MANZI, Guglielmo
Nacque a Civitavecchia il 25 ag. 1784 da Camillo e da Paola Antonia Bianchi.
La famiglia, originaria del Regno di Napoli, si era trasferita nella cittadina laziale alla fine del Seicento. Il padre Camillo, commerciante e banchiere, console di Spagna e Toscana, era assentista della flotta pontificia: questa sua attività portò la famiglia al crollo finanziario, che la crisi economica legata all'occupazione francese dello Stato rese ancor più rovinoso. Ciò non impedì ai genitori del M. di ospitare nel loro palazzo al centro della città personaggi di spicco come il generale L. Desaix in partenza per la spedizione napoleonica in Egitto.
Il M. iniziò gli studi nel seminario di Montefiascone e li completò a Roma presso il Collegio nuovo dei padri scolopi. L'intenzione di dedicarsi esclusivamente agli studi si scontrò con la ferma volontà del padre, che invece lo avviò al commercio. Per conoscere usi e costumi delle nazioni con le quali la famiglia era in rapporti d'affari, il M. viaggiò per l'Italia e per l'Europa, e dimorò a Livorno, Marsiglia e Barcellona. Tali viaggi gli consentirono di apprendere il francese e lo spagnolo e stimolarono in lui la passione per lo studio della storia e della geografia.
Tornato a Civitavecchia, ottenne l'incarico retribuito di viceconsole della Spagna, ma ciò non lo distolse dal suo proposito di dedicarsi totalmente agli studi letterari. Finalmente nel 1809 il M. si risolse a trasferirsi a Roma, dove ebbe la possibilità di approfondire gli studi di greco e latino. Iniziò allora a frequentare la Biblioteca apostolica Vaticana, dove rinvenne codici e scritti inediti di notevole interesse. Oltre che allo studio delle lingue classiche, la sua attenzione andò ai primi capolavori della lingua italiana, ed elesse a suoi modelli Dante per la poesia e G. Boccaccio per la prosa.
Nell'elogio funebre del M., G.G. De Rossi racconta che nell'ultimo periodo della dominazione francese il M. si era dedicato a un'opera, condotta sotto forma di dialoghi sul modello di P. Aretino, in cui denunciava il malgoverno delle autorità di occupazione: tuttavia, preoccupato da possibili repressioni e persecuzioni, aveva distrutto il manoscritto.
L'attività di filologo del M. ebbe inizio con la pubblicazione (Roma 1813) di una traduzione dell'Ecuba di Euripide dovuta a M. Bandello, scrittore da lui molto ammirato, integrata con una biografia del letterato e un'accurata descrizione del codice su cui aveva lavorato. Nel 1814 tradusse la Istoria romana di Cajo Vellejo Patercolo (ibid.), con aggiunta nella prefazione di un'analisi delle precedenti versioni.
Del lavoro del M. la critica apprezzò l'eleganza e la fedeltà all'originale, sebbene non mancasse qualche rilievo sulla pesantezza della lingua, troppo ispirata agli amati trecentisti.
Nel 1814 il M. recuperò fra gli scaffali della Biblioteca Vaticana e pubblicò il Del reggimento e de' costumi delle donne di Francesco da Barberino (ibid. 1815), di cui arricchì l'edizione con note sulla storia e i costumi femminili del Trecento, secolo al quale sarebbe tornato con il Discorso… sopra gli spettacoli, le feste e il lusso degl'Italiani nel secolo XIV (ibid. 1818).
Con la caduta di Napoleone e il ritorno di Pio VII a Roma (1814), il M. intensificò i suoi studi presso la Biblioteca Vaticana: sua aspirazione era quella di esservi assunto; dovette invece limitarsi a progettare edizioni di testi di lingua inediti e raccolte di opere disperse fra i diversi codici. Nel 1815 uscirono le Orazioni di Stefano Porcari, il ribelle repubblicano del XV secolo che aveva inseguito il sogno di rovesciare il potere papale.
Il M. tradusse dal latino la biografia di Porcari scritta da L.B. Alberti e fornì qualche notizia sulla famiglia; anche su questa sua fatica si appuntarono le critiche, stavolta con una recensione non firmata apparsa nell'XI numero della Biblioteca italiana in cui gli si attribuiva scarsa perizia nella lettura dei codici. Piccato, il M. rispose con un opuscolo di 23 pagine (Risposta di Guglielmo Manzi al primo articolo del numero undecimo della Biblioteca italiana di Milano, Malta 1816), che si apriva con alcuni versi danteschi sul "Cerbero […] con tre gole" (Inferno, canto VI). Un appunto a mano nella copia conservata alla Vaticana rivela che destinatari dei suoi versi erano G. Acerbi, direttore della rivista, e i collaboratori V. Monti, S. Breislak e P. Giordani, quest'ultimo ritenuto autore dell'articolo. Prese di qui le mosse una lunga e dura polemica fra i due letterati.
