VERONA, Guido Abramo (Guido da Verona). – Secondo dei tre figli di Pio, ricco ebreo possidente di tenute agricole, e di Elvira Terni, anch’essa ebrea, nacque a Saliceto Panaro (Modena)
il 7 settembre 1881. Alla morte del padre nel 1889, la madre si risposò ed ebbe un’altra figlia.
Compì gli studi a Milano, presso il collegio Calchi Taeggi. Si diplomò giovanissimo e con ottimi voti sostenendo gli esami al liceo Parini e, iscritto alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Genova, si laureò a diciannove anni. Il 1° novembre 1900 si arruolò nel Genova cavalleria e fu aggregato al 4° Reggimento di stanza a Milano. Divenuto in breve tempo ufficiale, all’esordio nella vita militare, che presto abbandonò, unì quello nel mondo letterario, dando alle stampe un componimento poetico, la Commemorazione del fatto d’arme di Brichetto (Milano 1901), che rievocava un episodio eroico della storia del medesimo reggimento in cui era arruolato (Magrì, 2005, p. 18). Un nuovo componimento poetico (Canto civile, Milano 1902), e il primo romanzo (Immortaliamo la vita!, Milano 1904) gli procurarono una certa notorietà negli ambienti letterari. Quattro anni dopo giunse nelle librerie il romanzo che lo rese uno scrittore di successo: L’amore che torna (Milano 1908).
Probabilmente quando il volume era già in corso di stampa l’autore decise di cambiare il proprio cognome in «da Verona», forse per sottrarsi all’identificazione con la tradizione e la cultura di religione ebraica cui non sentiva di appartenere, o per fregiarsi di un patronimico aristocratico (Magrì, 2005, pp. 49 s.).
Nello stesso periodo conobbe Hélène Bonlavinzeff, una giovane cantante russa sposata con un ricco concittadino di cui si innamorò e che da quel momento gli restò accanto per tutta la vita (pp. 50 s.).
I romanzi pubblicati da Guido da Verona per i tipi di Baldini & Castoldi nel secondo decennio del Novecento, Colei che non si deve amare (Milano 1911), Il cavaliere dello spirito santo (Milano 1914), La donna che inventò l’amore (Milano 1915), ottennero notevoli tirature e il favore dei lettori.
Con uno stile estetizzante, una prosa ornata e venata di lirismo, tali opere trattano temi sentimentali e scabrosi: amori impossibili e proibiti, a volte incestuosi, con esiti drammatici per le vite dei protagonisti in ambientazioni insolite ed esotiche. Non riuscì a mettere d’accordo i critici che – a parte pochissimi benevoli giudizi (Serra, 1914, 1938; Hazard, 1918; Borgese, 1919) – videro in lui un epigono dannunziano in veste quasi pornografica, per le pagine che avevano nella sensualità e nell’erotismo la cifra più caratteristica, e un volgarizzatore di temi alti resi fruibili per il vasto pubblico.
Il suo successo fu considerato come una manifestazione di «pacchianeria nazionale» (Linati, 1943, 1982, p. 34), tuttavia gli procurò una discreta fortuna in diritti d’autore che gli consentì di condurre una vita agiata e di concedersi alla sue passioni: i cavalli, i cani, le automobili di lusso e il gioco nei casinò; «il viaggio e l’avventura, il gioco e la mondanità lo attraevano insaziabilmente» (cfr. Guido da Verona, 1920, p. 487). Per offrire una degna dimora all’amato cavallo Androclus, alla metà degli anni Venti acquistò a Intimiano nei pressi di Como una tenuta con un antico castello, che divenne la sua residenza, pur continuando a soggiornare spesso nei lussuosi alberghi del centro di Milano (Magrì, 2005, pp. 195 s.).
Nel 1916, dopo esser stato per un breve periodo richiamato alle armi all’inizio del primo conflitto mondiale, la pubblicazione di Mimì Bluette fiore del mio giardino rappresentò un successo senza pari e lo consacrò quale massimo esponente del romanzo sentimentale e trasgressivo.
