TRENTINI, Guido Alberto
Nacque il 9 ottobre 1889 a Verona, figlio di Attilio e di Blandina Beghini. Di tre anni più grande era il fratello Eligio, e sarebbero poi nati Attilio nel 1896 (morto a soli tre anni), Ada nel 1901, Alfa nel 1904 e Nurdio nel 1907. L’attività di decoratore del padre, nato nel 1857 a Sarginesco in provincia di Mantova e trasferitosi a Verona nel 1885 dopo una formazione tra Monaco e Milano, si andava affermando tra gli anni Ottanta e Novanta. Nel 1894 Attilio iniziò a partecipare alle esposizioni biennali della veronese Società belle arti, e venne inizialmente notato dalla stampa locale per i suoi disegni di decorazione, che dall’eclettismo avanzavano verso i modelli simbolisti e art nouveau d’Oltralpe. Il primato raggiunto in città si intuisce, da un lato, dai costanti invii di ‘schizzi d’arte decorativa moderna’, ‘cartoline’ e ‘allegorie’ alle biennali cittadine presso la sala della Gran Guardia; dall’altro, dai numerosi incarichi di decorazione ecclesiastica (nel 1897 si aggiudicò con Giovanni Bevilacqua il restauro della parrocchiale di Calliano), privata e pubblica, per esempio in alcune sale del Museo civico di Palazzo Pompei (1908).
L’ambiente della bottega dei Trentini radunò entro il primo decennio del secolo un cenacolo di artisti e intellettuali di punta della città, da Lionello Fiumi a Sem Benelli, a Filippo Nereo Vignola, al filosofo Giuseppe Rensi, ai musicisti Vittorio Gui e Riccardo Zandonai. In questo stimolante milieu, e grazie alla cospicua informazione del padre sull’arte decorativa moderna, Guido fu introdotto precocemente a un’apertura internazionale. Altrettanto aperto al postimpressionismo europeo risultò l’insegnamento pittorico di Alfredo Savini e Baldassare Longoni presso l’avita Accademia Cignaroli: Guido vi risulta immatricolato dall’anno scolastico 1901-02, passando da allievo dilettante a ‘effettivo’ nel 1902 e diplomandosi nell’anno scolastico 1906-07.
Tra il marzo e l’aprile del 1906, appena sedicenne, Guido esordì alla Biennale veronese, con due ‘impressioni’ (Nel Cadore e In riva all’Adige) che inaugurarono una prima produzione paesistica, tutta concentrata – stando alle generose recensioni – sulla ‘percettività visiva’ degli effetti luminosi: così per il paesaggio (Sul Baldo) inviato nel 1908 insieme a due quadri del padre, e per quattro vedute esposte nel 1910. Commentando queste ultime a marzo, il critico del quotidiano L’Arena Pirro Bessi riferì che Guido era stato ammesso, eccezionalmente giovane, alla nona Esposizione internazionale di Venezia. I due dipinti inviati in laguna (Ritratto di giovane uomo e Ritratto di signorina, non identificati) segnalavano il passaggio di Trentini al genere maggiore del ritratto: allo stesso 1910 e al 1911 sono datati infatti i due ritratti di Teresa Madinelli e del marito, il chirurgo Antonio Veronesi, che furono amici di famiglia e suoi primi committenti.
L’interesse comune per una ritrattistica à la page, orientata sui fortunatissimi esempi dello spagnolo Antonio de la Gandara e di John Lavery, dovette inoltre stimolare proprio a Venezia il primo incontro di Trentini con il giovane Felice Casorati, allora domiciliato a Napoli. Quest’ultimo esponeva Le ereditiere, un quadro di saputa sontuosità di stesure, nelle medesime Sale della gioventù inter-regionale in cui si trovavano le opere dell’altrettanto «fluido ed elegante» Trentini (per tutti i commenti della stampa veronese citati sinora, cfr. Meneghello, 1981, pp. 85 s.).
