JANNI, Guglielmo
Nacque a Roma il 19 nov. 1892, secondogenito di Giuseppe e Teresa Belli. Il padre era avvocato, ma le sue sostanze derivavano piuttosto da rendite immobiliari e agricole, che includevano un palazzo avito, di origine medievale, a Vallerano (Viterbo). Il nonno materno, Ciro, era l'unico figlio del poeta G.G. Belli.
L'infanzia e l'adolescenza furono marcate dall'educazione autoritaria imposta dal padre, che si mitigò in parte dopo la morte prematura della primogenita Virginia, ammalatasi di tisi (1906). Lo J. frequentò con ottimi risultati il liceo classico Virgilio; in seguito, conformandosi non senza frustrazione al volere paterno, iniziò gli studi di giurisprudenza.
Con la morte del padre (1912) Teresa Belli rimase l'unico, insostituibile affetto familiare, cui lo J. guardò con devozione, come dimostrano i ritratti che le fece e l'album di ricordi e immagini che egli pubblicò in sua memoria: Ritratti di Teresa Belli (Roma 1942).
Nel luglio 1915 fu chiamato a combattere sul Carso e, nonostante il temperamento mite, il consueto senso della disciplina ne fece un soldato esemplare, tanto che, in seguito a una temeraria azione notturna, meritò la medaglia di bronzo al valore. In tale periodo incontrò R. Longhi, che più tardi si sarebbe interessato alla sua opera di pittore (Lucchese, 1967, p. X).
Dopo il congedo (1919) lo J. non riprese gli studi di giurisprudenza, interrotti a pochi esami dalla laurea, decidendo di assecondare le proprie aspirazioni artistiche. Il cugino P. Ferretti lo presentò al pittore G. Bargellini, noto per i mosaici delle lunette del Vittoriano. Lo J. entrò nel suo studio e si iscrisse all'Accademia di belle arti di Roma, dove Bargellini insegnava decorazione. Nel frattempo coltivava la sua passione per il teatro, frequentando tanto i classici quanto gli spettacoli di E. Petrolini e le rappresentazioni del teatro sperimentale in via degli Avignonesi, diretto da A.G. Bragaglia.
Conseguito il diploma, lo J. seguì il maestro in diversi cantieri, come pittore e consulente letterario. Nel 1923 Bargellini lo chiamò a collaborare alle decorazioni del palazzo del Viminale e, come atto di stima, nel 1924 gli affidò la raffigurazione a tempera della Storia della moneta italiana nel soffitto della sala del Consiglio nel palazzo della Banca d'Italia. In tale cantiere lo J. incontrò il giovane A. Ziveri, allora "schiaccia-colori" di Bargellini, la cui amicizia negli anni successivi si sarebbe rivelata fondamentale. Continuò a lavorare con il maestro fino al 1930 circa alle decorazioni del ministero di Giustizia (1929) e del palazzo dell'Istituto nazionale delle assicurazioni in via Sallustiana a Roma, oltre che delle terme di Montecatini.
Nel frattempo lo J. aveva esordito come pittore autonomo: nel 1921 espose alla I Biennale romana un Ritratto di signora (non identificato) e, alla successiva edizione (1923), un S. Tarcisio di sapore preraffaellita (disperso, ripr. in J., p. 76). Coltivando il genere religioso, nel 1926 vinse ex aequo il premio del verdetto popolare al Concorso artistico francescano di Milano con un S. Francesco (Roma, Istituto ambrosiano), in cui si ravvisano citazioni pierfrancescane.
Del 1927 è il S. Sebastiano (Roma, collezione Cerasi, ripr. in La scuola romana nel Novecento, p. 63), culmine della fase purista dello J., in cui l'evidente citazione da Antonello da Messina o da A. Mantegna - il nudo virile in primo piano in uno scorcio urbano rinascimentale - si fonde con il recente esempio della pittura postmetafisica di G. De Chirico. Nel 1928 con l'affresco dei Cortei di vedove e orfani nella cappella dei caduti in S. Bartolomeo a Busseto (Parma) lo J. concluse l'esperienza di frescante neoquattrocentista su scala monumentale.
Il filone religioso continuò ancora alcuni anni. Nel 1931 lo J. partecipò all'Esposizione d'arte sacra cristiana di Padova con il trittico Opere di misericordia corporale (collezioni private, ripr. in J., tavv. 5-6 e p. 88), mentre alla I Quadriennale di Roma (1931) esponeva uno Studio per un David e Fiori del Divin Amore (entrambi a Roma in collezione privata, ripr. in J., p. 86). Intanto era subentrato un nuovo modello formale; attraverso Ziveri, tra il 1930 e il 1932 lo J. era venuto in contatto con M. Mafai e S. Bonichi, abbandonando il disegno purista in favore di forme diluite nel tonalismo tipico della scuola romana. Suoi temi divennero la figura umana e nature morte di semplici oggetti, in una pasta pittorica "tesa e porosa, oppure friabile" (De Libero, in Lucchese, 1972, p. 16), avvolti in una luce tenue e mattinale.
