GUIDETTI, Guidetto (Guido)
Non si conosce la data di nascita di questo architetto di origine fiorentina, figlio di "maestro" Raffaele, attivo a Roma principalmente tra il quinto e il settimo decennio del XVI secolo; tale data è collocata da Toesca (p. 100) negli ultimi anni del XV secolo.
Si ignora il momento dell'arrivo del G. a Roma, che, però, dev'essere avvenuto prima del 1520, quando il suo nome figura, insieme con quello di Antonio da Sangallo il Giovane (Antonio Cordini), nel libro dei benefattori e contribuenti alla Fabbrica di S. Giovanni dei Fiorentini (Nava, p. 343 s.).
Intorno al 1538 si situa la data d'inizio dei lavori di ricostruzione di quella che potrebbe essere considerata la sua prima realizzazione in campo architettonico: la facciata della chiesa di S. Spirito in Sassia.
Sull'identità dell'autore dell'opera sono state avanzate diverse ipotesi; e, proprio quando ormai sembrava scontata la sua definitiva assegnazione ad Antonio da Sangallo, Giovannoni (1947) la attribuì al Guidetti. Il riconoscimento fu sostenuto sulla base di un attento confronto stilistico con un'opera successiva che può essere collegata al G. con maggior sicurezza qual è il prospetto della chiesa di S. Caterina dei Funari. L'analisi dimostrò l'esistenza di notevoli e concrete analogie nella disposizione generale, nelle proporzioni e nei singoli elementi decorativi delle due architetture, legittimando l'attribuzione al G. dell'opera che divenne la matrice della maggior parte delle facciate delle chiese della seconda metà del Cinquecento.
Tra il 1545 e il 1550 furono probabilmente compiuti i lavori di realizzazione di un'altra delle opere tradizionalmente attribuite al G.: i giardini Cesi, voluti dal cardinal Federico nel suo palazzo presso il Vaticano per sistemarvi la sua importante collezione di antichità.
Del giardino, demolito negli anni Quaranta del Novecento, restano alcune descrizioni e qualche disegno che illustrano i principali elementi architettonici in esso collocati. Particolarmente interessante doveva essere l'antiquario, piccola costruzione a pianta centrale destinata ad accogliere i pezzi più pregiati della collezione. A suggerire il nome del G. come quello del possibile artefice dell'opera è stata l'individuazione di elementi ricorrenti in altre sue opere, quali una certa predilezione per il motivo della nicchia, il gusto per il chiaroscuro, la cura del particolare, oltre probabilmente ai buoni rapporti che intercorrevano tra il cardinale Cesi e l'architetto (Tomei, p. 79).
Sulla base di una serie di documenti rinvenuti tra le carte dell'archivio di S. Maria dell'Orto si può dimostrare il sicuro coinvolgimento del G. nella fabbrica della chiesa dal 1555 al 1559.
La costruzione dell'edificio, iniziato alla fine del XV secolo, procedeva molto lentamente e l'arrivo dell'architetto fiorentino nel cantiere coincise con l'inizio di una nuova fase di intensa attività edificatoria che, sotto la sua direzione, vide presumibilmente il completamento della zona absidale e degli altari maggiori e l'innesto e la prosecuzione del corpo a tre navate con cappelle laterali. Dalla disamina delle carte d'archivio si può ipotizzare che il ruolo del G. sia stato determinante nell'ideazione dell'intero impianto iconografico dell'edificio nelle sue forme attuali (Fasolo, pp. 39-41).
Il 14 maggio 1556 il G. sposò a Roma Maddalena, figlia di maestro Giovanni da Sant'Agata, scalpellino fiorentino e suo probabile collaboratore (Toesca, p. 100).
Nello stesso anno tracce del suo operato si trovano nei mandati di pagamento effettuati dalla Camera apostolica per lavori di architettura militare da lui eseguiti in Borgo, Trastevere e Castel Sant'Angelo; mentre un documento custodito nell'Archivio di Stato di Rieti allude a una missione da lui compiuta nella città, su invito di C. Orsini, per sovrintendere alla costruzione di alcune opere di fortificazione (Giovannoni, 1931, pp. 194, 231).
L'anno successivo il nome del G., accompagnato dalla qualifica di "architectum", compare in due diversi atti dell'Arciconfraternita dei Fiorentini che ribadiscono la sua appartenenza alla congregazione (Pecchiai, 1950, p. 225).
