio, trovando la situazione, militare e politica, nel massimo disordine. Seguì poi Carlo Alberto nella battaglia davanti a Milano e fu con lui a palazzo Greppi, quando la folla ne tentò l'assalto, seguendolo infine a Vigevano e Alessandria. Qui rimase anche dopo la caduta del gabinetto Casati, fino al 25 agosto, quando fu sostituito dal generale G.D. Regis.
Nelle elezioni suppletive dell'ottobre il L., che con la chiamata al governo era decaduto dalla carica parlamentare, fu rieletto deputato. Fece allora parte della commissione per l'esame del comportamento dei comandanti militari nel corso della precedente campagna (il L. era persuaso che gran parte della responsabilità ricadesse sui generali) e fu relatore dei progetti di legge sull'avanzamento degli ufficiali e sui battaglioni di istruzione. Alla caduta del gabinetto Perrone-Alfieri fu interpellato, senza risultati pratici, per la formazione di un nuovo governo, ma il momento non era favorevole per i moderati, come si vide nelle elezioni del gennaio 1849, quando il L. si trovò sconfitto nel proprio collegio. Fu invece rieletto nelle tornate elettorali del luglio e dicembre 1849, del 1853 e del 1857, e sedette ininterrottamente, fino al suo scioglimento, nel Parlamento subalpino, del quale, dal dicembre 1855, fu anche vicepresidente. Fu membro della commissione d'inchiesta sulla campagna del 1849 e di quelle per il trattato commerciale con l'Austria, per la repressione del contrabbando e sulla libertà di stampa.
Pur se cattolico convinto (votò per questo contro il progetto di matrimonio civile di Massimo d'Azeglio), nel decennio di preparazione il L. sostenne gli esponenti dell'ala liberale moderata, dapprima d'Azeglio e poi Cavour. Membro del Congresso consultivo permanente di guerra e aiutante generale del principe di Carignano, comandante la guardia nazionale del Regno, in Parlamento sostenne la riforma La Marmora sulla leva. Favorevole all'intervento in Crimea, lo fu ancor più, nel 1859, alla nuova campagna contro l'Austria a fianco della Francia e, nonostante le non buone condizioni di salute, si portò a Oulx e a Susa per accogliere i primi contingenti francesi.
Con il compimento dell'Unità nazionale il L. si ritirò dalla vita pubblica, impossibilitato a candidarsi al primo Parlamento italiano da una grave malattia agli occhi che negli anni successivi lo avrebbe reso quasi completamente cieco; ma sulla sua decisione pesarono anche il quadro politico quasi totalmente mutato e l'abitudine a scrivere pressoché esclusivamente in francese, lingua che, con il dialetto piemontese, gli era assai più famigliare dell'italiano. Ritiratosi a Bra, continuò a interessarsi degli avvenimenti nazionali ed esteri, com'è attestato dalla corrispondenza con i parenti e gli amici, questi ultimi ridotti al solo Emanuele d'Azeglio. L'Italia ufficiale sembrò disinteressarsi del L., che non ebbe da vivo né riconoscimenti, né onorificenze, tranne una medaglia commemorativa della presa di Roma.
Fu invece commemorato presso la Camera e il Senato alla sua morte, avvenuta a Bra il 23 dic. 1877.
Fonti e Bibl.: B. Manzone, G. M. di L., Torino 1882; A. Racca, Il braidese conte G. M. di L.: l'uomo nella storia e nella vita. Lettere inedite, in Boll. per gli studi storici, archivistici ed artistici della provincia di Cuneo, n.s., 1961, n. 46, pp. 49-73; N. Nada, G. M. di L. (1791-1877). Il contributo di un patriota braidense al Risorgimento nazionale, Bra 1982; G. Marsengo - G. Parlato, Diz. dei piemontesi compromessi nei moti del 1821, Torino 1986, s.v.; A. Mango, G. M. di L. e i ventunisti nel 1848, in L'età della Restaurazione in Piemonte e i moti del 1821. Atti del Convegno nazionale di studi, Bra… 1991, a cura di A. Mango, Savigliano 1992; Diz. del Risorgimento nazionale, III, pp. 607 s. (E. Piglione).