Una volta trasferitosi a Verona nel 1911, Casorati si legò così proprio alla famiglia Trentini: una profonda amicizia nacque con Guido, di sei anni più giovane, e con le opere dell’anziano Attilio sono evidenti scambi già dal 1912; molte committenze cittadine, inoltre, dai ritratti dei coniugi Apollonio a quello dell’oculista Balilla Cinali, agli stessi coniugi Veronesi-Madinelli, giunsero inoltre a Casorati entro il circolo del Trentini. Ada Trentini, infine, è riconoscibile in importanti opere casoratiane di tutto il periodo veronese (fra tutte, Bambina, inviata alla Biennale del 1912 e acquistata dai Musei reali di Bruxelles, e la terracotta Ada, esposta alla Secessione romana del 1915).
Alla Biennale veneziana del 1912 si poté avvertire per la prima volta l’identità di un giovane gruppo veronese. Nella stessa rassegna, un’ampia mostra personale era dedicata all’ultimo grande maestro ottocentesco della città, Angelo Dall’Oca Bianca: un’aria di svecchiamento generazionale fu suggerita allora da Trentini, Giuseppe Zancolli, Ettore Beraldini, Eugenio Prati, Ise Lebrecht. Grazie alle 2.500 lire stanziate dalla Cassa di risparmio di Verona, fu acquistata l’opera di Trentini, descritta da Ugo Ojetti come «un ritratto di giovinetta semplice largo e tutto chiaro intorno a quei due occhi celesti» (La decima Esposizione d’arte, 1912, p. 26).
Dei giovani veronesi, proprio Ojetti notò acutamente la comune «sapienza di modellazione a larghe pennellate squadrate che rammenta qualche pittore della Secessione monachina» (alludendo, per esempio, a Wilhelm Trübner o a Leo Putz), e segnalò sulla stampa nazionale il vivace cenacolo immortalato goliardicamente nel dipinto di Zancolli La triade e la modella, in cui erano ritratti con l’autore anche Beraldini e proprio Guido Trentini (ibid.).
Nel 1913 lo stesso gruppo veronese, che fino al 1916 si riunì presso l’albergo Accademia dei fratelli Masprone nella goliardica Accademia Montebaldina (Tommasi, 1986, p. 91), si presentò «compatto, organico, moderno» all’Esposizione nazionale di Napoli (Meneghello, 1981, p. 88). Casorati era membro del Comitato centrale e segretario del sottocomitato locale, e curò anche la decorazione della sala con un fregio dipinto insieme a Zancolli con il profilo di Verona. Trentini espose sicuramente il Ritratto di uomo con mantello nero (Guido Trentini e il suo tempo, 1981, p. 21, n. 11; l’opera è riconoscibile in una fotografia di sala pubblicata in Bertolino - Poli, 1994) e una Bambina dormiente, «una bella visione di grigi e di rosa», forse da identificare con l’opera del 1912 (Meneghello, 1981, p. 88; Guido Trentini e il suo tempo, 1981, p. 24, n. 15).
La pittura di Trentini tra il 1912 e il 1914 seguì un dialogo serrato con Casorati: le soluzioni di quest’ultimo, in continuo avanzamento tecnico e stilistico, furono meditate dall’amico a breve distanza di mesi ma puntualmente, fino a determinare una decisa svolta stilistica in direzione secessionista.
Un’opera chiave dell’avvio di questa fase è Ragazza in rosa stesa a dormire sul divano (ibid., 1981, p. 25, n. 16): in questo fine ritratto di Ada, Trentini confermava ancora le convenzioni alla Lavery nell’effetto specchiato del parquet e nello sprezzo virtuosistico delle pennellate, ma la posa rivelò una prima messa alla prova delle composizioni più ardite di Klimt, in particolare delle Wasserschlangen II del 1904, viste alla Biennale di Venezia nel 1910. Tali opere avevano scioccato la maggior parte dei giovani pittori italiani anche all’Esposizione universale del 1911, nel padiglione progettato da Joseph Hoffmann, che dovette colpire certamente Attilio Trentini. L’arte applicata era una chiave determinante per l’importazione del linguaggio secessionista in Italia, e non stupiscono le prove di Guido in questo campo, quali la cosiddetta Fanciulla sommersa, una testiera di letto del 1914 che fa interagire astrazione decorativa e figura in un modo dichiaratamente klimtiano, o un paravento del 1915. Trentini seguì Casorati anche nella sperimentazione tecnica della tempera su tela, che sosteneva la nuova ricerca sul valore tonale del colore.