Al G. sono stati attribuiti anche i lavori di riadattamento del convento di S. Maria sopra Minerva.
Fu padre V. Giustiniani, maestro generale dell'Ordine dei domenicani, a decidere, nel 1558, di ampliare il convento quattrocentesco, demolire il vecchio chiostro, che sorgeva addossato al muro esterno della navatella sinistra della chiesa, e di costruirne uno nuovo che lasciasse lo spazio necessario per edificare le cappelle sul lato sinistro dell'edificio. A testimonianza della presenza del G. nel cantiere restano numerose note dei pagamenti effettuati tra il settembre del 1559 e il gennaio del 1564, a "maestro Guido Guidetti architetto della fabbrica". La regolarità dei pagamenti, un compenso mensile di 4 scudi successivamente elevato a 6, e l'occorrenza del suo nome sin dalla prima pagina nel registro delle spese dimostrano la costante presenza dell'architetto nella fabbrica sin dall'inizio dei lavori; poco invece si deduce dalla lettura delle carte sulla successione degli interventi (Tomei, pp. 62-67). Alla fine del 1559 sembra fossero già compiuti i lavori di risistemazione concernenti l'edificio del vecchio convento. Nel corso dell'anno successivo fu sicuramente completata la fabbrica del nuovo ospizio sulla piazza, come ricordava l'incisione apposta sulla porta d'ingresso. Contemporaneamente dovettero procedere i lavori per la ricostruzione del chiostro, la prima parte del quale fu compiuta nel 1563: la restante parte, verso il refettorio, fu terminata due anni dopo. Nel gennaio del 1564 il G., forse troppo impegnato in altri cantieri, fu sostituito da un suo collaboratore, Cipriano da Prata. Delle opere da lui dirette sopravvive solo il chiostro a due ordini di arcate sostenute da pilastri, la cui irregolarità planimetrica non risolta è chiaramente sottolineata dall'evidente diversità degli intercolumni: si tratta in sintesi di una creazione molto semplice e di non grande pregio stilistico.
Nel 1560 probabilmente presero avvio i lavori di costruzione della nuova chiesa di S. Caterina dei Funari, voluta e patrocinata dal cardinale Cesi, benefattore della Confraternita di S. Caterina, che si fece carico dell'intero costo dell'impresa, compiuta nell'arco di quattro anni.
La paternità di tale opera fu per secoli ritenuta incerta e oggetto di diverse ipotesi da parte degli studiosi divisi tra chi ne riconosceva l'artefice in Giacomo Della Porta e chi la riteneva eseguita in fasi differenti, all'interno delle quali poteva essere distinta l'impronta di Iacopo Barozzi detto il Vignola (Portoghesi, pp. 479 s.). Fu ancora Giovannoni (1909) ad assegnare al G. la totale responsabilità del progetto, dopo aver scoperto, analizzando il paramento murario della facciata, due iscrizioni ancora sconosciute: la prima ricordava il nome del capomastro Bartolomeo da Casale Monferrato; la seconda, occultata dalla grande iscrizione dedicatoria, rivelava invece il nome dell'architetto: "Guideto de Guideti". La facciata si compone di due sovrapposti ordini corinzi di paraste, separati da un'alta trabeazione; sull'asse mediano trova posto un portale affiancato da imponenti colonne scanalate sorreggenti una trabeazione conclusa da un timpano, a cui corrisponde nella parte superiore una grande finestra circolare compresa in una targa quadrata e sormontata da uno stemma; due ampie volute a curvatura semplice affiancano l'ordine superiore e un timpano triangolare con una croce e quattro candelabri completano in alto il prospetto. Particolarmente ricca è la decorazione architettonica, che vede riproporsi in tutti gli intercolumni un alternarsi di nicchie e targhe, e quella ornamentale, situata principalmente nelle fasce corrispondenti ai capitelli dei due ordini, con motivi di festoni riproducenti fiori e frutta in quello inferiore e nastri, ghirlande e perline incorniciate da volute in quello superiore. Il prospetto mostra chiaramente la sua derivazione dal modello di S. Spirito in Sassia. Se non sembrano sussistere più dubbi sul fatto che il G. possa essere stato l'artefice del progetto della facciata, rimangono tuttavia alcune perplessità sulla sua totale responsabilità nella fase costruttiva. L'analisi dei paramenti murari ha infatti evidenziato delle differenze tra l'ordine inferiore e quello superiore nella lavorazione delle decorazioni e nel cromatismo; tali indizi porterebbero a formulare un'ulteriore ipotesi che vede nel G. l'autore del progetto, responsabile però della realizzazione della sola parte inferiore della facciata, quella appunto testimoniata dalla sua firma (Marani, p. 611).
