GUIDETTO
Scultore e architetto di probabile origine lombarda, fu attivo in Toscana tra lo scorcio del XII secolo e l'inizio del XIII; il suo nome è tradizionalmente legato all'esecuzione dell'apparato scultoreo del duomo di S. Martino a Lucca.
Non è possibile delineare un quadro certo delle opere di G. sia per la presenza di numerosi "Guido" attivi nei cantieri in quel periodo sia per le modalità organizzative del lavoro di queste comunità di scultori che, ricorrendo a collaudate forme di specializzazione e di rotazione degli interventi, favorivano la circolazione degli artisti e dunque il rapido mutare dell'organigramma delle botteghe. Tutto ciò è ulteriormente complicato dalla consuetudine, inveterata all'interno di queste famiglie di artisti, di tramandare gli stessi nomi per meglio garantire l'identità dell'impresa; e il nome più ricorrente è proprio quello di Guido (Dalli Regoli, 1992). Nei primi decenni del secolo scorso, grazie ai fondamentali studi documentari di Salmi e di Guidi, si è potuta fare una certa chiarezza e riconoscere finalmente le principali personalità operanti del periodo in area toscana e, soprattutto, distinguere da G. il più anziano maestro Guido, la cui identità rimane comunque oscura, e i successivi Guido e Guidobono Bigarelli.
La presenza di G. e quella di alcuni collaboratori è stata ipotizzata nel cantiere della chiesa dei Ss. Giovanni e Reparata a Lucca, dove certi elementi del complesso scultoreo dell'edificio, da alcune mensole dell'abside ai capitelli dell'interno, ai fogliami del portale, mostrano evidenti analogie dal punto di vista iconografico e stilistico con le parti guidettesche della facciata di S. Martino (Baracchini - Filieri, 1992). Tutto questo sarebbe ancor più interessante se ulteriori indizi potessero confermare la datazione proposta per la realizzazione dell'opera che, anticipando la conclusione dei lavori al penultimo decennio del XII secolo, amplierebbe i limiti cronologici dell'attività nota di Guidetto.
Irrisolta appare la questione dell'identità del "maestro Guido" documentato a Pisa nel 1183, come pure dell'omonimo marmorario e scultore ricordato da un'iscrizione del 1188 per aver partecipato alla realizzazione della chiesa di S. Maria Corteorlandini a Lucca (Ascani, 1996). Con cautela vanno considerate le due citazioni del 1191 e del 1196 che riferiscono di un Guido già attivo nell'opera di S. Martino; allo stato attuale degli studi, questo personaggio, probabilmente lo stesso già presente in S. Maria Corteorlandini, dotato di una cultura più arcaica e di una formazione completamente locale, sarebbe da identificarsi con l'omonimo artefice della parte inferiore della facciata del duomo lucchese.
Un documento perduto, di cui tuttavia si conserva copia, ricorda che nel febbraio del 1203 l'abate di S. Ponziano a Lucca cedette la proprietà di un terreno del monastero per ricompensare "Guido Maestro di pietre che fa l'opera del chiostro" (Belli Barsali) appartenente al primitivo complesso del monastero, fondato verso la fine del X secolo e demolito nella seconda metà del Quattrocento per far posto a una più ampia cerchia muraria.
Alcune tracce di questo manufatto, elementi scultorei di evidente origine medievale, sono conservate all'interno dell'attuale complesso: si tratta in particolare di una colonnina istoriata e di alcuni capitelli riutilizzati nel chiostro piccolo e di altri due sistemati nel cortile di un edificio adiacente (Dalli Regoli, 1986). La maggioranza dei capitelli inseriti nel chiostro è ornata con motivi vegetali di foglie ripiegate a uncino e foglie d'acqua: un unico elemento mostra una decorazione figurata con una protome taurina centrale e due volti umani sugli spigoli, un vecchio barbuto e un giovane affiancato da un'arpia. Dei due capitelli figurati conservati all'interno dell'attigua costruzione uno solo è visibile ed è interamente decorato con elementi zoomorfi: una scena di caccia con una fiera che azzanna un uccello, un drago alato in posizione centrale e altri due draghi dai corpi avviluppati sull'altro lato. Gli studiosi sono abbastanza concordi nell'attribuire a G. e alla sua bottega la realizzazione di quest'opera poiché i motivi utilizzati trovano riscontro nelle parti di altri complessi scultorei legati allo stesso maestro; in particolare, efficaci confronti tipologici e iconografici sono possibili tra le piatte e larghe foglie incurvate dei capitelli di S. Ponziano e quelle del secondo ordine di logge della chiesa di S. Martino (Ascani, 1991).