Questo laboratorio veronese di secessionismo e meditazioni klimtiane si affacciò alla Biennale veneziana del 1914. Nella sala 9, Casorati dominava con il monumentale e simbolista Trasfigurazione; a fianco di Zancolli e Beraldini, ma anche di Maurice Denis, Trentini espose Le perle del lago, un’aperta parafrasi delle Signorine di Casorati, acquistate alla Biennale del 1912 dalla Galleria di Ca’ Pesaro. A parte il raffinato giapponismo e i dettagli di moda accattivanti e modernissimi, come le precoci acconciature à la garçonne, la dialettica con il dipinto casoratiano di due anni prima si acuiva nella nuova autonomia timbrica dei colori, come il rosso corallo, e nell’ostentata artificialità della veduta lacustre dello sfondo.
Tale filone di ricerca cromatica e decorativa culminò nelle variazioni della celebre Pianta rossa o Albero rosso, di cui la letteratura ha sempre indicato la curiosa origine da un quadretto del padre Attilio, con la veduta di un nespolo in autunno (Casotto, 2007, pp. 164-165). Un esemplare della serie fu voluto, insieme a una Composizione non identificata, da Casorati nella sua sala personale alla mostra della Secessione romana del 1915: l’integrazione di Trentini nell’ensemble pittorico e scultoreo casoratiano segnò un connubio di intenzioni, che portavano la decorazione e l’accordo del colore a un’autonomia quasi astratta, suggerita dai titoli musicali quali Scherzo o Composizione.
Trentini si era intanto arruolato nel corpo di aviazione: in qualità di osservatore a bordo degli aereomobili da ricognizione, realizzava disegni atti a individuare le postazioni nemiche. Nell’ultimo anno di guerra, fu insieme al padre tra gli animatori delle tre mostre veronesi della Pro Assistenza civica alla Gran Guardia. Ad aprile inviò un Ritratto della sorellina salutato come «apprezzabilissima ricerca di liberazione da ogni chiuso canone stilizzatore» (Meneghello, 1981, p. 88), e un nucleo di opere di paesaggio (L’albero rosso del 1915, La fontana, Studio di ottobre, Silenzio, che fu inviato anche alla mostra di luglio, Acque morte, Colline veronesi, La casa grigia, Nevicata, Lago, Ottobre, Teatro romano sotto la neve del 1916), che avvertirono del superamento della sintesi decorativa verso una pittura sottilmente tonale giocata su tinte brune e un sobrio naturalismo. Alla terza mostra di ottobre, Trentini inviò L’Adige dal mio studio, realizzato dal suo atelier collocato accanto a quello di Angelo Zamboni a fianco del Teatro romano; Controluce primaverile, già di proprietà del poeta Fiumi; Bambina dormiente; e Colline veronesi.
Casorati, intanto, in seguito allo scandalo del suicidio del padre avvenuto il 14 settembre 1917 e alla smobilitazione, si trasferì con la famiglia a Torino tra il 1918 e il 1919. Il difficile inserimento nel contesto artistico torinese si avvalse ancora per tutto il 1919 dell’alleanza con i veronesi: una prima occasione fu l’esposizione delle Tre Venezie ospitata nel novembre 1918 al Circolo degli artisti di Torino, cui Trentini inviò due Colline veronesi e Giardino. Incaricato poi di organizzare la sala veronese all’Esposizione nazionale prevista per l’autunno del 1919, Casorati descrisse a Fiumi l’accoglienza perplessa dei veronesi: «Le opere mie, di Prati, di Rossi (bellissime), di Trentini e Zamboni destano lo scandalo più rumoroso in seno alla giuria!» (Verona, Biblioteca civica, Centro studi internazionale Lionello Fiumi, Carteggi, Casorati, Felice, lettera a Fiumi, 18 settembre 1919, già in Bologna, 2015, pp. 11 s.). Trentini inviò all’importante mostra cinque paesaggi (Primavera, Paesaggio, Albero in fiore, Colline veronesi, Paesaggio estivo) e un ritratto della fidanzata, Teresa, commentati così da Raffaele Calzini: «Trentini per tutt’altra strada riduce il paesaggio ad una espressione cubistica a colori puri che si sovrappongono e si intagliano» (Calzini, 1919, p. 274). Tramite Casorati, Trentini conobbe inoltre il vivace gruppo di veneziani raccolti intorno alle mostre di Ca’ Pesaro, cui egli partecipò nel 1919 (Paesaggio, Ritratto), mentre nel 1920 inviò due opere (Paesaggio, Case) alla mostra dei dissidenti presso la galleria Geri Boralevi.
