Pepe, Guglielmo
Militare e patriota (Squillace, Catanzaro, 1783 - Torino 1855). Quattordicenne fu mandato a Napoli per frequentare la scuola militare. Influenzato dalle idee innovatrici provenienti dalla Francia, entrò nel 1799 nella milizia della Repubblica napoletana e combatté contro le bande sanfediste del cardinale Ruffo. Dopo la restaurazione dei Borbone fu costretto all’esilio in Francia e, arruolatosi nella legione italica come soldato semplice, partecipò alla vittoriosa campagna d’Italia di Napoleone. Combatté a Marengo (14 giugno 1800), poi in Toscana, e quindi si recò a Napoli per organizzare una congiura contro i Borbone. Arrestato nel 1803, rimase in carcere tre anni, fino a quando, impadronitisi i francesi del Regno di Napoli, fu liberato dal re Giuseppe Bonaparte. Nominato maggiore nel nuovo esercito, fu inviato in Calabria per sedarvi l’insurrezione. Con l’avvento al potere di Gioacchino Murat, Pepe andò combattere in Spagna con il grado di colonnello, e, tornato a Napoli, fu promosso maresciallo di campo. Fece poi la campagna d’Italia, segnalandosi al ponte sull’Enza e alla Secchia. Tornati i Borbone sul trono di Napoli, Pepe ottenne nel 1818 il comando di una divisione militare. Nel 1820, scoppiati i moti carbonari, incaricato di sedarli, entrò invece trionfalmente a Napoli alla testa degli insorti. Nominato comandante supremo dell’esercito, nel 1821 fu sconfitto ad Antrodoco dal corpo di spedizione austriaco inviato per restaurare la monarchia e costretto a un lungo esilio in Gran Bretagna e in Francia. A Londra, confortato dall’amicizia di Ugo Foscolo, pubblicò nel 1822 una narrazione degli avvenimenti napoletani del 1820-21; a Parigi si dedicò a studi di storia e di politica (Memoria sui mezzi che menano all’italiana indipendenza, 1833; L’Italia militare, 1836; Memoria intorno alla sua vita e ai recenti casi d’Italia, 1846). Amnistiato nel 1848, ebbe da Ferdinando II il comando dell’esercito inviato nel Veneto contro gli austriaci nella prima guerra d’indipendenza. Quando il re decise di ritirare il corpo di spedizione, Pepe rifiutò di ubbidire e, seguito da 2000 uomini, raggiunse Venezia, dove fu nominato dal governo di quella Repubblica generale in capo dell’esercito. Caduta la città nel 1849, andò esule a Corfù, Malta, Genova, Parigi; qui scrisse le sue memorie sui Casi d’Italia negli anni 1847, ’48, ’49 (1850). Trascorse a Torino gli ultimi anni della sua vita.