Nell'autunno del 1561 il G. era atteso dai Priori di Rieti, i quali avevano fatto richiesta di un valido architetto al procuratore del Comune di Roma F. Sonanti.
Si ignorano i motivi di tale richiesta; mentre dalla risposta inviata da Sonanti si deduce che, dovendosi l'architetto recare ad Acquasparta "per disegnare fabrica" su incarico del cardinale Cesi, si sarebbe fermato a Rieti; ma non esistono al momento conferme del suo passaggio (Giovannoni, 1931, p. 194). Il documento, ha portato a supporre che egli possa essere stato l'artefice del palazzo di famiglia ad Acquasparta; le date di costruzione dell'edificio (1565-79) sembrerebbero escludere tale possibilità, sebbene la lettura dell'impianto architettonico dimostri l'esistenza di un disegno generale ideato da una persona certamente vicina alla cerchia dei Sangallo. L'ipotesi più probabile è che il G. possa essere considerato l'ideatore del progetto del palazzo, la cui realizzazione, dopo la sua morte, sarebbe stata affidata ad altri, probabilmente a quel G.D. Bianchi che i documenti indicano come architetto della fabbrica negli anni successivi (Marani, pp. 612-615).
Il 15 apr. 1562, su richiesta del Consiglio ordinario capitolino, il G. fu invitato, insieme con il Vignola e Nanni di Baccio Bigio, a presentare dei progetti per la fabbrica della Sapienza che ricominciava dopo una lunga stasi dei lavori. L'esito di questo concorso non è noto; ma sembra accertata la sua presenza nel cantiere del palazzo e probabilmente la sua responsabilità nella costruzione di parte del portico (Wasserman, pp. 502 s.).
Nel 1563 fu incaricato da papa Pio IV di sovrintendere alla costruzione del palazzo dei Conservatori, con un salario di 50 scudi e con il preciso vincolo di rispettare fedelmente le direttive originali fissate da Michelangelo; i lavori cominciarono nel mese di giugno e, dopo la sua morte, furono completati da Giacomo Della Porta, che lo sostituì nella fabbrica (Bicci).
Il 27 sett. 1564 il G., nella sua casa posta nel rione S. Angelo dirimpetto alla chiesa di S. Caterina dei Funari, redasse il suo testamento.
Dall'elenco dei crediti citati nel documento si ricavano i nomi di due importanti committenti del G.: Baldovino Del Monte e la Compagnia della Ss. Annunziata. Per quanto riguarda il primo, fratello di Giulio III, il G. vantava nei suoi confronti il considerevole credito di 250 scudi; e sarebbe importante capire se e a quale titolo il suo nome possa essere collegato a una delle due più note imprese condotte da Baldovino, e cioè villa Giulia e il palazzo di Firenze. Quanto al secondo, il documento specifica che oggetto di tali lavori fu il palazzo detto dei Penitenzieri in Borgo Vecchio; ma è praticamente impossibile determinare l'entità degli interventi eseguiti dal G. a causa delle successive trasformazioni subite dall'edificio; è probabile comunque che si sia trattato di semplici adattamenti (Toesca, p. 101).
Tra le opere tradizionalmente attribuite al G. bisogna ricordare il disegno conservato agli Uffizi (n. 1330) raffigurante, secondo la didascalia, il "rilievo d'un tempietto antico a cupola con spinapesce incrociate nella volta". Esso rappresenta in realtà una delle otto sale ottagonali esistenti nel corpo a simmetria centrale della basilica di S. Pietro e ne descrive l'originale apparecchio in mattoni della cupola. Quella illustrata è una particolare struttura muraria voltata, ispirata senza dubbio a esempi del mondo romano, che si suppone potesse essere realizzata senza l'ausilio della centina e che si può mettere in relazione con un altro disegno di architettura degli Uffizi (n. 900) di Antonio da Sangallo il Giovane, anch'esso illustrante il medesimo tipo di struttura, la cui utilizzazione in epoca rinascimentale è strettamente legata ad alcune realizzazioni della famiglia Sangallo (Zander). È dimostrato che le sale ottagone vennero realizzate, nel corso del pontificato di Paolo III, proprio da Antonio da Sangallo; e questo, oltre a confermare l'esistenza di un legame tra l'affermato architetto e il G., potrebbe avvalorare l'ipotesi di una presenza di quest'ultimo nel cantiere della basilica negli anni della direzione sangallesca. Sembra invece aver perduto ogni fondamento l'attribuzione al G., avanzata sempre da Giovannoni, della cappella Cesi in S. Maria Maggiore (Bruschi, p. 72).