Nel primo dopoguerra i contatti con Casorati rimasero dunque saldi, anche stilisticamente: il sintetismo di Trentini tese alla monocromia e alla deformazione drammatica delle figure, sull’esempio di quadri cruciali quali Maria Anna de Lisi, del 1918. Dalle grandi tempere dipinte da Casorati nel 1919 Trentini derivò soprattutto la chiave domestica e intimista per raccontare la tragedia della guerra: morto il padre Attilio all’inizio del 1919, le figure famigliari della madre, delle sorelle e della moglie Teresa diventarono i soggetti di numerosi quadri d’interni. Tra di essi le tempere di grandi dimensioni Età e Dipartita, con cui egli ricomparve alla Biennale di Venezia nel 1920, e La panca, esposta a Verona nel 1921.
L’appuntamento della Biennale veneziana scandì l’attività di Trentini per tutti gli anni Venti e Trenta. Nel 1922, quando fu chiamato anche a far parte della giuria di accettazione per la sottosezione veronese, il suo grande formato Lettura vinse il primo premio Marini Missana (a pari merito con La benedizione dei morti del mare di Lorenzo Viani), segnando così il culmine della sua carriera. Il quadro, inviato poi alla mostra Art Italien presso il Cercle Artistique di Bruxelles nel 1924 e acquistato per i Musei reali del Belgio, inscenava una pausa dal lavoro di alcune contadine, e nella figura che regge il libro si riconosce la sorella Ada. Nelle «forme solide, ben squadrate, quelle risorse di forza brusca e intatta», ottenute con lo studio grafico a parte di ciascuna figura, Francesco Sapori (1922, p. 10) riconobbe le fonti museali della nuova produzione di Trentini, in particolare Piero della Francesca. Pierfrancescani erano pure, secondo Pino Tedeschi (1922, p. 221), i due paesaggi (Case e Ruderi) presentati alla Primaverile fiorentina nello stesso anno: «il problema centrale che oggi preoccupa il Trentini non è più né quello puramente coloristico, né quello, di moda più recente, della solidità spaziale ma la necessità di un’intima fusione dei due elementi forma-colore nel tono come continuazione e rinnovamento della interrotta tradizione pittorica veronese».
L’ascrizione precoce alla pittura ‘neoclassica’ assicurò a Trentini il successo alla Biennale del 1924, quando dominarono autori a lui vicini come Casorati e Ubaldo Oppi. Le due opere inviate, Clara e Figura, risultavano come i quadri italiani più vicini alla coeva Nuova Oggettività tedesca, insieme alle opere d’esordio di Cagnaccio di San Pietro. Per Ugo Nebbia (1924, p. 42), «il nudo femminile, cioè, che intitola Clara, appare d’una crudezza analitica, sia nell’intento, sia nel resultato, da doversi considerare piuttosto come ricerca spietata della realtà». Alla fine del 1924, Ojetti invitò Trentini a una rassegna altrettanto decisiva per il ritorno all’ordine italiano, l’Esposizione di venti artisti italiani alla Galleria Pesaro, e nel catalogo illustrò La gemma, un’immagine di Ada ritratta nell’azione sospesa di osservare un grappolo d’uva. Questo capolavoro del realismo magico italiano fu riproposto col titolo Figura alla Biennale del 1926, insieme a un Ritratto di giovinetta e a L’annunciazione della primavera: una sacra conversazione tra le due sorelle Alfa e Ada, che innaffiano alcune piante, nello stesso interno di Clara (probabilmente l’atelier del pittore).