Riproponendo uno schema narrativo rodato e con una cifra stilistica riconoscibile, ma al tempo stesso innovativa grazie all’introduzione di dialoghi e lunghe digressioni in francese, da Verona conquistò un’intera generazione: si stima che il romanzo raggiunse in pochi anni una tiratura superiore alle trecentomila copie (Giocondi, 2011). L’autore stesso affidò nelle pagine conclusive l’opera al pubblico, identificando i soldati al fronte come suoi lettori prediletti: «Bluette, porterai qualche musica nella trincea che non dorme [...]. Forse nei bivacchi di linea, su la piegata erba dei nomadi accampamenti, la notte, al lume delle torce, scioglierai, danzatrice, la tua meravigliosa treccia bionda. E sia perdonato, tra tanta guerra, quel tenue rumore di sciarpe che produce la tua levità [...]. Questo è ancora ciò che rimane, dietro le finestre chiuse, dopo i grandi cimiteri: un profumo di grembo femminile che farà continuare la vita [...] Affinché possa il mondo ricominciare ad uccidersi» (Mimì Bluette..., Firenze 1920, p. 331). La drammatica vicenda della giovane Mimì, prima prostituta, poi ballerina di successo e suicida per amore appassionò i lettori, tanto che ancora nel 1930 Mimì Bluette fu l’unico romanzo riconducibile ai generi di successo a essere annoverato fra i Cento libri più belli della letteratura contemporanea, dopo un referendum tra i lettori della rivista L’Italia letteraria (II, 1° giugno e 2 novembre).
Nel 1920 l’editore fiorentino Bemporad concluse un accordo con lo scrittore per la pubblicazione di nuovi romanzi e la ristampa dei vecchi per una cifra considerevole (O. Vergani, La spina nel cuore di Guido da Verona, in Corriere d’informazione, 8-9 aprile 1949) e contemporaneamente pubblicò Sciogli la treccia, Maria Maddalena (Firenze 1920): la commistione di sacro e profano in una storia sentimentale, sensuale ed erotica, ambientata a Lourdes, non poteva lasciare indifferente la Chiesa cattolica che il 21 aprile mise all’Indice l’intera opera dello scrittore (Magrì, 2005, pp. 119 ss.; M. Novelli, Le sartine di Guido. Otto lezioni sulla modernità letteraria, in Guido da Verona e il suo archivio..., Roma 2011, pp. 85 s.). Da Verona rispose a critici e detrattori con la Lettera d’amore alle sartine d’Italia (Milano 1924), volume edito da Bottega di Poesia in cui immaginava di rivolgersi al destinatario privilegiato della propria narrativa – le sartine appunto – per esprimere il suo concetto di modernità letteraria. L’acceso dibattito che seguì all’uscita del libro condusse addirittura a due sfide a duello che lo videro coinvolto (Due vertenze cavalleresche di Guido da Verona, in Corriere della sera, 15 marzo 1924).
Alla metà degli anni Venti risalgono i primi contatti con alcuni imprenditori cinematografici. La cessione dei diritti di alcuni romanzi non fu tuttavia fortunata, anzi ebbe conseguenze giudiziarie, con reciproche accuse di inadempienza, che si protrassero anche oltre la sua morte coinvolgendo gli eredi.
Mentre l’autore era in vita fu tratto un film da Cléo robes et manteaux: romanzo pochade (Firenze 1926), realizzato dalla Caesar di Giuseppe Barattolo senza tuttavia che lo scrittore avesse ceduto i diritti, tanto che la pellicola giunse nelle sale nel 1936 dopo una controversia in tribunale (La vertenza per le pellicole tratte dai romanzi di Da Verona, in Corriere della sera, 16 giugno 1936). Soltanto nel 1956 fu tratto un film da La donna che inventò l’amore e nel 1976 fu realizzata la pellicola che lo scrittore aveva maggiormente atteso: Mimì Bluette, con Monica Vitti nel ruolo della protagonista (v., in particolare, R. De Berti, Guido da Verona e il cinematografo, in Guido da Verona e il suo archivio..., cit., pp. 35-52).
Nel 1925 si iscrisse al Partito nazionale fascista (PNF) e fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti. Ne è testimonianza una nota dattiloscritta di Benito Mussolini in cui il capo del governo esorta il prefetto di Milano a manifestare il proprio compiacimento allo scrittore (Roma, Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce, Carteggio ordinario, f. 209.651: Guido da Verona, nota n. 28540 del 23 novembre 1925). Pochi giorni dopo da Verona descrive il proprio sentimento verso il regime: «tutte le volte che ho potuto ho recato al Fascismo, ed al suo grande condottiero, il modesto contributo della mia opera, della mia parola, ma sopra tutto della mia cieca fede in questa Idea veramente universale, che la prima volta innamora il mio spirito di attento e scettico osservatore delle cose umane» (ibid., lettera autografa a Mussolini del 28 novembre 1925).
