PEIRCE, Guglielmo
PEIRCE, Guglielmo. – Nacque a Portici il 20 aprile 1909 da Carlo e Giulia Bernard. Il padre discendeva da una famiglia inglese giunta in Italia nella prima metà dell’Ottocento e attiva nel campo della navigazione, prima a Messina, poi a Napoli. Insieme alla madre e alla sorella maggiore, Anna Maria, trascorse l’infanzia e la prima giovinezza nella casa napoletana della famiglia materna, di origine francese e impegnata nel settore dell’abbigliamento maschile.
Spinto dalla passione per la pittura e il disegno, abbandonati gli studi tecnici, Peirce si iscrisse, nel 1923, alla scuola di pittura del Real Istituto d’arte di Napoli (Napoli, Archivio storico dell’Accademia di belle arti, fasc. personali ex-alunni, b. 7122). Dopo soli due anni decise, tuttavia, di lasciare il corso a causa del «volgare manierismo che vi regnava», uscendone «animato da idee rivoluzionarie e sovvertitrici» (Capri: 1905-1940, 1993, p. 165).
Dalla seconda metà degli anni Venti fu per lui fondamentale la frequentazione dell’avvocato e pittore comunista Antonio De Ambrosio, la cui casa – insieme alla Libreria del Novecento di Ugo Arcuno e Salvatore Mastellone, a quella Detken & Rocholl di Bernardo Johannowsky e più tardi allo studio di Paolo Ricci a villa Lucia – divenne luogo di incontro e di formazione per Peirce e per la gran parte dei giovani napoletani impegnati culturalmente e politicamente contro il fascismo. Fu in quegli anni che strinse amicizia con Ricci e Arcuno e frequentò con assiduità Carlo Bernard (Bernari), suo cugino da parte materna.
Con costoro, come ricordò nei suoi romanzi autobiografici, ebbe modo di dibattere sulle correnti artistiche europee d’avanguardia, principalmente su cubismo, surrealismo, nuova oggettività e costruttivismo, elevando a capitali morali Parigi, Berlino e Mosca e leggendo testi di Sigmund Freud, Karl Marx e fortuite copie de Lo Stato operaio e de l’Unità.
Nel 1928, ormai noto il suo impegno politico, fu segnalato come comunista; qualche tempo più tardi, nel 1936, fu iscritto nel novero dei sovversivi del Casellario politico centrale.
Il 1928 fu per Peirce un anno importante in campo artistico. Mentre lavorava attivamente come disegnatore, in particolare per il mensile Retroscena, del quale divenne il principale illustratore, iniziò a esporre i suoi dipinti in mostre locali e non locali. A maggio prese parte alla I Mostra primaverile d’arte di Napoli con un’opera ricordata da Ricci come «un ritratto della madre di straordinario vigore plastico» (Ricci, 1981, p. 165). Nello stesso maggio 1928 diede vita al movimento circumvisionista, il cui nome fu ideato da Carlo Cocchia per indicare che il gruppo avrebbe dipinto il mondo nella sua integrità. Il manifesto, lanciato da Capri e firmato con De Ambrosio e Cocchia, fu prima stampato in opuscolo e poi riproposto sulla rivista Forche Caudine (II, 15 gennaio 1929, n. 2, p. 5). Peirce e i suoi compagni – debitori del cubismo, ma lontani da qualsivoglia avanguardia e non «disposti a confondersi con i futuristi dell’epoca, né a compromettersi politicamente al loro fianco» (Capri: 1905-1940, 1993, p. 165) – ricevettero il tempestivo patrocinio di Filippo Tommaso Marinetti. Del resto, come si commentò su giornali e riviste, tra cui Emporium, Clakson, Vesuvio e Retroscena, il movimento ribadiva temi propri soprattutto dell’estetica futurista. La prima mostra del gruppo, tenutasi nell’agosto 1928 a Capri presso l’hotel Quisisana, si aprì con una conferenza di Marinetti.
