PAGELLO, Guglielmo
PAGELLO (Paiello), Guglielmo. – Nacque a Vicenza intorno al 1417 dal nobile Pagello de Pagelli, figlio di Giacomo.
La sua era una famiglia cospicua, con seggi ereditari nei consigli cittadini e parentele con le più potenti casate di Vicenza.
Non si sa nulla di preciso in merito alla formazione culturale attraverso la quale egli pose le basi della sua solida fama di forbito oratore e di poeta latino: certo non si può prescindere dal fiorente proto-umanesimo locale, ravvivato dalla vivace corte episcopale di Pietro Emiliani e dall’impronta lasciata all’élite cittadina da una personalità quale quella di Francesco Barbaro.
Intorno ai 26 anni, Pagello compare per la prima volta quale studente di legge nell’Università di Padova.
Da Famagosta il suo concittadino Benedetto Ovetari gli avrebbe ricordato in seguito con vibrante e affettuosa nostalgia quegli anni patavini, con le liete cerchie di amici, cui Pagello portava la vivacità dell’ingegno e una certamente gradita munificenza (Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, cod. lat. XI, 100 [= 3938], Benedetto Ovetari, Giugno, 1452).
L’ambiente patavino era allora frequentato da veneziani, patrizi e non, che, attraverso gli studi di diritto, si preparavano alle massime magistrature e soprattutto alla carriera ecclesiastica. Di alcuni di loro si sa che strinsero duraturi rapporti d’amicizia con Pagello: Urbano Vignati, futuro vescovo di Sebenico; Maffeo Vallaresso, poi arcivescovo di Zara; Ludovico Donato, umanista, vescovo di Bergamo; Francesco Diedo, giurista, rettore dell’Università, oratore, capitano a Vicenza e a Bergamo; Pietro Morosini, podestà di Vicenza, oratore a Roma; Marc’Antonio Morosini, umanista bibliofilo.
Nel 1450 la divisione dei beni con il fratello Giacomo preludeva forse al matrimonio di Guglielmo con Valentina del ramo vicentino degli Anguissola. Egli era a Padova quando, nel 1452, l’imperatore Federico III, nel suo viaggio verso l’incoronazione romana, lo insignì del titolo di cavaliere: donde la citata lettera di felicitazione di Benedetto Ovetari. Questa onorificenza non fu disgiunta da un particolare e durevole favore che Pagello seppe guadagnarsi negli ambienti della comitiva imperiale.
Nel 1464 l’avvento di papa Paolo II – il veneziano Pietro Barbo, già vescovo di Vicenza – comportò il trasferimento di Pagello alla corte romana, insieme ad altri vicentini, e la sua nomina a secretarius apostolico. La sua attività nei primi tempi del pontificato è ben documentata, ma ben presto lo ritroviamo a Vicenza, o che la sua carica fosse sostanzialmente onorifica, o ch’egli fosse stato coinvolto nell’epurazione allora attuata nei confronti della burocrazia apostolica: in ogni caso seppure egli li avesse mai perduti, riacquistò presto i favori papali. Nell’occasione della seconda venuta dell’imperatore, alla fine del 1468, dovendosi trovare chi, pratico della corte imperiale, avesse capacità organizzative e diplomatiche per assicurare la felice riuscita del viaggio, fu scelto Guglielmo. Tutto si svolse felicemente e, stando a Pagello, egli ebbe infine l’onore di accogliere per primo a S. Pietro, la notte di Natale, l’imperatore. In ogni caso Pagello che ormai si fregiava del titolo di «segretarius et orator» del papa nonché di conte palatino, ebbe non molto dopo l’incarico di podestà a Bologna (1471): carica delicata, da lui espletata con successo riconosciutogli dal cardinale legato Francesco Gonzaga (alla cui dinastia Pagello appare legato da rapporti clientelari, forse attraverso Ognibene Leoniceno; infatti sono assodati suoi cospicui interessi economici nel Mantovano e una certa sua confidenza con Giovanfrancesco, fratello di Federico Gonzaga). La morte di Paolo II (1471) troncò le aspirazioni romane, quali che fossero, di Guglielmo Pagello, che da allora si ritirò a Vicenza.
I due figli, Girolamo e Margherita, nati dal matrimonio con Valentina Anguissola, gli erano entrambi premorti. Del primo si serba il compianto di Maturanzio, allora adolescente suo compagno di studi alla scuola di Ognibene; la seconda andò sposa ad Antonio Thiene, cresciuto tra le armi e i duelli.
Pagello ebbe carissimo quello che definisce come nipote e figlio – anche se in realtà era un cugino in terzo grado, molto più giovane di lui – Bartolomeo Pagello, ben noto poeta ed epistolografo latino (per la ricostruzione della vita e della personalità di Guglielmo, le Familiares di Bartolomeo rappresentano una fonte privilegiata).
A sua volta, Guglielmo costituiva per Bartolomeo un modello, la gloria della famiglia e l’ascoltato consigliere: così, cedendo alle esortazioni dello zio, Bartolomeo si volse dalla raffinata lirica amorosa alla celebrazione dei fasti pontifici, guadagnandosi il favore e un ricchissimo dono di Paolo II.