Il G. morì a Roma, probabilmente nello stesso autunno del 1564, quando è documentata la sua sostituzione nei cantieri da lui diretti.
Fonti e Bibl.: M.U. Bicci, Notizie della famiglia Boccapaduli patrizia romana, Roma 1762, p. 114; A. Bertolotti, Artisti lombardi a Roma nei secoli XV, XVI e XVII. Studi e ricerche negli archivi romani, I, Milano 1881, p. 135; G. Giovannoni, Comunicazioni ai soci, 29 marzo 1909, in Annuario dell'Associazione artistica fra i cultori di architettura, Roma 1908-09, pp. 86-88; Id., Chiese della seconda metà del '500 in Roma, in L'Arte, XV (1912), pp. 416 s.; Id., Chiese della seconda metà del Cinquecento in Roma, in Id., Saggi sull'architettura del Rinascimento, Milano 1931, pp. 184, 187, 192-196, 231; C. De Tolnay, Zu den späten architektonischen Projekten Michelangelos, in Jahrbuch der Preussischen Kunstsammlungen, LIII (1932), pp. 250 s., docc. 8, 12, 13; A. Nava, La storia della chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini nei documenti del suo archivio, in Arch. della R. Deputazione romana di storia patria, LIX (1936), pp. 343 s., 349, 355; P. Tomei, G. G., in Riv. del R. Istituto di archeologia e storia dell'arte, VIII (1940), pp. 62-83; P. Pecchiai, L'architetto G. G. aiuto di Michelangelo nella fabbrica del Campidoglio, ibid., IX (1942), pp. 253-259; F. Fasolo, La fabbrica cinquecentesca diS. Maria dell'Orto, Roma 1945, pp. 28-34, 36, 38-44, 52-54, 59-64; G. Giovannoni, La facciata di S. Spirito e S. Maria in Sassia, in Boll. del Centro nazionale di studi di storia dell'architettura, 1947, n. 5, pp. 4 s.; P. Pecchiai, Il Campidoglio nel Cinquecento sulla scorta dei documenti, Roma 1950, pp. 12, 21-25, 224-230; J. Wasserman, Giacomo della Porta's church for the Sapienza in Rome and other matters relating to the palace, in The Art Bullettin, XLVI (1964), pp. 502 s.; G. De Angelis D'Ossat - C. Pietrangeli, Il Campidoglio di Michelangelo, Milano 1965, pp. 95, 111 n. 1; P. Portoghesi, Roma del Rinascimento, Roma 1973, pp. 201, 466, 471 s., 479 s., 485-488, 497; I. Toesca, Notizie su Guido G., in Paragone, XXV (1974), 291, pp. 100-109; J.A. Ackermam, L'architettura di Michelangelo, Torino 1988, pp. 138, 212-214, 225 s., 329; G. Zander, Gli ottagoni di S. Pietro riconosciuti nel dis. Arch. Uff. n. 1330, in Palladio, I (1988), 1, pp. 67 s., 78; A. Melograni, Il cantiere cinquecentesco di S. Caterina ai Funari e le pitture della cappella Cesi, in Storia dell'arte, LXVII (1989), pp. 221-226; S. Marani, Contrastate attribuzioni a G. G.: il palazzo Cesi ad Acquasparta. Vicende remote e recenti, in Quaderni dell'Istituto di storia dell'architettura, n.s., XV-XX (1990-92), 2, pp. 609-613, 616; F. Fedeli Bernardini, Ospedale dei pazzi di Roma dai papi al '900: lineamenti di assistenza e cura a poveri e dementi, II, Bari 1994, pp. 317-320; A. Bruschi, Oltre il Rinascimento, Milano 2000, pp. 72, 221, 224; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 272; Diz. encicl. di architettura e urbanistica, III, p. 67; The Dictionary of art, XIII, p. 813.