Per un biennio Peirce organizzò, prendendovi parte, tutte le mostre dove si propose il movimento. Sempre presentato da Marinetti, espose a Napoli presso la Compagnia degli Illusi (novembre 1928), a Roma al teatro degli Indipendenti diretto da Anton Giulio Bragaglia (gennaio 1929), a Milano nel salone del Giornale dell’arte (aprile 1929). Ancora a Napoli, in occasione della I Sindacale campana, fu presente con il gruppo in una sala a questo dedicata (giugno-luglio 1929).
Le poche opere realizzate in quegli anni non andate distrutte o disperse – si vedano, ad esempio, Le amiche (1928, dispersa; pubblicata in D’Ambrosio 1996a, pp. 250, 447, testo al quale si rimanda, ove non diversamente indicato, per le riproduzioni delle opere citate), Macchina da scrivere (1929, dispersa) e le illustrazioni per Retroscena e Vesuvio (1928-1929) – sono permeate della nuova sensibilità meccanica d’ascendenza futurista, richiamano il purismo europeo postcubista e mostrano l’interesse di Peirce per la scienza, per la psicanalisi e per la condizione dell’uomo nell’età moderna, ben definendo quella che può considerarsi una «linea postcubista e meccanomorfa all’interno del circumvisionismo» (D’Ambrosio, 1996b, p. 303).
In particolare, mentre le illustrazioni ricordano coevi lavori di Fillia (Luigi Colombo), il citato Le amiche – dipinto che lo condusse al centro di uno scandalo e che fu sequestrato perché giudicato troppo licenzioso – rimanda a Fernand Léger.
In una recensione della citata mostra tenutasi presso il teatro diretto da Bragaglia, Gerardo Dottori aveva rilevato che Peirce era «tra i pittori il più ardito a dipingere con spavalda sicurezza delle sinfonie d’acciaio e d’alluminio» (A e Z, 18 gennaio 1929, ora in D’Ambrosio, 1996a, pp. 377 s.).
Nell’estate del 1929, opponendosi all’ottimismo futurista, rivendicando all’arte un ruolo sociale e dichiarando una concezione materialistica della vita, Peirce firmò il manifesto di fondazione dell’UDA (Unione Distruttivisti Attivisti) con Ricci e Bernari (luglio-settembre 1929). Nel manifesto, che si apriva con la dichiarazione che la rivoluzione permanente in arte è l’unica condizione dell’opera d’arte, si auspicava il superamento del pensiero estetico di Benedetto Croce e si guardava alla psicanalisi, al surrealismo, alla nuova oggettività, e al costruttivismo come possibile sviluppo per un realismo critico.
Premesse teoriche al manifesto dell’UDA si ritrovano nelle pagine de L’Impero, dove Peirce pubblicò gli articoli L’antipittura. Manifesto futurista circumvisionista (30 gennaio 1929) e Circumvisionismo come arte fascista (24 febbraio 1929), nei quali aveva rivendicato l’autonomia dei circumvisionisti dall’arte promossa dal regime e sostenuto la necessità di una nuova arte fondata sull’attività logica. Come ricordò Bernari – la cui partecipazione all’UDA è stata letta come radice del suo realismo (Capozzi, 1984; Bernardini, in C. Bernari, Tre operai, Milano 2005, p. XXX; R. Capozzi, Il realismo spettrale nelle prime opere di Carlo Bernari, in Rivista di studi italiani, XXVI, 2 (2008), pp. 50-74) –, mentre si progettava il manifesto «Paolo scriveva una storia dell’architettura», «Guglielmo un’estetica tra Aristotele e Marx», ed egli «una storia della classe operaia» ( C. Bernari, Bettina ritrovata, in Id., Per cause imprecisate, Milano 1965, p. 262). Ancora, nella Nota 1965, che faceva da postfazione alla ristampa di Tre operai, Bernari precisò che l’UDA voleva condurre a una «piccola rivoluzione, adottando in termini marxistici l’hegeliano de profundis». In sostituzione della vecchia arte «declinante» ci si rivolgeva alla tecnologia e alle scienze, «uniche attività dello spirito capaci di restituire un’immagine probante del reale». Solo in tal modo si sarebbe superata per loro «la discordia fra cultura umanistico-letteraria e cultura tecnico-scientifica, a tutto vantaggio della seconda che […] apriva il cuore a un’ingenua speranza marxistica» (Milano 1965, p. 272).
