IMPERIALI, Guglielmo
Nacque a Salerno, il 19 ag. 1858, dal marchese Francesco, nobile dei principi di Francavilla, e da Clementina Volpicelli.
La famiglia paterna apparteneva a un ramo cadetto dei principi Imperiali di Francavilla, ed era strettamente legata alla corte borbonica. Il padre - al momento della nascita dell'I. vicepresidente del tribunale di Salerno - si dimise dopo l'Unità, con il grado di consigliere di corte d'appello, per lealtà con l'antico sovrano, e fu molto attivo a livello sociale ricoprendo cariche importanti in numerose organizzazioni benefiche napoletane. La madre, figlia di Pietro Volpicelli, un facoltoso uomo d'affari e grande proprietario terriero di sentimenti liberali, era donna religiosissima, sorella della beata Caterina Volpicelli, fondatrice della congregazione delle ancelle del S. Cuore, ed ebbe molta influenza sull'educazione del figlio.
Il giovane I. compì i suoi studi a Napoli, dove frequentò la facoltà di giurisprudenza laureandosi nel 1880. Compiendo uno strappo rispetto alle tradizioni di famiglia, aderì allo Stato liberale e da quel momento dimostrò grande attaccamento alla nuova dinastia.
Nel febbraio 1882, superato brillantemente il concorso per la carriera diplomatica (essendo risultato primo in graduatoria), fu chiamato a prestare servizio al ministero degli Affari esteri presso la Divisione politica, dove fu notato da P.S. Mancini, ministro dal 1883; poté, così, iniziare il suo servizio all'estero nell'ambito di quello che era allora il "golden circuit", il giro delle ambasciate delle grandi capitali: nel maggio 1884 fu destinato a Berlino, quindi trasferito a Parigi, dove rimase dal 1885 al 1889, costantemente apprezzato, in queste prime sedi, dai suoi capimissione. Nel 1889, fu inviato a Washington, considerata una destinazione significativa nel quadro della politica di rivalutazione delle sedi americane attuata da F. Crispi.
Vi giunse nella primavera del 1890 e si trovò ad affiancare il barone F.S. Fava, che non godeva dei favori di Crispi; tale esperienza, vissuta agli albori della grande potenza statunitense, fu molto utile per la sua formazione: si deve a lui se fu possibile superare la grave crisi nei rapporti italo-americani sorta dopo gli eccidi di New Orleans.
Nel 1895, fu destinato a Bruxelles; nell'ottobre dell'anno seguente sposò Giovanna Maria Colonna dei principi di Paliano (figlia di Edoardo, principe di Summonte) con un matrimonio che avrebbe indubbiamente favorito la sua carriera: i Colonna di Paliano avevano infatti una grande influenza sia a corte, sia nei circoli politici. Nel 1901, quindi, riuscì a ritornare come incaricato d'affari a Berlino, dove rimase sino al 1903; nell'ottobre di quell'anno si era rivolto al ministro degli Esteri, G. Prinetti, per ottenere la nomina a capomissione.
Con Prinetti aveva stabilito un ottimo rapporto nel periodo berlinese, trovandosi generalmente in sintonia con il ministro, il quale, senza mettere in discussione l'alleanza con gli Imperi centrali, si adoperava a migliorare i rapporti con Gran Bretagna e Francia. Nei riguardi di quest'ultima, tuttavia, l'I. nutriva forti riserve, sia per quanto concerneva la politica tunisina, sia nei confronti delle pretese egemoniche di Parigi nel Levante, considerando che fosse necessario, da parte del governo francese, tener conto della penetrazione politica e commerciale della Germania nell'Impero ottomano (e anche delle aspettative italiane). D'altro canto non mancò di far valere, senza complessi, gli interessi italiani anche nei confronti del governo tedesco, facendo notare, per esempio, che il riconoscimento del trattato del Bardo (protettorato francese sulla Tunisia) era stata una "maladresse" della Germania nei confronti dell'Italia.
L'improvvisa malattia di Prinetti - per cui questi fu costretto ad abbandonare il ministero - lo privò di un protettore e quindi della possibilità, al momento, di ottenere la direzione di una rappresentanza. Ai primi di giugno del 1903, fu inviato a Sofia come "agente diplomatico e console generale", in un momento in cui la presenza italiana in Bulgaria andava crescendo d'importanza, in specie dopo l'accordo austro-russo di Mürzsteg (2 ott. 1903) che aveva tagliato fuori l'Italia dagli affari macedoni.