Da Vicenza, nei suoi anni più tardi, Pagello poté ancora sfoggiare le sue apprezzate doti oratorie in occasioni particolari, quali l’elezione del Doge Nicolò Tron (1471) e le solenni esequie del condottiero Bartolomeo Colleoni (1476); orazioni poi date entrambe alle stampe (Congratulatio pro patria ad Nicolaum Tron [Venetiis, Nicolaus Jenson, 1471-72], Hain 12269; IGI, n.7140; Oratio in funere Bartholomei Colei exercitus venetorum imperatoris, Vincentiae [Joannes de Reno , 1466-67], Hain 12265; IGI n. 7143).
La prima è un prolisso e mitizzante panegirico di Venezia e della famiglia dogale. La seconda è invece nervosa e drammatica, pronunciata si direbbe all’impronta: in presenza di amici, quali il vescovo della città e il capitano veneziano, a gara con l’altro oratore ufficiale, l’umanista bergamasco Giovanni Michele Alberto Carrara.
La prima orazione contiene una diversio personale di grande interesse: Pagello confida di lavorare a una storia di Venezia «per septem continuos annos lucubratam e per omnes Italiae bibliothecas perquisitam», giunta allora al decimo libro, dalle origini, alla guerra di Chioggia; (a questo proposito un codice, oggi a Copenhagen e già appartenuto ai Bembo, copia di antichi documenti tratti dalla cancelleria genovese, da lui fatti trascrivere nel 1475, informa che Pagello in quella data teneva dunque ancora sul telaio l’opera progettata). Si trattava della prima storia sistematica di Venezia (se si esclude il breve compendio di Biondo) concepita da uno scrittore di terraferma, svincolatosi dall’angustia cronachistica locale. Alla sua concezione non fu forse estraneo il ricordo e l’incitamento del vescovo di Vicenza, il già citato veneziano Pietro Emiliani, morto nel 1433 che, appassionato di storia, soleva appunto esortare i giovani allo studio del passato, non solo classico.
Vedovo e senza figli, nel 1477, sentendosi prossimo alla morte, decise di sposare la sua concubina, una certa Elisabetta da Trieste da cui aveva fino allora tentato invano, come egli stesso dichiarò, di avere un erede. Subito dopo, circondato da un presidio di medici, dettò il suo testamento e l’uno e l’altro documento hanno forma inconsueta, per la presenza nel primo di un inno religioso in versi latini, nell’altra di una accesa seconda preghiera in prosa, che il notaio Nicolò Ferreto raccolse dalle labbra di colui che definì «decus linguae latinae».
Pagello lasciò i propri libri all’amato Bartolomeo, ma riservò a fra’ Francesco da Palazzolo un codice contenente l’epistolario di Ambrogio Traversari.
Morì a Vicenza poco dopo il 29 ottobre 1477.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Archivio del Comune, Governo, CL IV, Podestà e Capitani del Popolo, b. 45; Copenhagen, Kongel. Bibliothek, Gl. KGL. S.2160; Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 1431, nn. 583 s.; Padova, Archivio della Curia vescovile, Diversorum 28, c. 126; 30, c. 73r; 32, cc. 40r; Perugia, Biblioteca Augusta, F, 73, c.174r-177v; Archivio di Stato di Roma, Camerale I, reg. 367, c. 5r; Archivio di Stato di Vicenza, Notaio Nicolò Ferreto, b. 4775, 28-29 ottobre 1477; Vicenza, Biblioteca Bertoliana, Archivio Torre, B.62, Libro Albo, c. 773r; G. Marzari, La historia di Vicenza, Vicenza 1604, p. 146; B. Pagliarini, Croniche di Vicenza (1663), Bologna 1971, pp. 177, 273; Angiolgabriello di Santa Maria, Biblioteca e storia degli scrittori così della Città come del territorio di Vicenza, II, Vicenza 1772, pp. 82-102, 237 s.; G. Marini, Degli archiatri pontifici, II, Roma 1784, p. 171; R. Sabbadini, Nuove notizie e nuovi documenti su Ognibene de Bonisoli Leoniceno, in Antologia veneta, I (1900), pp.11-26, 174-189; Nomina di Maria da Porto Thiene a tutrice de’ suoi figli Battista, Alessandro e Gaetano, 17 ottobre 1482, a cura di F. Lampertico, Vicenza 1903; E. Jørgensen, Catalogus codicum latinorum medii aevii Bibliothecae regiae hafniensis, Copenhagen 1926, pp. 384 s.; M. Guiotto, Storia dell’Università di Padova nel secolo XV. Notizie tratte dall’archivio notarile di Padova, tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, a.a. 1961-62, I, 269; II, nn. 1964; 2157, 2251, 2252; G. Mantese, Memorie storiche della chiesavicentina, III, 2, Dal 1404 al 1563, Vicenza 1964, ad ind.; B. Marx, Handschriften paduaner Universitätsdozenten und Studenten aus San Bartolomeo di Vicenza, in Quaderni per la storia dell’Università di Padova, IX-X (1976-77), pp. 129-31, 133 n.,155, 158 n.; Id., Bartolomeo Pagello: Epistolae familiares (1464-1625), Padova 1978, pp. 51-78, ma passim; Acta graduum accademicorum gymnasi patavini, a cura di G. Brotto - G. Zonta, rist. a cura di E. Martellozzo Forin, Padova 2001, ad ind.; A. Pertusi, La storiografia veneziana fino al secolo XVI. Aspetti e problemi, Firenze, 1970, p. 300; M.L. King, Venetian humanism in an age of patrician dominance, Princeton 1986, ad ind.; Ch. Leitner - M. De Ruitz, Contributo alla biografia di Ognibene Bonissoli da Lonigo, in Archivio Veneto, s. 5, CLXIX (1985), pp. 121-134.