La bellezza del corpo maschile, motivo di molti suoi quadri, creava ora quasi un contraltare pagano al sentimento mistico che aveva pervaso le scene religiose. L'avvenenza dei tratti fisici, la predilezione per immagini di giovani seminudi, atleti, attori o ballerini in costume (Pugile: Roma, collezione Cerasi, ripr. in La scuola romana nel Novecento, p. 71; Commedia dell'arte: Roma, collezione privata, ripr. in J., tav. 17), l'insistenza su volti sospesi in contemplazione (Figura d'aprile: Roma, collezione privata, ripr. in La scuola romana nel Novecento, p. 64) sembrano suggerire una fascinazione omosessuale dell'artista per i suoi modelli. G. Ungaretti parlò di "impeto sorvegliato da grazia" e di "pittura sempre castissima, e velata dal sogno"; C.E. Oppo, di "pena estenuante e aristocratica di dolcezza" (J., p. 95).
L'attrattiva della bellezza virile già permeava le Opere di misericordia che all'Esposizione padovana rischiarono di essere escluse per la presenza di nudi; ma l'opera di svolta fu Endimione (Roma, collezione privata, ripr. in J., tav. 8), in cui il personaggio mitico trova le fattezze popolari di un giovane contadino addormentato, "il primo inno al Corpo" (J., p. 12), che lo J. espose in diverse occasioni, compresa un'antologia della Quadriennale negli Stati Uniti tra 1931 e 1932 e la I Mostra del Sindacato nazionale di belle arti a Firenze nel 1933.
Al passaggio tra il terzo e il quarto decennio lo J. fu un protagonista della vita artistica romana. Prese parte alle Sindacali del Lazio del 1929 (dove fu segnalato da R. Longhi), del 1930, del 1932, del 1936 e del 1937. Partecipò alla I Mostra nazionale dell'animale nell'arte (Roma, Giardino zoologico, 1930) e, nel 1935, alla mostra di disegni del Sindacato laziale di belle arti presso il Circolo delle arti e delle lettere in via Margutta. Nel 1936 prese parte alla Biennale di Venezia con tre quadri, di ubicazione ignota (Vetri, La palestra, Vaso azzurro); nel 1935 e 1936 ebbe due importanti personali alla galleria della Cometa, punto di riferimento della pittura romana più moderna, la prima delle quali introdotta da un testo di G. Ungaretti.
Alla fine del 1937, dopo avere visitato con Ziveri l'Esposizione internazionale di Parigi, lo J. abbandonò definitivamente e senza spiegazioni la pittura.
Varie interpretazioni sono state avanzate per questo gesto: il carattere schivo, il senso di dignità, il rifiuto a iscriversi al partito fascista per opportunismo, il rigore verso se stesso e l'insicurezza nei propri mezzi. Indubbiamente lo J., uomo inquieto, introverso, "sembrava non […] raggiungere un'armonia in se stesso tanto era profondamente tormentato da idee fisse" (Ziveri, in Lucchese, 1972, p. 23).
Dopo l'abbandono della scena artistica, lo J. si dedicò allo studio sistematico di Belli, fino a fare della figura del bisnonno un suo alter ego esistenziale. Riordinò l'epistolario in possesso della famiglia e lo arricchì con scrupolose ricerche nel fondo belliano della Biblioteca nazionale di Roma e presso la collezione di romanistica Ferrajoli della Biblioteca apostolica Vaticana. Le accuratissime indagini confluirono nella monumentale biografia Belli e la sua epoca, che ricostruisce la vita, le relazioni personali del poeta e il contesto socioculturale e politico della Roma dell'Ottocento attraverso l'epistolario, organizzato per categorie di corrispondenti. Alla sua morte lo J. stava lavorando alla terza stesura della biografia, che aveva raggiunto la dimensione di dieci volumi dattiloscritti; un opus interminabile che nevroticamente egli non considerò mai compiuto per la stampa e che fu pubblicato postumo (3 voll., a cura di R. Lucchese, Milano 1967).
L'interesse letterario pressoché esclusivo e l'avvitamento nel culto per l'avo accompagnarono il misantropico isolamento dello J., spezzato dalla frequentazione di pochi amici, tra cui M. Tancredi, R. Lucchese e Ziveri. Scrisse, inoltre, alcune novelle (Saggi minimi), quattro volumi dattiloscritti di pensieri (Note), e un volume di Poesie, inediti, che lasciò per testamento, insieme con la sua raccolta di libri rari, alla Biblioteca apostolica Vaticana.
Lo J. morì a Roma il 23 genn. 1958.
Fonti e Bibl.: C.E. Oppo, Pitture di J. alla Cometa, in La Tribuna, 19 maggio 1935; L. De Libero, Il pronipote di G.G. Belli, in Paese sera, 21 febbr. 1958; R. Lucchese, Prefazione, in G. Janni, Belli e la sua epoca, I, Milano 1967, pp. IX-XXII; Id., G. J., Roma 1972 (con scritti di G. Ungaretti, L. De Libero, A. Ziveri); J. (catal.), a cura di M. Fagiolo dell'Arco, Roma 1986 (con bibliografia e antologia della critica); M. Fagiolo dell'Arco, Scuola romana: pittura e scultura a Roma dal 1919 al 1943, Roma 1986, pp. 45, 54 s.; L. Jannattoni, J., una pittura troncata per amore del Belli, in Paese sera, 9 ott. 1986; Roma 1934 (catal.), a cura di G. Appella - F. D'Amico, Modena 1986, pp. 193 s.; G. Di Genova, Storia dell'arte italiana del '900. Generazione maestri storici, II, Bologna 1994, p. 741; III, ibid. 1995, pp. 1314-1319; La Scuola romana nel Novecento. Una collezione privata. Collezione Claudio e Elena Cerasi (catal., Roma), a cura di V. Rivosecchi, Milano 2002, pp. 62-71, 151; La pittura in Italia, Il Novecento, I, 1900-1945, p. 924.