L'I. - su istruzione del ministro E.C. Morin - esercitò un'influenza moderatrice nei confronti del governo di Sofia, esortandolo a usare prudenza nei rapporti con la Sublime Porta nella questione macedone; in particolare, poi, sostenne i tentativi della Bulgaria di sottrarsi all'influenza dominante della Russia e dell'Austria-Ungheria, stabilendo, così, ottimi rapporti con le autorità bulgare.
Promosso ministro plenipotenziario, nel gennaio 1904, dopo una destinazione di pochi giorni a Belgrado, fu richiamato a Roma per "ragioni di servizio" e, infine, nel giugno dello stesso anno, inviato a Costantinopoli con credenziali di ambasciatore, con un notevole salto in avanti nella carriera.
Fra i problemi che l'I. si trovò ad affrontare a Costantinopoli ci furono quello del debito ottomano, al centro delle rivalità tra le grandi potenze, e quello relativo agli interessi italiani in Albania; ma soprattutto l'I. si impegnò a favorire la "penetrazione pacifica" in Libia, contrastando le pressioni delle grandi potenze e, nel contempo, invitando i rappresentanti consolari italiani a evitare scontri con le autorità ottomane, secondo le precise indicazioni del ministro degli Esteri, T. Tittoni. Pur consapevole degli scarsi mezzi di cui disponeva l'azione italiana, l'I. dedicò molta cura alla difesa degli interessi italiani economici nel Levante, al sostegno delle missioni cattoliche e alla protezione delle comunità italiane sparse nell'Impero.
Nominato ambasciatore a Londra agli inizi del 1910, l'I. giunse nella capitale britannica in maggio. Gli esordi furono difficili, trovandosi a dover fronteggiare le conseguenze negative della guerra di Libia. Il ritorno a un clima di maggior comprensione tra i due paesi si dovette per molta parte alla sua abilità diplomatica e a un'intensa vita sociale.
L'esperienza degli affari balcanici, del Vicino Oriente e del Nord Africa gli fu preziosa nel nuovo incarico, come nel caso della conferenza degli ambasciatori convocata a Londra nel dicembre 1912, e di tutto il successivo lavoro diplomatico finalizzato a risolvere i problemi collegati alle guerre balcaniche del 1912-13 e al riassetto di quella regione; in queste circostanze, ottenne l'apprezzamento e la stima del ministro degli Esteri inglese sir Edward Grey, che gli furono assai utili nel corso della sua lunga residenza londinese.
Altra questione spinosa fu quella che l'I. si trovò ad affrontare, sempre nel 1913, nel tentativo di ottenere da parte inglese il riconoscimento di una "sfera d'influenza" italiana nella regione anatolica di Adalia, che andava a urtare contro interessi economici inglesi; questione che, allo scoppio della prima guerra mondiale, non era stata ancora risolta.
Nella prima fase della crisi che avrebbe portato alla guerra, l'I. si lamentò spesso col ministro degli Esteri, A. Paternò-Castello marchese di Sangiuliano, di essere scarsamente informato delle decisioni del governo, lasciando, comunque, chiaramente intendere le sue preferenze per una neutralità italiana. In ogni caso si sforzò di mantenere un atteggiamento amichevole nei confronti del governo inglese non essendo pregiudizialmente filotriplicista: oltre a un atteggiamento genericamente realistico e non dogmatico riguardo alle alleanze, l'I. era intimamente convinto che l'intervento italiano dovesse realizzarsi a fianco delle potenze dell'Intesa. Tale posizione gli permise di giocare un ruolo di rilievo quando si trattò di definire i compensi da richiedere in caso di intervento. E fra le ragioni che portarono l'Italia alla scelta di Londra come sede dei negoziati con l'Intesa certamente non ultima fu la presenza nella capitale inglese di un ambasciatore come l'I., sulla cui segretezza e abilità il governo poteva fare pieno affidamento.
Nel corso del lungo negoziato l'I. dovette temperare le asprezze del suo nuovo ministro, S. Sonnino, che, in certi momenti, sembrarono poter mandare a monte le trattative; in qualche caso l'I. si assunse la responsabilità di non riferire le istruzioni del ministro ai suoi interlocutori finché non fosse riuscito ad ammorbidirne le posizioni, adoperandosi, nel frattempo, a proporre formule di compromesso che, infine accettate, contribuirono alla conclusione dell'alleanza. Anche il presidente del Consiglio, A. Salandra, in un passo delle sue memorie, fu largo di apprezzamenti per l'opera "attiva, efficace" e appassionata dell'I. che aveva ben contribuito al successo del negoziato, lamentando che "L'Italia ufficiale non avesse riconosciuto abbastanza le sue benemerenze".