Sempre nel 1815 il M. trascrisse un altro inedito, gli Amori di Andrea Cappellano, ma la copia inviata a Firenze per la stampa andò perduta.
Altre ricerche gli permisero di reperire tra i codici della Vaticana appartenuti alla famiglia Della Rovere un Trattato della pittura di Lionardo da Vinci, più ricco di quelli conosciuti ed editi, il primo dei quali era apparso in Francia. Lo pubblicò a Roma nel 1817, insieme con una biografia di Leonardo, e De Rossi vi affiancò alcune note sull'opera. Il successivo lavoro del M. fu l'edizione del codice della Biblioteca Barberiniana 932 (poi Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 4047), Viaggio di Lionardo di Niccolò Frescobaldi fiorentino in Egitto ed in Terra Santa (Roma 1818), in cui incluse una dissertazione sul commercio degli italiani nel XIV secolo.
L'una e l'altra opera furono duramente attaccate nel fascicolo XXXI della Biblioteca italiana, con un articolo nuovamente attribuito a P. Giordani, al fianco del quale si schierò anche G. Leopardi, che scrisse nel 1817 cinque sonetti intitolati Sor Pecora fiorentino beccaio in cui si alludeva all'autore indicandolo come "il manzo"; i sonetti furono però pubblicati solo nel 1826, inseriti nel volumetto dei Versi. Anche stavolta il M. replicò con una Risposta al primo articolo del n. XXXI della così detta Biblioteca italiana (Firenze 1818).
Ciò malgrado, il M. ottenne la direzione della Biblioteca Barberini, ricca di codici e libri rarissimi e non ancora inventariata. Suo primo impegno fu la formazione di un catalogo dei codici. Il lavoro, solo abbozzato, si prefiggeva anche di esaminare i diversi codici e di confrontarli con altri simili conservati in altre biblioteche. Dalla Barberiniana estrasse Della compunzione del cuore: trattati due di s. Giovanni Grisostomo volgarizzati nel buon secolo della lingua toscana, che tradusse e arricchì di una dotta prefazione (Roma 1817).
In quegli anni il M. lavorò anche alla traduzione integrale delle opere di Luciano, di cui inizialmente pubblicò Il convito o I Lapiti (Roma 1815) e l'Encomio di Demostene (ibid. 1818). Un viaggio in Italia settentrionale compiuto nell'autunno del 1818 gli consentì, grazie all'incontro con numerosi letterati, di definire meglio i criteri di edizione di quella sua iniziativa destinata ad apparire a più riprese nel corso dell'Ottocento: con un'edizione di Losanna [recte Venezia] 1819, una di Capolago 1832-35 in sei volumi e, infine, una di Napoli nel 1884.
Di nuovo a Roma, riprese l'edizione seicentesca di alcuni scrittori greci di geografia avviata da L. Olstenio (L. Holste), suo predecessore alla Biblioteca Barberini. Insoddisfatto dalla qualità del lavoro della tipografia De Romanis che fino allora aveva stampato i suoi testi, decise di utilizzare solo tipografie del Nord. Curò e pubblicò una nuova traduzione di quattro epistole di Cicerone, fra cui Della vecchiezza, estratta da un codice inedito. Nella prefazione attaccò duramente coloro che in quegli anni dileggiavano chi si dedicava allo studio delle lingue classiche.
Nel 1819 visitò la Francia e passò l'autunno a Parigi, interessandosi alle leggi e ai costumi del Paese. Nell'estate del 1820 fu incaricato di compilare il catalogo della Biblioteca Colonna, che la famiglia intendeva vendere. Secondo De Rossi, i luoghi malsani dove era conservata la collezione Colonna influirono pesantemente sul suo stato di salute, già cagionevole. Nell'agosto del 1820 fece un viaggio in Inghilterra; si recò dapprima a Oxford, dove non trovò i letterati che si era prefisso di incontrare, quindi a Londra, dove soggiornò nove giorni. Il clima londinese mal si conciliava con le sue condizioni fisiche. Fece così ritorno a Roma in novembre dopo un faticoso attraversamento della Francia e in uno stato di salute definitivamente compromesso.
Il M. morì a Roma il 21 febbr. 1821.