Nel 1204 presero avvio i lavori di completamento della facciata del duomo, la cui paternità certa è attestata da un'iscrizione tuttora leggibile nel cartiglio, sostenuto da una figura maschile, scolpito sull'ultima colonnina istoriata verso il campanile del primo ordine di logge.
I lavori di ricostruzione della chiesa, promossi dal vescovo Anselmo già alla metà dell'XI secolo, subirono successivamente molteplici interruzioni. Al momento dell'arrivo di G. nel cantiere la fascia inferiore del prospetto, il cosiddetto portico, era quasi completamente compiuta: l'analisi del paramento murario ha rilevato, difatti, la presenza di una diversa maestranza nella parte superiore delle ghiere degli arconi, cambiamento denunciato visibilmente dal diverso tipo di intaglio. Fu questa maestranza, facente appunto capo a G., che completò la fronte del portico con le mensole in essa inserite e su di essa impostò la nuova facciata a vela scandita da tre ordini di loggette praticabili, divise tra loro da cornici minuziosamente scolpite con motivi vegetali e da fasce a tarsia, sostenute da colonnine decorate e intarsiate e raccordate alla facciata retrostante da volte, i cui tiranti emergono sul frontespizio fungendo da dado di colonna. Un complesso apparato scultoreo, completamente sovrapposto alla struttura architettonica retrostante, caratterizzato da un vasto e innovativo repertorio che introdusse singolari e fantasiosi motivi vegetali, un largo impiego di figure di cacciatori, lottatori o domatori e un grande numero di fiere o animali fantastici spesso impegnati in scene di combattimento o di caccia. L'esame di tali rilievi evidenzia come sia tipica della bottega l'associazione o contrapposizione degli elementi o, ancora, la loro concatenazione seriale; così come risalta la completa assenza dalle creazioni di G. della "storia" intesa come narrazione di un preciso evento articolato in fasi consequenziali.
Questa tipologia di facciata, nel suo insieme, ha la sua matrice nel duomo di Pisa di Rainaldo, che certamente G. ben conosceva; ma le ascendenze pisane si fermano a una generica analogia di impianto, poiché nella facciata di Lucca non si ritrovano quei rigorosi canoni proporzionali ispirati all'antico che connotano l'edificio pisano. Un ruolo importante è svolto anche dalla scelta dei materiali utilizzati che punta sui contrasti cromatici ottenuti con l'accostamento tra il marmo bianco di S. Maria del Giudice e un marmo di tonalità cupa, tra il verde e il grigio.
Distinguere i limiti del suo intervento rispetto a quello dei collaboratori, in questa come nelle altre opere di G., non è cosa semplice, sebbene con un certo margine di sicurezza si possano attribuire alla sua mano le mensole inserite sopra gli arconi dell'atrio (direttamente confrontabili per analogia di temi iconografici con un'altra opera a lui attribuibile: i peducci del battistero pisano), la prima cornice marcapiano e i capitelli del primo ordine di logge (Baracchini - Caleca, 1973). Nei ricorsi superiori sembrerebbe prevalere l'opera della bottega, probabilmente a causa dei successivi impegni di G. che lo costrinsero a diradare la sua presenza nel cantiere.
Al 1211 risale la stesura del contratto, rogato "in claustro Sancti Stefani", con il quale si affidò a Guido "marmolarius sancti Martini de Luca" l'incarico di portare a compimento i lavori della pieve del Borgo al Cornio (l'antico abitato che prenderà poi il nome di Prato); la scrittura non lascia dubbi sulla corrispondenza tra G. e il "marmolarius" operante a Prato giacché, dalla lettura, si ricava che questi si riservò di tornare a Lucca per quattro volte all'anno, con il probabile scopo di verificare i progressi ivi compiuti dai suoi collaboratori (Ridolfi).