Sin dall'inizio della trattativa, prima di presentare le richieste italiane, Sonnino aveva chiesto all'I. di esaminarle e fargli avere i suoi suggerimenti (16 febbr. 1915); fu poi lo stesso I. a comunicarle a Grey, in un primo tempo a "titolo personale", quindi ufficialmente (4 marzo), su istruzioni del ministro di cui eseguì lealmente, ma con grande indipendenza di giudizio, la linea politica. Se, da una parte, l'I. avanzava riserve sulle clausole relative alla Dalmazia ("troppa Dalmazia" annotò nel suo diario), dall'altra si dimostrava contrario a rinunziare a Fiume; inoltre l'I. avrebbe voluto che nel patto fossero meglio definite le rivendicazioni coloniali italiane e, soprattutto, le compensazioni nella Turchia asiatica in caso di spartizione dell'Impero ottomano (art. 9 del trattato), preoccupazione quest'ultima che si rivelò poi fondata. Di fatto l'eventualità di una spartizione dell'Impero ottomano era prevista negli accordi segreti anglo-franco-russi del marzo-aprile 1915 e, a partire dal successivo agosto, l'I. - su istruzioni di Sonnino - chiese insistentemente che l'Italia ne fosse messa a parte. Solo dopo la dichiarazione di guerra alla Germania, tra il 5 e il 22 ott. 1916, Grey si decise a comunicare all'I. i testi degli accordi; della questione si discusse nella conferenza di Londra (29 gennaio - 12 febbr. 1917), in cui l'I. rappresentò l'Italia sostenendo, per ragioni di merito ma anche per motivi tattici, una linea intransigente a difesa delle rivendicazioni esposte nel "memorandum Sonnino". Tale posizione portò alla sospensione delle trattative riprese dopo un passo conciliativo che l'I. effettuò a titolo personale (27 febbr. 1917), permettendo la ripresa del negoziato e spianando infine la strada a un'intesa, poi definita negli accordi di San Giovanni di Moriana.
Spettò all'I. perfezionare con una sua nota la conclusione dell'accordo italo-franco-britannico di Londra, del 17 ag. 1917, con il quale l'Italia aderiva al trattato franco-britannico del 1916 e si recepivano l'accordo di San Giovanni di Moriana e quello italo-francese del 26 luglio 1917 in cui venivano riconosciuti i diritti italiani in Anatolia, Arabia e Mar Rosso.
Alla fine della guerra, nel maggio 1919, l'I. fu nominato membro della delegazione italiana alla conferenza di Parigi, dove rimase fino alla fine di giugno, cioè subito dopo la conclusione del trattato di pace con la Germania, di cui fu cofirmatario, e l'arrivo della nuova delegazione.
A Parigi egli svolse un lavoro quasi esclusivamente interno alla delegazione e di contatti di corridoio, limitandosi a esercitare una discreta influenza dietro le quinte: il suo atteggiamento non fu né remissivo né ipernazionalista, collaborando lealmente con Sonnino e V.E. Orlando; di questi ultimi, pur avendo avuto talvolta divergenze di vedute sia circa la tecnica del negoziato, sia su alcuni punti di sostanza, riconobbe anche i meriti, al di là degli errori compiuti o imputati.
Con l'abbandono della conferenza della pace da parte di Orlando e con lo stallo dei negoziati sulla questione adriatica, il compito dell'I. a Londra divenne molto delicato e i suoi sforzi per ottenere all'Italia un atteggiamento più favorevole da parte del governo inglese non riuscirono ad andare a segno; né l'avvento del governo Nitti-Tittoni comportò un cambiamento di atmosfera, anche per il perdurare della crisi fiumana e per la mancata definizione delle concessioni all'Italia in Anatolia. Fu poi l'I. a organizzare il convegno tra D. Lloyd George e T. Tittoni a Clairefontaine (31 ag. 1919), nel tentativo di arrivare a un riavvicinamento con l'Inghilterra.
