UBERTINI, Guglielmo
UBERTINI, Guglielmo (Guglielmino). – Più noto come Guglielmino per via della ridotta statura, nacque da Gualtieri Ubertini ad Arezzo fra il 1215 e il 1220. Della madre non si conosce il nome.
Nulla si sa della sua giovinezza, se non che si avviò molto presto alla carriera ecclesiastica.
Nella città toscana la Chiesa, e in particolare l’episcopio, conservava nel Duecento un ruolo importante; è naturale che una casata signorile inurbata e in ascesa, come i ghibellini Ubertini, guardasse con attenzione alle opportunità che essa forniva.
Già attorno ai vent’anni Ubertini divenne arcidiacono del capitolo, carica che era spesso l’anticamera dell’episcopato, e così fu anche nel suo caso. Infatti nel 1248, con il probabile assenso pontificio, egli fu eletto alla cattedra aretina, in sostituzione del vescovo Marcellino, giustiziato dalle truppe imperiali come ribelle l’anno precedente. Non poté tuttavia prendere immediatamente possesso della sede, e fece anzi guerra alla città appoggiandosi ai ‘suoi’ castelli, sia episcopali sia familiari. Ma già prima della pacificazione generale sancita fra 1254 e 1255 (con rientro di molti fuoriusciti e instaurazione di un governo popolare di orientamento guelfo moderato) Ubertini si accordò personalmente con il Comune, e rientrò in città.
Fin da questi primi anni di episcopato comunque Ubertini dimostrò chiaramente l’impronta personalistica e fortemente politica che avrebbe dato al suo presulato: uno spregiudicato uso della sua carica per aumentare il suo prestigio personale, che non rifuggiva a scontri diretti con il Comune. Ma dietro a ciò si indovinano motivi più alti, connessi con la libertas ecclesie e con l’ideale forte che Guglielmino aveva del suo magistero. Per tale motivo la storia dei suoi rapporti con la città è fatta di affrontamenti, anche in armi, e rappacificazioni, che gli permettevano di tornare nella sua sede per esercitare i suoi compiti.
Nonostante la marcata connotazione politica, Ubertini fu dunque subito – quanto al governo ecclesiastico – vigile e molto presente; percorse in lungo e in largo la diocesi facendo sentire la sua autorità anche negli angoli più remoti e scontrandosi con molti enti ecclesiastici, cui sempre tentò di imporre la sua volontà. Oltre che con l’abbazia di S. Fiora, con la pieve di Cortona, con l’eremo di Camaldoli (capo di tutto l’Ordine omonimo), si trovò in urto innanzitutto con il capitolo cattedrale, vero contrappeso anche politico dello strapotere vescovile.
Nel 1250 promosse l’unione dei due capitoli urbani della pieve e del duomo (nota come ‘unione guglielmina’), che erano in lite da molti anni per la preminenza in città e per i festeggiamenti del santo patrono, s. Donato. Nel 1256 poi cercò di intromettersi nell’elezione del nuovo arcidiacono della cattedrale, di competenza capitolare, facendo leva sulla figura di un canonico a lui fedele.
Prima del 1257 convocò una sinodo in cattedrale, con evidenti intenti di moralizzazione. Uno dei canoni infatti (non conservati, ma parzialmente citati negli atti della visita di quell’anno) stigmatizzava il clero concubinario, che costituiva un fenomeno non sconosciuto nella diocesi. Al vescovo premeva soprattutto evitare lo scandalo e presentare dunque un’immagine ‘alta’ del clero a lui sottoposto, del tutto coerentemente con le idee di sacerdozio che cercava di imporre.
A partire dal 1257 e per tutto il successivo anno condusse anche la visita pastorale della sua diocesi, la prima documentata per Arezzo. Le fonti sono frammentarie ma mostrano un pastore attento e un apparato burocratico (una cancelleria in gestazione) pienamente operante, capace di usare una sorta di formulario standard. Il vescovo si informò sullo stato delle anime dei fedeli, ma soprattutto sulla condotta del clero e sulla consistenza dei patrimoni delle chiese che visitò.