Intanto, l’attività espositiva di Peirce rimaneva assidua e riconosciuta: nel 1930 fu invitato alla mostra del centenario della Società amatori e cultori di belle arti di Roma e alla Biennale di Venezia; l’anno successivo fu alla prima Quadriennale di Roma con una Composizione futurista (1930 circa, dispersa), che alla critica parve sconfinare nel metafisico.
Prima ancora che si chiudesse la Quadriennale si trasferì a Parigi con Ricci; lì ritrovò anche Bernari. Nella capitale francese frequentò Francesco Flora, Severino Pozzati, Gino Severini, Massimo Campigli ed entrò in contatto con il gruppo dei surrealisti e con molti intellettuali e artisti sino a Picasso, come ricordò più volte e in particolare nel romanzo Pietà per i nostri carnefici (1951, pp. 36-120).
Tornato a Napoli nel 1932 gli fu sempre più difficile prendere parte al sistema delle arti messo in atto dal fascismo. Nel 1934 vi fu la sua ultima partecipazione a una mostra di regime: la V Sindacale campana, dove presentò il dipinto Galà dell’89 (1934, disperso), lontano dalle sue tipiche forme meccanomorfe. Iniziò a scrivere più assiduamente, ma rare divennero le collaborazioni con riviste e giornali, come la Ruota di Napoli, il Resto del Carlino e Il Saggiatore.
Nel 1935 Peirce decise di trasferirsi a Roma, dove ebbe inizio la sua profonda amicizia con Alfonso Gatto. Sempre controllato e vigilato, partì per Milano; fu accolto nella casa dello stesso Gatto e collaborò a Casabella.
In rapporti epistolari con Ruggero Grieco, ormai ritenuto pericoloso, fu arrestato nell’ottobre del 1936 mentre progettava di raggiungere la Francia. Durante le perquisizioni nella pensione romana e nella casa di Gatto, anch’egli arrestato, si ritrovarono scritti di Lenin e Trotsky. Peirce fu assegnato al confino per cinque anni e destinato a Ventotene; fu liberato nell’agosto 1937, verosimilmente grazie a un intervento di Marinetti (Agnese, 1990). I controlli sulla sua persona durarono fino alla caduta del fascismo.
Nel primo dopoguerra, ormai definitivamente a Roma, iniziò a scrivere con assiduità dedicandosi sempre meno alla pittura. Tra i rari dipinti di quegli anni si ricorda una Natura morta con uva ed oggetti, nella quale mostrò un certo interesse per un espressionismo d’ascendenza metafisica (1947, coll. priv.; Picone Petrusa, 2005, p. 212). Come giornalista collaborò a L’Ambrosiano, a Documento, all’Avanti!, a Il lavoro e scrisse, fino al 1948, su l’Unità di Roma, di cui diresse la terza pagina. Nel 1946 prese parte alla cellula del Partito comunista italiano (PCI) di via Margutta e frequentò i giovani artisti del Gruppo arte sociale, riuniti intorno alla rivista La Fabbrica. Nel 1949 uscì dal PCI, non condividendone il lavoro dei funzionari e la politica culturale.
Divenuto un noto articolista anticomunista, scrisse di politica, di cultura e soprattutto di teatro; in particolare collaborò con La Nazione, Stampa sera e Il Globo; fu pure redattore de Il Tempo e de Il Borghese di Leo Longanesi. Proprio per la Longanesi & C. uscì nel 1951 il suo primo romanzo autobiografico Pietà per i nostri carnefici, vincitore ex aequo della prima edizione del premio Marzotto (Mondrone, 1966, p. 450); in esso affermò la delusione per aver accettato di occuparsi della «compilazione» di Un popolo alla macchia di Luigi Longo (Milano 1947), senza ricevere alcun riconoscimento formale (pp. 257-261; Agnese, 1990, p. 246; Ajello, 1997, pp. 55 s.). Seguirono altri libri, sempre autobiografici: nel 1953 uscì per Atlante Condannati a morte, nel quale ripercorse il suo rapporto difficile con il PCI; nel 1955, ancora per Longanesi & C., pubblicò Libertà provvisoria, in cui dichiarò la sua fede nel liberalismo. Nel 1965 l’amico Antonio Pepe curò il romanzo Nostalgia di Napoli, stampato postumo per le Edizioni del Borghese con la prefazione di Giuseppe Marotta, che lo ritenne «vicino» al suo L’oro di Napoli.