Nell'ottobre 1919 l'I. fu coinvolto in un incidente diplomatico di notevole rilievo, che rischiò di vanificare molta parte del suo lavoro, determinato da una fuga di notizie di cui in un primo momento fu a torto sospettato.
L'indiscrezione riguardava un'energica protesta del governo inglese, che lamentava il "laisser faire" del governo italiano circa l'impresa di G. D'Annunzio a Fiume; il ministro Tittoni, informatone dall'I., nel tentativo di sensibilizzare l'opinione pubblica italiana sulla pericolosità dell'avventura fiumana, l'aveva lasciata filtrare attraverso un comunicato dell'Agenzia Stefani che minacciava possibili sanzioni da parte della Gran Bretagna.
L'incidente si concluse con le scuse di Tittoni e l'I. poté riprendere i suoi tentativi di riavvicinare le parti; dal novembre 1919, affrontò anche il complesso negoziato coloniale concernente l'intesa sull'Etiopia in base all'accordo tripartito del 1906, la frontiera egiziano-cirenaica e la questione del Giubaland. Nel dicembre dello stesso anno dovette preparare il viaggio del nuovo ministro degli Esteri italiano, V. Scialoja, nella capitale britannica; in un'atmosfera migliorata dalla presentazione del "compromesso Nitti" sulla questione adriatica, l'I. continuò a seguire i temi caldi della politica estera italiana del dopoguerra alla conferenza di Londra (12-23 febbr. 1920) e a quella di Sanremo (18-26 apr. 1920), alle quali partecipò come membro della delegazione italiana. Nel giugno 1920 un nuovo governo portò ai vertici del ministero degli Esteri C. Sforza, con cui l'I. - nonostante quest'ultimo fosse stato suo collaboratore per qualche anno a Costantinopoli - non riuscì a intendersi.
Le incomprensioni più che dalla diversità delle posizioni politiche, pure presenti, per esempio riguardo alla situazione turca, furono determinate dal fatto che Sforza non volle lasciare all'I. quei margini di autonomia che i suoi predecessori gli avevano assicurato, che era intenzione del ministro svecchiare il corpo diplomatico e, soprattutto, che questi riteneva, forse non del tutto a ragione, che la posizione dell'I. a Londra si fosse oramai logorata.
In occasione di un viaggio a Londra, ai primi di dicembre del 1920, Sforza preannunciò all'I. il provvedimento relativo al suo collocamento a disposizione, la cui responsabilità fece risalire a G. Giolitti che non considerava un merito dell'I. quello di aver firmato il patto di Londra.
Al suo ritorno a Roma l'I. fu chiamato a rappresentare l'Italia nel Consiglio della Società delle nazioni; il 9 nov. 1922, subito dopo la marcia su Roma, chiese di essere collocato a riposo - di fatto su consiglio di S. Contarini - per evitare di subire un provvedimento d'ufficio in quanto B. Mussolini sarebbe stato "prevenutissimo" nei suoi confronti. Poco dopo diede le dimissioni anche da delegato italiano alla Società delle nazioni, giustificandole con motivi personali.
Senatore fin dal 1° dic. 1913, dopo aver lasciato la carriera diplomatica prese a frequentare più assiduamente il Senato, facendo parte di numerose commissioni, in particolare quella per gli Affari esteri, anche se raramente prese la parola in aula. Fu sempre considerato un'autorità in materia di politica estera e, in qualche caso, fu consultato ufficiosamente dal governo, ma tenne a conservare una posizione di indipendenza nei confronti del regime: non fece mai parte dell'Unione nazionale del Senato, non vi aderì quando si trasformò in Unione nazionale fascista del Senato, né si iscrisse al Partito nazionale fascista. Notoriamente vicino all'opposizione, nel 1930, venne chiamato a far parte del Contenzioso diplomatico.
Il lungo impegno al servizio dello Stato e il suo attaccamento alla dinastia vennero riconosciuti nel 1932, con il conferimento del collare dell'Annunziata, di cui pochissimi diplomatici poterono fregiarsi.
L'I. morì a Roma il 20 genn. 1944
Fonti e Bibl.: L'Archivio Imperiali è conservato a Roma presso la famiglia e contiene documentazione di carattere personale (tra cui un diario giovanile) e relativa alla carriera e all'attività pubblica, in un arco cronologico che va dal 1895 al 1942, inclusi i diari per gli anni 1902-07, 1911-12, 1915-17, 1919-26, 1929-37, 1939-42; esiste anche un diario maggio-giugno 1919 relativo alla partecipazione alla Conferenza della pace.