La configurazione della pieve è individuabile solo in parte a causa delle trasformazioni apportatevi nelle epoche successive: G. dovette intervenire di fatto su un cantiere in piena attività, innestandosi su murature preesistenti. A lui si deve la realizzazione della facciata, in parte visibile sotto quella attuale attraverso un'intercapedine, e delle tre navate suddivise da ampie archeggiature poggianti su possenti colonne in marmo verde di Prato. Le navate dovevano concludersi su un piano presbiteriale rialzato, al di sotto del quale si trovava una cripta, distrutta nell'ampliamento trecentesco del transetto. Tanto all'esterno quanto all'interno l'architettura di G. è connotata da accentuati effetti policromi, ottenuti con la giustapposizione tra elementi in alberese o marmo bianco e quelli in verde di Prato. Ricostruire il disegno originale della facciata, caratterizzata da un paramento liscio d'alberese nella parte inferiore e bicromo in quella soprastante, è quasi impossibile a causa dell'esiguo numero di elementi sopravvissuti: era coronata da archetti pensili forse poggianti su due paraste d'angolo; mentre protomi leonine segnavano l'innesto degli spioventi delle navate laterali. Essa era completata plausibilmente da un unico portale sormontato da una bifora e da due finestrelle arcuate (Marchini). Il cantiere di Prato, attinente con ogni probabilità a una fase matura dell'attività di G., fa risaltare la sua concezione architettonica, all'interno della quale influenze lombarde, riscontrabili nell'ampia proporzione dei colonnati interni come nella realizzazione della cripta - elemento poco utilizzato dalla cultura locale -, si fondono con influenze pistoiesi liberamente reinterpretate con la trasposizione della bicromia anche all'interno dell'edificio. Per quanto attiene all'apparato decorativo del duomo, ne rimangono testimonianze nei capitelli delle colonne della navata, alcuni ispirati a modelli classici, altri con elementi figurati, protomi umane e zoomorfe, alternati ai medesimi motivi vegetali, composti da piatte e larghe foglie ricurve verso l'esterno.
Una riflessione a parte meritano i capitelli delle colonnine del chiostro, la cui ricca decorazione a motivi zoomorfi riprende tematiche già presenti nelle colonnine degli ordini superiori della facciata di S. Martino, probabilmente dovuti alla mano dei suoi collaboratori; e ciò fa supporre che anche nel cantiere pratese l'opera della bottega abbia gradualmente sostituito quella di G. (Ascani, 1996).
Plausibile dovrebbe essere anche l'attribuzione a G. di parte della decorazione interna del battistero pisano, in particolare della maggior parte dei capitelli dei pilastri e delle colonne che delimitano lo spazio centrale dell'edificio, nonché dei peducci che fungono da appoggio per le volte a vela lungo il muro perimetrale.
Questa ipotesi, avanzata già all'inizio del secolo scorso, ma sulla quale le opinioni degli studiosi continuano a essere discordi, si complica ulteriormente per la mancanza di sicuri termini di datazione che oscillano tra il penultimo decennio del XII secolo (Biehl; Caleca, 1991), i primordi o il secondo decennio di quello successivo (Chiellini Nari; Calderoni Massetti).
Resta ancora da analizzare un nucleo di opere scultoreo-architettoniche lucchesi che, pur privo di adeguati riscontri documentari, mostra moduli stilistici certamente confrontabili con quelli della facciata di S. Martino riferibili a Guidetto. D'altro canto è ragionevole supporre, e diversi indizi sembrerebbero confermarlo, che, al momento dell'importante incarico riguardante il duomo lucchese, G. e la sua bottega fossero già in piena attività; e queste opere potrebbero costituirne la conferma. Evidenti analogie di impianto e di apparato decorativo con il duomo sono rilevabili nella compiuta facciata di S. Michele in Foro, che sebbene pesantemente rimaneggiata rivela chiaramente i diretti interventi guidetteschi (Baracchini - Caleca - Filieri, 1978); come pure nei portali e in alcuni elementi dell'arredo di una serie di edifici, situati in città o nel territorio lucchese, quali le chiese di S. Giovanni, S. Cristoforo, S. Giusto, S. Maria Bianca e S. Leonardo in Triponzio, che replicano in forme più o meno semplificate i motivi ornamentali e figurativi tipici: ampi e ricchi girali di fogliami, animali reali e fantastici spesso in lotta.