Malato di cuore, Peirce morì a Roma il 24 novembre 1958.
Fonti e Bibl.: Per gli scritti di e su Peirce si rimanda al volume di M. D’Ambrosio, I Circumvisionisti. Un’avanguardia napoletana, Napoli 1996a; contributi principali pubblicati prima e dopo tale testo sono: G. Artieri, Il suo cuore per la libertà, in Il tempo, 25 novembre 1958; D. Mondrone, Esperienze ed approdi di G. P., in La civiltà cattolica, 4 giugno 1966, pp. 448-457; Napoli ’25/’33 (catal.), a cura di L. Vergine, Napoli 1971; U. Piscopo, Questioni e aspetti del Futurismo, Napoli 1976; G. Artieri, Napoli punto e basta?, Milano 1980, pp. 302-306; Manifesti proclami, interventi e documenti teorici del futurismo, 1909-1944, a cura di U. Caruso, IV, Firenze 1980, pp. 396 s., 399; P. Ricci, Arte e artisti a Napoli, 1800-1943. Cronache e memorie, Napoli 1981, pp. 162-174; U. Piscopo, Futuristi a Napoli. Una mappa da riconoscere, Napoli 1983; R. Capozzi, Bernari tra fantasia e realtà, Napoli 1984, pp. 13-17; R. Spadafora, Il popolo al confino. La persecuzione fascista in Campania, Napoli 1989, pp. 376 s.; G. Agnese, Marinetti: una vita esplosiva, Milano 1990; M. D’Ambrosio, Emilio Buccafusca e il Futurismo a Napoli, Napoli 1991; S. Labanchi, G. P., in La pittura in Italia, a cura di C. Pirovano, Il Novecento/1 1900-1945, II, Milano 1991, p. 1011; Capri: 1905-1940. Frammenti postumi (catal.), a cura di L. Vergine, Capri 1993, pp. 162-169; Il futurismo a Napoli. Atti del convegno… 1990, a cura di M. D’Ambrosio, Napoli 1995; M. D’Ambrosio, Napoli e la Campania, in Futurismo e Meridione (catal.), a cura di E. Crispolti, Napoli 1996b, pp. 300-346; N. Ajello, Il lungo addio. Intellettuali e PCI dal 1958 al 1991, Roma 1997; M. D’Ambrosio, Futurismo e Circumvisionismo, in Arte a Napoli dal 1920 al 1945. Gli anni difficili (catal.), a cura di M. Picone Petrusa, Napoli 2000, pp. 47-51; M. Picone Petrusa, La pittura napoletana del ’900, Sorrento 2005, pp. 33 s., 212; D. Di Nardo, G. P., ibid., pp. 506 s.; M. D’Ambrosio, I circumvisionisti napoletani alla I Quadriennale, in I futuristi e le Quadriennali, Milano 2008, pp. 70 s.; Paolo Ricci (catal.), a cura di M. Franco - D. Ricci, Napoli 2008, pp. 5-7; 9cento. Napoli 1910-1980. Per un museo in progress, a cura di N. Spinosa - A. Tecce, Napoli 2010 (in partic. K. Fiorentino, G. P., p. 260; M. Picone Petrusa, L’arte a Napoli nella prima metà del Novecento, pp. 39 s.); F. De Rosa, Il sistema delle arti a Napoli durante il ventennio fascista. Stato e territorio, Napoli 2012, pp. 278-283 e passim.