Infine, nel 1262 promulgò gli statuti della Fraternita dei laici (pio sodalizio destinato a uno straordinario successo in città), e in più occasioni accordò protezione agli insediamenti francescani; non fu dunque univocamente censorio nei confronti di tutte le realtà religiose.
Sul piano politico Ubertini agì sin dagli anni Cinquanta su diversi scenari. Su richiesta papale, nel 1255 fu in Puglia, conducendo personalmente un contingente di arcieri che si opponessero a Manfredi; due anni dopo raggiunse un accordo con il Comune che permise di realizzare nel febbraio del 1258 l’occupazione congiunta di Cortona, da tempo ribelle al suo vescovo.
Guglielmino era interessato soprattutto al ristabilimento della sua autorità sulla pieve cortonese, nella quale impose un chierico di sua fiducia; i diritti politici – decisamente discutibili – che poteva vantare sul centro furono invece ceduti al Comune aretino, che comunque gli riconosceva dei titoli onorifici sullo stesso.
C’è da considerare che fra le prerogative pubbliche conservate dalla cattedra di S. Donato ancora in questo secolo vi era anche una supervisione sulle emissioni monetarie. Dato che Cortona era sede della più importante zecca della diocesi, il recupero del controllo sul centro poteva essere visto come un’occasione per ribadire la superiore autorità monetaria vescovile, cosa che infatti Ubertini fece riconoscere tanto al Comune cortonese, quanto a quello aretino, evidentemente ben disposto verso di lui. Il buon momento di intesa con Arezzo fu tuttavia sfruttato dal vescovo anche per imporre una sua revisione degli statuti urbani (non conservati).
Verso la fine degli anni Cinquanta, i rapporti con il Comune si guastarono. Ubertini scomunicò pubblicamente le magistrature fiorentine, colpevoli dell’esecuzione dell’abate di Vallombrosa, su richiesta pontificia, ma così facendo si mise in urto con il proprio Comune, che in questi anni era invece ligio all’alleanza fiorentina. Così quando nel 1260 le milizie aretine affiancarono quelle fiorentine nella battaglia di Montaperti, il vescovo si schierò con i fuoriusciti ghibellini dalla parte di quelle senesi. Dopo la sconfitta dei guelfi tuttavia non poté rientrare in città, poiché il Comune aretino, pure costretto ad accettare una guarnigione tedesca fornita da Manfredi, rimase fedele allo schieramento guelfo, fra i pochi in Toscana. Sempre per ostacolare il Comune di Arezzo nel difficile controllo di Cortona occupata, Ubertini favorì nel 1261 il rientro in patria dei cortonesi esuli, appoggiati da Perugia. Finalmente nel 1263 i rapporti fra presule e Comune si appianarono e Ubertini poté rientrare in città, avvicinandosi alla causa guelfa.
In questo quadro maturò la sua nomina a capitano della parte guelfa estrinseca senese nel 1265. Per un decennio si mantenne su queste posizioni politiche, ricevendo anche un compenso dalla corte angioina a Napoli per l’attività svolta per la causa.
Sul fronte del governo della diocesi, a partire dal 1257 era maturata una contesa piuttosto aspra con l’Ordine camaldolese, che aveva il proprio centro proprio nella diocesi aretina. I monaci bianchi erano esenti in capite et in membris dall’autorità diocesana, circostanza che Ubertini non poteva tollerare per l’alta considerazione che aveva del ministero episcopale. Dapprima egli agì indirettamente favorendo i tentativi autonomistici dell’abbazia di Prataglia, che voleva distaccarsi dall’Ordine; ma successivamente passò alle vie di fatto facendo attaccare dalle sue masnade il castello di Soci, centro amministrativo a poca distanza dall’eremo, asportandone numerosi beni. I camaldolesi, forti della protezione pontificia, resistettero; ma mostrarono anche pragmatismo, stipulando nel 1269 un accordo che salvaguardava la sostanza dell’esenzione e riconosceva tuttavia qualche diritto onorifico al presule, tacitato del resto anche con la cessione di due curtes. L’accordo fu poi perfezionato nel 1280 con una permuta fondiaria.