Roma, Arch. stor. del Senato, f. pers.; Ibid., Arch. stor. del ministero degli Affari esteri, f. pers.; Serie concorsi, pacco 10, f. 2, sottofasc. 6; Serie P, pos. 48, b. 308, Bulgaria (1903-04), pos. 17; b. 121, Turchia (1904); b. 127, Turchia (1904-10); AP, GB 1920, pos. 1192, f. 4706; Ambasciata Washington, b. 41, ff. 133, 134, 137, 140, 141, 142; Ambasciata Londra, b. 330, ff. 1, 4; b. 334, f. 2; b. 471, pos. 1 (Asia); b. 472 (Accordi coloniali); b. 490, pos. 2; b. 492, pos. 2 (Rapallo); b. 493 (Asia Minore); b. 494; b. 495, pos. 1 (1910-20); Documenti diplomatici italiani, s. 3, voll. V-VI; s. 4, vol. XII; s. 5, voll. I, III-IV, VII-VIII; s. 6, vol. I, ad indices; Libro verde - Macedonia (documenti diplomatici presentati al Parlamento dal ministro degli Affari esteri Sangiuliano, 30 genn. 1906), ad ind.; British documents on the origins of war, s. 9, vol. I, ad ind.; Documents on British foreign policy, s. 1, vol. IV (1919-39), ad ind.; Atti parlamentari, Discussioni, Senato, Legisl. XXIV-XXX, ad indices. Vedi inoltre: R. Rodd, Social and diplomatic memories, III, London 1925, pp. 117, 178; A. Salandra, L'intervento (1915). Ricordi e pensieri, Milano 1930, passim; M. Toscano, Gli accordi di San Giovanni di Moriana. Storia diplomatica dell'intervento italiano…, Milano 1936, passim; L. Aldrovandi Marescotti, Nuovi ricordi e frammenti di diario…, Milano 1938; D. Varé, Il diplomatico sorridente (1900-1940), Milano 1942; L. Albertini, Venti anni di vita politica, I, L'esperienza democratica italiana dal 1898 al 1914, 2, 1909-1914, Bologna 1951, ad ind.; M. Toscano, I. e il negoziato per il Patto di Londra, in Storia e politica, VII (1968), pp. 177-205; P. Pastorelli, L'Albania nella politica estera italiana (1914-1920), Napoli 1970, ad ind.; F. Malgeri, La guerra libica (1911-1912), Roma 1970, ad ind.; G. Salvemini, La politica estera italiana dal 1871 al 1915, a cura di A. Torre, Milano 1970, ad ind.; R. Guariglia, Primi passi in diplomazia e rapporti dall'ambasciata di Madrid (1932-1934), a cura di R. Moscati, Napoli 1972, ad ind.; S. Sonnino, Diario, III, 1916-1922, a cura di P. Pastorelli, Bari 1972, ad ind.; Id., Carteggio, 1914-1916, a cura di P. Pastorelli, Bari 1974, ad ind.; Id., Carteggio, 1916-1922, a cura di P. Pastorelli, ibid. 1975, ad ind.; R.A. Webster, L'imperialismo industriale italiano…, Torino 1974, ad ind.; R.J.B. Bosworth, Italy and the approach of the first world war, London 1983, ad ind.; M. Petricioli, L'Italia in Asia Minore. Equilibrio mediterraneo e ambizioni imperialiste alla vigilia della prima guerra mondiale, introd. di E. Di Nolfo, Firenze 1983, ad ind.; R.J.B. Bosworth, La politica estera dell'Italia giolittiana, Roma 1985, ad ind.; R. De Felice, Mussolini l'alleato. 1940-1945, I-II, Torino 1990, ad ind.; G.A. Haywood, Failure of a dream. Sidney Sonnino and the rise and fall of liberal Italy (1847-1922), Firenze 1999, ad ind.; L. Micheletta, Italia e Gran Bretagna nel primo dopoguerra. Le relazioni diplomatiche tra Roma e Londra dal 1919 al 1922, Roma 1999, I, ad ind.; G. Sabbatucci, La conquista totalitaria del Senato, Roma 2003, ad ind.; La formazione della diplomazia nazionale (1861-1915). Repertorio bio-bibliografico dei funzionari del ministero degli Affari esteri, Roma 1987, sub voce.