Pur trattando temi e vicende in contrasto con i valori espressi dal regime, i romanzi di Guido da Verona continuarono a incontrare negli anni Venti il gradimento dei lettori. Nel 1928 per sua iniziativa si costituì a Milano il gruppo degli artisti fascisti con lo scopo di promuovere arte e cultura (cfr. Corriere della sera, 7 aprile 1929). Sul finire del 1929 l’autore pubblicò un’opera originale e diversa rispetto alle precedenti: una parodia, o piuttosto una riscrittura dei Promessi sposi.
Sulla copertina del volume edito dalla Unitas di Milano, sotto al titolo I promessi sposi di Alessandro Manzoni e Guido da Verona, comparivano i ritratti dei due scrittori. L’immagine della copertina, il titolo e il tono dissacrante dell’opera furono percepiti come irriverenti dagli eredi di Alessandro Manzoni, che si adoperarono per chiedere il diretto intervento del capo del governo affinché l’immagine dell’illustre avo venisse eliminata da un’opera «intessuta con le più volgari e abbominevoli frasi pornografiche» (Roma, Archivio centrale dello Stato, Segreteria..., cit., Enrico Manzoni: lettera del 31 dicembre 1929 ad Alessandro Chiavolini). Vittoria Brambilla Manzoni, per intercessione del senatore Giuseppe De Capitani D’Arzago, si rivolse a Mussolini: «se un autore estero di un nostro libro avesse fatto un simile scempio, infiniti sarebbero i biasimi del pubblico e dei giornali e perché dobbiamo noi tollerare la sfrontatezza di una tale profanazione fatta da un italiano? Questo non può essere nell’Italia rinnovata dal Duce» (ibid., lettera del 15 gennaio 1930). Nei medesimi giorni, alcuni studenti organizzarono manifestazioni di protesta davanti alle librerie in diverse città e il 21 gennaio il prefetto di Milano segnalò al ministero dell’Interno che lo scrittore era stato avvicinato e aggredito da due giovani (ibid., telegramma n. 3443 del 21 gennaio 1930). Poiché le polemiche non si placarono, le manifestazioni continuarono e della vicenda iniziarono a occuparsi i giornali, oltre che la Chiesa cattolica (Bonsaver, 2013, p. 62), mentre il capo di gabinetto del ministero dell’Interno comunicò che per volontà espressa di Mussolini l’editore dovesse ritirare l’opera dal commercio (Roma, Archivio centrale dello Stato, Segreteria..., cit., nota dell’8 febbraio 1930, n. prot. 159 indirizzata al prefetto di Milano e per conoscenza a tutte le Prefetture).
Pochi mesi dopo, l’8 maggio 1931, Guido da Verona riuscì a ottenere un’udienza privata con Mussolini cui portò in dono La canzone di sempre e di mai appena edita a Milano. Gli episodi legati alla parodia manzoniana segnarono, tuttavia, una cesura nella vita dello scrittore e, all’inizio degli anni Trenta, la sua vena parve essersi esaurita. Nonostante fosse nelle librerie con ben quattro titoli nel 1932, i suoi romanzi non furono più in grado di suscitare il medesimo interesse nei lettori.
Alla promulgazione delle leggi razziali, l’attività della commissione per la bonifica libraria istituita presso il ministero della Cultura popolare colpì anche Guido da Verona. I lavori della commissione, orientati a epurare la letteratura italiana dalla produzione intellettuale ebraica, ma più in generale a definire i criteri della rivoluzione di mentalità che avrebbe dovuto condurre alla rinnovata arte del fascismo, si rivolse in maniera diretta contro gli autori che avevano ottenuto grandi fortune trattando temi non più tollerabili nell’Italia rigenerata dal regime. In una relazione sull’attività della commissione erano contenute le disposizioni riguardanti tre autori di successo accomunati dall’origine ebraica: Pitigrilli, Sem Benelli e Guido da Verona, per il quale era indicato un elenco di opere di cui era vietata la circolazione. Tra queste non compariva, per esempio, Mimì Bluette (Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Cultura popolare, Gabinetto, b. 56: La produzione libraria italiana e straniera tradotta in italiano).