Nel 1274 Ubertini si recò al Concilio di Lione, dal quale tornò in patria nel 1276 accompagnato dal papa, che morì ad Arezzo. Fu questa un’occasione che egli seppe cogliere, tanto nell’ospitare il pontefice malato e nel predisporne la sepoltura in cattedrale – approfittando di un lascito del papa stesso – quanto nell’organizzare il conclave, il primo a essere tenuto secondo le regole stabilite pochi anni prima dallo stesso pontefice.
Nel 1280 fu a Firenze per presenziare alla pace del cardinale Latino Malabranca. Dopo di ciò però egli decise di cambiare nuovamente partito, accostandosi decisamente alla parte ghibellina. Una serie di contese scoppiò con il Comune, originando dal controllo di alcuni castelli del contado, ma presto allargandosi a uno scontro generale. Uno dei punti più caldi fu la Valdambra, posta a una estremità del contado aretino e incuneata fra quelli senese e fiorentino, nella quale il parziale ripiegamento della precedente dominazione dei Guidi lasciò spazio all’affermazione territoriale tanto del Comune quanto del vescovo.
Ubertini tuttavia agiva in un orizzonte più vasto e nel 1282 ricevette un diploma dell’imperatore Rodolfo d’Asburgo che lo qualificava princeps imperii (U. Pasqui, Documenti per la storia della città di Arezzo..., 1916, n. 659). Nel 1286 poi appoggiò la parte estrinseca ghibellina senese, che facendo base nel castello di Gargonza fornito dal vescovo riuscì a occupare Poggio Santa Cecilia, posto nel contado senese, ancorché in diocesi aretina. Dopo pochi mesi il Comune senese espugnò il castello, che tornò a far parte del suo distretto, reprimendo aspramente il partito dei fuoriusciti ma raggiungendo una pace con i poteri che li avevano favoriti, principalmente i conti Guidi e Guglielmino.
I maggiori problemi di ‘convivenza’ Ubertini continuò ad averli con il Comune d’Arezzo. Nel 1284 il Comune attaccò il castello vescovile di Bibbiena e Ubertini reagì lanciando l’interdetto sulla sua città e uscendone nuovamente. Il papa tuttavia intervenne in difesa del Comune, sospendendo l’interdetto nel 1286 e ammonendo Ubertini. Il governo della città si era mutato proprio in questi anni in un regime ultra popolare, insofferente delle manovre politiche dei magnati. Nel 1287 dunque le forze congiunte di questi ultimi riuscirono a rovesciare il governo popolare e Guglielmino assunse la signoria della città, dopo aver promosso un ulteriore colpo di mano che espulse i guelfi. A ciò reagirono fiorentini e senesi, che minacciarono da presso Arezzo. Dopo alcuni confronti non risolutivi le forze aretine riuscirono a sorprendere i senesi che si ritiravano isolati e li sconfissero presso Pieve al Toppo nel 1288. L’anno successivo i fiorentini invasero il Casentino e l’esercito aretino, guidato dal battagliero vescovo, li affrontò nella piana di Campaldino, dove l’11 giugno del 1289 subì una catastrofica sconfitta, nella quale cadde il fiore della nobiltà aretina, compreso il settantenne Guglielmino e alcuni dei suoi congiunti.