Lombardo "quondam magistri Guidi" fu probabilmente figlio di Guidetto. Il suo nome ricorre con frequenza, dal 1238 al 1259, nei documenti relativi all'Opera di S. Martino, all'interno della quale sovrintese al cantiere del sottoportico (Baracchini - Caleca, 1973). Anche nei confronti della sua attività la critica si è divisa tra coloro che gli riconoscono la direzione unica del cantiere e la responsabilità dei rilievi delle Storie dei ss. Martino e Regolo, del Ciclo dei mesi e della lunetta del portico centrale (ibid.) e chi riduce il suo impegno alle sole storie di S. Martino, le prime in ordine cronologico a essere realizzate (Ascani, 1991).
La data di morte di G. non è nota.
Fonti e Bibl.: E. Ridolfi, L'arte in Lucca studiata nella sua cattedrale, Lucca 1882, pp. 16-18, 81-91; M. Salmi, La questione dei Guidi, in L'Arte, XVII (1914), pp. 81-90; W. Biehl, Toskanische Plastik des frühen und hohen Mittelalters, Leipzig 1926, pp. 76 s.; M. Salmi, L'architettura romanica in Toscana, Milano-Roma 1926, pp. 17 s., 48-50; Id., La scultura romanica in Toscana, Firenze 1928, pp. 76, 105-108; P. Guidi, Di alcuni maestri lombardi a Lucca nel sec. XIII, in Arch. stor. italiano, XII (1929), pp. 209-231; M. Salmi, Maestri comacini e maestri lombardi, in Palladio, III (1939), pp. 49-62; G. Marchini, Il duomo di Prato, Milano s.d. (ma 1957), pp. 23-33; I. Belli Barsali, Guida di Lucca, Lucca 1970, p. 145; C. Baracchini - A. Caleca, Il duomo di Lucca, Lucca 1973, pp. 12, 19-21, 24, 98-100, 102-104; C. Baracchini - A. Caleca - M.T. Filieri, Problemi di architettura e scultura medievale in Lucchesia, in Actum Luce, 1978, n. 7, pp. 23-26; A.R. Calderoni Massetti, La committenza pulsanese in Toscana nei secoli XII e XIII: primi risultati di un'indagine, in Storia dell'arte, 1982, n. 44, pp. 45, 50-52, 54 s.; G. Dalli Regoli, Dai maestri senza nome all'impresa dei Guidi. Contributi per lo studio della scultura medievale a Lucca, Lucca 1986, pp. 118 s., 122, 126 s.; M. Chiellini Nari, Le sculture nel battistero di Pisa. Temi e immagini del Medioevo: i rilievi del deambulatorio, Pisa 1989, pp. 18-26, 29; M.T. Filieri, Architettura medievale in diocesi di Lucca. Le pievi del territorio di Capannori, Lucca 1990, pp. 114 s., 141; V. Ascani, La bottega dei Bigarelli. Scultori ticinesi in Toscana e nel Trentino nella prima metà del Duecento sulla scia degli studi di Mario Salmi, in Mario Salmi storico dell'arte e umanista. Atti della Giornata di studio, Roma… 1990, Spoleto 1991, pp. 111-113, 117 s.; A. Caleca, La dotta mano: il battistero di Pisa, Bergamo 1991, pp. 29-31, 44, 72, 137; G. Dalli Regoli, I Guidi "Magistri marmorum de Lumbardia", in Niveo de marmore. L'uso artistico del marmo di Carrara dall'XI al XV secolo, a cura di E. Castelnuovo (catal., Sarzana), Genova 1992, pp. 163-167, 171; C. Baracchini - M.T. Filieri, Le facciate, ibid., pp. 172-175; C. Baracchini - M.T. Filieri, La chiesa altomedievale, in La chiesa dei ss. Giovanni e Reparata in Lucca. Dagli scavi archeologici al restauro, a cura di G. Piancastelli Politi Nencini, Lucca 1992, pp. 79-97; V. Ascani, in Enc. dell'arte medievale, VII, Roma 1996, pp. 160-165 (con bibl.); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XV, pp. 273, 278; The Dictionary of art, XIII, pp. 813 s.