Guglielmo II il Buono re di Sicilia
Figlio del re Guglielmo I e di Margherita di Navarra, nacque nel 1153. Succeduto al padre ancora adolescente (1166), governò il regno di Sicilia fino alla morte avvenuta il 18 novembre 1189. La tradizione storica gli è prodiga di lodi; la sua vita, a quanto pare, somigliava a quella di un sovrano orientale: i palazzi palermitani abbondavano di schiavi e di donne e le cure dello stato venivano riscattate in un certo senso dai piaceri di corte; nonostante tutto D. gli riserva un posto in Paradiso tra gli spiriti giusti (Pd XX 61-65): G. è l'ultimo di cinque spiriti disposti in linea curva a formare il ciglio dell'aquila simbolo dell'Impero universale. Dal passo che D. gli dedica, e in particolare dall'espressione ora conosce come s'innamora / lo ciel del giusto rege (vv: 64-65) appare chiaramente come tutti quei sovrani si trovino in Paradiso appunto in virtù della giustizia esercitata in terra. Né è da credere che la presenza di tanti famosi personaggi, quali Davide e Costantino, offuschi la nobile figura del re normanno, anzi questa viene messa in gran risalto dal contrasto con le figure dei regnanti ancora vivi, Carlo II d'Angiò e Federico d'Aragona (vv. 61-63); tale contrapposizione, in particolare, viene a ‛ sintetizzare ' il finale del canto XIX e l'inizio del XX: là si condannavano i sovrani malvagi, qui si esaltano i sovrani esemplari. I versi di D. sembrano riecheggiare quanto figura nella Cronaca di Riccardo da S. Germano: " abundans in omnibus opibus erat, stirpe clarus, fortuna elegans, virtute potens, sensu pollens, divitiis opulentus: erat flos regum, corona principum ". Già gli antichi commentatori della Commedia si erano soffermati sul personaggio esaltandone le molte virtù: " si poteva stimare il vivere siciliano d'allora essere un vivere del Paradiso terrestro ", così si esprime l'Ottimo; e Iacopo della Lana: " questo re Guglielmo fue uno uomo giusto e ragionevile... Costui era liberalissimo... ".
L'essere buono, giusto, liberale non impedì a G. d'intraprendere anche imprese belliche; abbandonata la politica difensiva inaugurata dal padre, rivolse la sua attenzione all'Oriente come già avevano fatto Roberto Guiscardo e i due Ruggeri. Nel 1185 l'esercito siciliano, approfittando di una situazione difficile venutasi a creare nell'impero d'Oriente con la morte di Emanuele Commeno, s'impadronì di Durazzo e Tessalonica, ma ben presto le conquiste fatte andarono perdute. Non c'è dubbio che G. avrebbe potuto trovar posto nel poema anche tra gli spiriti militanti: infatti partecipò attivamente ai preparativi della terza crociata, e permise il passaggio attraverso i suoi territori; famosa è poi la vittoria che il suo ammiraglio Margaritone riportò sulla flotta di Saladino (primavera 1188). I meriti di G. non si limitarono soltanto al campo militare, anzi proprio la sua attività politica e diplomatica dovette stimolare l'ammirazione di D.; né resta difficile immaginare come il poeta considerasse punto chiave di tale attività l'aver acconsentito alle nozze della zia Costanza con Enrico VI di Svevia: questo matrimonio poneva di fatto le basi di un impero ancora più vasto; dallo stesso matrimonio nasceva inoltre Federico II sotto il quale l'Italia tornava a essere " la sede della podestà imperiale " (Rossi). Alla fantasia del poeta Palermo, la capitale del regno, veniva quasi a continuare la tradizione della Roma imperiale, mentre G. poteva apparire come uno strumento della Provvidenza. Alla luce di quanto è stato testé detto, si giustifica ancora meglio la sua presenza nella grande aquila, simbolo di quell'Impero tanto vagheggiato, i cui massimi attributi dovevano essere giustizia e pietà.
Bibl. - Riccardo da San Germano, Chronicon, in Rer. Ital. Script. VII, Milano 1725, 969-970; V. Rossi, Il canto XX del Paradiso, in Lett. dant. 1768-1769 e passim; E. Paratore, Il canto XX del Paradiso, in Lect. Scaligera III 688-689 e passim. (rist. in Tradizione e struttura in D., Firenze 1968, 281-284).