Il giudizio dei contemporanei e dei posteri sulla figura di Guglielmino fu universalmente negativo, sottolineando gli aspetti più dispotici della sua condotta e la sua nota propensione militare. Bisogna però considerare che in esso pesò sommamente la morte sul campo di battaglia e l’inimicizia di figure carismatiche della Chiesa stessa, come alcuni pontefici e s. Margherita da Cortona, nella cui biografia si trovano alcune espressioni molto forti nei confronti del vescovo.
Ebbe un figlio illegittimo, di nome Monaco, che appare nelle fonti solo dopo la morte del padre.
Fonti e Bibl.: Arezzo, Archivio capitolare e diocesano, Canonica, DCXX, c. 60v (4 gennaio 1258), c. 61r (12 e 14 marzo 1258), c. 99r (1° ottobre 1262); L. Guazzesi, Dell’antico dominio del vescovo di Arezzo in Cortona, dissertazione del cavaliere Lorenzo Guazzesi, Pisa 1760; G. Bevegnati, Leggenda della vita e dei miracoli di s. Margherita da Cortona, trad. di Lodovico da Pelago, Roma 1858 (Cortona 1959); U. Pasqui, Documenti per la storia della città di Arezzo nel Medio Evo, II, Firenze 1916, IV, Arezzo 1904 (ristampato nel 2012); Annales Arretinorum Maiores et Minores, aa. 1192-1343, in RIS, XXIV, 1, a cura di A. Bini - G. Grazzini, Città di Castello 1909 (anche in Pasqui, Documenti..., cit., IV, pp. 37-76, 77-81).
C. Lazzeri, G. U. vescovo di Arezzo (1248-1289) e i suoi tempi, Firenze 1920; G.G. Meersseman, Ordo Fraternitatis. Confraternite e pietà dei laici nel Medioevo, a cura di G.P. Pacini, II, Roma 1977, n. 17, pp. 1015-1027; L. Travaini, L’organizzazione delle zecche toscane nel XIV secolo, in La Toscana nel secolo XIV: caratteri di una civiltà regionale, Atti del Convegno..., Firenze e San Miniato... 1986, a cura e con introduzione di S. Gensini, Pisa 1988, pp. 241-249; A. Benvenuti Papi, “Ad procurationem caritatis et amoris et concordiae ad invicem”. La Fraternita dei Laici di Arezzo tra sistema di solidarietà e solidarietà di sistema, in Annali aretini, III (1995), pp. 79-104; L. Berti, Arezzo nel tardo Medio Evo (1222-1440). Storia politico-istituzionale, Arezzo 2005, passim; S. Pieri, La visita pastorale di G. degli U. (1257-1258), in Visite pastorali dal 1257 al 1516, a cura di don S. Pieri - don C. Volpi, Fiesole 2006, pp. 11-59 (già edito in Annali aretini, X (2002), pp. 61-108); G.P.G. Scharf, L’attrazione della città: gli Ubertini e Gaville fra Firenze e Arezzo nel Duecento e nei primi decenni del Trecento, in San Romolo a Gaville in età medievale. Storie di una pieve del Valdarno, Atti del Convegno..., Figline Valdarno... 2005, a cura di P. Pirillo - M. Ronzani, Roma 2008, pp. 123-146; Id., Fra vescovo e comune aretino: la Valdambra nel Duecento, in La Valdambra nel Medioevo, a cura di L. Tanzini, Firenze 2011, pp. 117-127; Id., Vescovo e signore. La parabola di G. degli U. ad Arezzo (1248-1289), in Società e storia, CXXXVIII (2012), pp. 699-728; Id., Camaldoli e l’episcopato aretino nel Duecento, in I camaldolesi ad Arezzo: mille anni di interazione in campo religioso, artistico, culturale, a cura di P. Licciardello, Arezzo 2014, pp. 43-52; Costituzioni sinodali dei vescovi di Arezzo. Boso degli Ubertini - 1334 e Cosimo de Pazzi -1504, a cura di don C. Volpi, Fiesole 2017, pp. 153-156.