Colpito dai provvedimenti del regime, incapace di riconquistare l’interesse dei lettori da cui era ormai distante, indebolito da una lunga malattia e segnato dagli insuccessi, Guido da Verona morì il 4 aprile 1939 a Milano.
Alcuni studiosi hanno dato per certa la sua morte per suicidio (Piromalli, 1975; Arslan, 1986; Giocondi, 2011), circostanza di cui tuttavia non vi è testimonianza nelle cronache, né nei ricordi dei contemporanei che lo conobbero e lo frequentarono (Magrì, 2005; Tiozzo, 2009). Il 5 aprile, ai giornali giunse da Roma «l’ordine di non dedicare alla sua morte più di dieci righe» (O. Vergani, La spina nel cuore..., cit.; Id., Il papà di Mimì Bluette, in Corriere della sera, 25 giugno 1958).
Opere. Tra le opere non citate nel testo si ricordino almeno: Bianco amore, Milano 1907; Con tutte le vele, Milano 1910; La vita comincia domani, Milano 1913; Il libro del mio sogno errante, Milano 1919; La mia vita in un raggio di sole, Firenze 1922; Una rosa, Firenze 1923; Yvelise, Milano 1923; L’inferno degli uomini vivi, Firenze 1926; Azyadèh, la donna pallida, Milano 1927; Mata Hari. La danza davanti alla ghigliottina, Milano 1927; Un’avventura d’amore a Teheran, Firenze 1928; L’assassinio dell’albero antico, Milano 1931; Il pazzo di Candalaor, Milano 1932; Viaggio alla Mecca, Milano 1932; Sarah dagli occhi di smeraldo, Milano 1932; Il trattato sulle possibilità impossibili con l’arte di vincere al giuoco, Milano 1934; Patire fino alla sete, a cura di T. Scappaticci, Cosenza 2004.
Fonti e Bibl.: Le carte di Guido da Verona sono conservate nel fondo a lui intitolato presso l’Università Statale di Milano, Archivi della parola, dell’immagine e della comunicazione editoriale (APICE); Roma, Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce, Carteggio ordinario; f. 209.651: G. da V.; Ministero della Cultura popolare, Gabinetto, b. 56: La produzione libraria italiana e straniera tradotta in italiano; Archivio storico del quotidiano La Stampa (www.lastampa.it) e del Corriere della sera (www.corriere.it).
R. Serra, Le Lettere (1914), in Scritti di Renato Serra, a cura di G. De Robertis - A. Grilli, Firenze 1938, ad ind.; P. Hazard, Un romancier italien G. Da V., in Revue de deux mondes, LXXXVIII (1918), 46, pp. 206-217; I. Bianchi, G. Da V., Milano 1919; G.A. Borgese, I libri del giorno, G. da V., in La Tribuna, 15 aprile 1919; G. da V., in Almanacco italiano, Firenze 1920; C. Linati, Il bel Guido (1943), in Id., Il bel Guido e altri ritratti, Milano 1982, pp. 28-44; U. Eco, Le perle false di da V., in Id., Il costume di casa. Evidenze e misteri dell’ideologia italiana, Milano 1973; A. Piromalli, G. da V., Napoli 1975; M. Giocondi, Lettori in camicia nera: narrativa di successo nell’Italia fascista, Messina 1978; G. De Donato - V. Gazzola Stacchini, I best seller del ventennio, Roma 1981, ad ind.; A. Arslan, G. da V. e la letteratura di consumo tra Ottocento e Novecento, in Dizionario critico della letteratura italiana, diretto da V. Branca, Torino 1986, ad nomen; E. Magrì, G. da V. l’ebreo fascista, Cosenza 2005; E. Tiozzo, G. da V. romanziere. Il contesto politico-letterario, i temi, il destino, Roma 2009; M. Giocondi, I best seller italiani. 1861-1946, Firenze 2011; G. da V. e il suo archivio. Interpretazioni e riletture, a cura di S. Morgana - G. Sergio, Roma 2011; G. Bonsaver, Mussolini censore. Storie di letteratura, dissenso e ipocrisia, Roma-Bari 2013, ad indicem.