Il fratello Pietro nacque a Civitavecchia il 3 nov. 1785 e seguì lo stesso corso di studi del M. a Montefiascone e a Roma. Anche lui fu indirizzato dal padre al commercio, con numerosi viaggi d'istruzione all'estero. Visitò la Francia e l'Olanda e si spinse fino in Grecia e Turchia. In un viaggio per mare fu catturato dai pirati barbareschi di Tunisi, e la famiglia dovette pagare un riscatto consistente in 50.000 carrette di pozzolana. Laureatosi in giurisprudenza, nel 1811, dopo un viaggio a Parigi, fu eletto uditore consigliere della corte d'appello dell'Impero. Pio VII, tornato sul trono, lo confermò uditore del Tribunale supremo. Nel 1819 sposò Angela Cocconari Fornari, di Tivoli, da cui ebbe otto figli. Tornata la normalità nello Stato della Chiesa, si dimise per dedicarsi agli studi.
La prima opera da lui pubblicata fu Il conquisto di Messico (Roma 1817), che narra la storia della scoperta e della conquista del Paese da parte dei conquistadores spagnoli. La critica non accolse favorevolmente il lavoro giudicandolo indigesto per il massiccio utilizzo di espressioni arcaiche e logore, retaggio della lettura degli scrittori del Trecento, e per la limitata esposizione. All'attacco che, come già era avvenuto con il fratello, gli fu mosso dalla Biblioteca italiana, Pietro replicò con durezza (Risposta di Pietro Manzi all'articolo terzo del numero XVIII della Biblioteca italiana di Milano, Roma 1817). Non diversa sorte ebbe la versione dal greco della Istoria dell'imperio dopo Marco (Roma 1821; poi Milano 1823) di Erodiano. In quest'occasione Pietro fu difeso da un concittadino, B. Blasi, con un articolo nel numero XXIII delle Effemeridi letterarie. Oltre a numerose traduzioni di Dionigi d'Alicarnasso, Erodiano, Tucidide e Senofonte, pubblicate nella collezione degli storici greci della milanese Sonzogno, nel 1826 Pietro diede alle stampe a Firenze il primo volume della Istoria della Rivoluzione di Francia dalla convocazione degli stati fino allo stabilimento della monarchia costituzionale, per cui fu insignito da Carlo X di Borbone con la Legion d'onore.
Appassionato di archeologia, commissario alle Belle Arti, effettuò numerosi scavi a Tarquinia, cui assistette Stendhal, in quegli anni console francese a Civitavecchia e suo amico. Tra le varie relazioni da lui scritte in proposito vanno ricordate la Lettera a lord Northampton sopra una tomba etrusca scoperta in Corneto l'anno 1831 (Roma 1831) e la Lettera… a donna Teresa De Rossi Caetani… sopra le ultime scoperte fatte lungo il litorale dell'antica Etruria nello Stato pontificio (Prato 1836). Nel 1831 Gregorio XVI lo nominò presidente del Tribunale di commercio e criminale di Civitavecchia. Imprenditore di scarso successo, alla sua città Pietro dedicò l'opera Stato antico ed attuale del porto, città e provincia di Civitavecchia (ibid. 1837).
Pietro morì a Civitavecchia il 4 luglio 1839.
Fonti e Bibl.: G.G. De Rossi, Elogio di G. M., letto nell'Accademia archeologica il dì 29 marzo 1821, Venezia 1822; F. Zambrini, Cenni biografici intorno ai letterati illustri italiani, Faenza 1837, pp. 133 s.; A. Cuccioli, G. M., in Civitavecchia "Vedetta imperiale sul mare latino", Roma 1932, p. 122; V. Vitalini Sacconi, Gente, personaggi e tradizioni a Civitavecchia dal Seicento all'Ottocento, Roma 1982, I, p. 69; II, pp. 305 s.; O. Toti - E. Ciancarini, Storia di Civitavecchia, IV, Da Pio VII alla fine del governo pontificio, Ronciglione 2000, pp. 54 s., 58, 63, 69-74, 79, 82. Su Pietro: B. Blasi, Elogio del ch. avvocato Pietro Manzi da Civitavecchia cavaliere della Legione d'onore…, Civitavecchia 1839; V.L. Matteucci, Biografia del giureconsulto e letterato Pietro Manzi cavaliere della Legion d'onore, Roma 1846; Je deviens antiquaire en diable!: Io Stendhal, console a Civitavecchia e "cavatesori" 1831-1842 (catal.), a cura di S. Nardi, Tarquinia 1996, passim.