Insieme ad Antonio Nardi, Trentini fu incaricato dell’insegnamento della pittura presso l’Accademia Cignaroli in corrispondenza della morte del direttore Savini, avvenuta alla fine del 1924. Tra i suoi allievi fu Renato Birolli, fino al 1926-27. Molto apprezzato come insegnante, quando nel 1926 s’istituì il liceo artistico nella stessa sede dell’Accademia, Trentini vi insegnò agli ultimi corsi. Sebbene nel 1926 declinasse l’invito a partecipare alla Prima mostra del Novecento italiano, l’indirizzo stilistico perseguito nella seconda metà degli anni Venti dimostrò la piena compatibilità con il programma sarfattiano di arte nazionale, e nel 1929 egli inviò alla seconda esposizione uno Studio di nudo. Il grande nudo esposto alla Biennale del 1928 raggiunse una magniloquenza accademica, che Trentini avrebbe conservato per i successivi invii alle esposizioni nazionali: in opere come Contadini (1930) e Donne al mare (inviate in laguna nel 1932) sono chiari i riferimenti alla contemporanea plasticità chiaroscurale di Sironi e Carrà. Come emblema di ricerca classica e ‘italiana’, la sua Composizione di figure esposta a Venezia nel 1930 venne riprodotta nel numero del 5 agosto di quell’anno della rivista parigina Comoedia. Con questo profilo accademico, Trentini partecipò alle tre edizioni della Quadriennale romana e alle biennali veneziane fino al 1936, e poi nel 1948 e nel 1950. Nel 1933 a Trentini (per il dipinto Due ballerine fustigate dall’Austria) e a Pino Casarini fu assegnato ex aequo il premio di 40.000 lire del concorso Bovio dell'Accademia di Verona.
Dopo aver subito un’operazione importante nel 1943, il pittore si trasferì a Milano, dove la sua abitazione fu coinvolta in un’esplosione accidentale nell’ottobre del 1946. In un momento critico per l’economia artistica nazionale, Trentini cercava un nuovo mercato nelle gallerie private e tenne varie personali al Circolo abruzzese nel 1947, alla galleria Bergamini nella primavera del 1951, alla galleria Gavioli nel 1950, alla Famiglia Abruzzese-Marchigiana-Molisana alla fine del 1950. Rientrato a Verona dalla metà degli anni Cinquanta, la sua ricerca pittorica sperimentò da ultimo nuove accensioni cromatiche e un linearismo sintetico debitori di un ripensamento della pittura moderna francese, tra Picasso e Modigliani. Era già avviata la riscoperta e la storicizzazione della sua prima produzione, a partire dalla mostra del 1971 Verona Anni Venti ideata da Licisco Magagnato, quando egli morì il 30 novembre 1975.
La decima Esposizione d’arte a Venezia. 1912, a cura di U. Ojetti, Bergamo 1912, p. 26; R. Calzini, L’Esposizione nazionale di Torino, in Emporium, L (1919), pp. 266-274; F. Sapori, La XIII Esposizione internazionale d’arte di Venezia. Gli italiani, ibid., LVI (1922), pp. 3-20; P. Tedeschi, T., G., in La Fiorentina Primaverile. Catalogo, Firenze 1922, pp. 220-222; U. Nebbia, La quattordicesima Esposizione d’arte a Venezia, Bergamo 1924, p. 42; G. T., a cura di F. Ceriotto, Verona 1969; Verona anni Venti (catal.), a cura di L. Magagnato - G.P. Marchi, Verona 1971; G. T. e il suo tempo (catal.), a cura di M. Brognara Salazzari, Verona 1981; B. Meneghello, Il giudizio dei contemporanei: dalle cronache giornalistiche veronesi, 1894-1919: ricerca storica, ibid., pp. 85-90; A.C. Tommasi, Opere effimere di Casorati, in Felice Casorati a Verona (catal.), a cura di S. Marinelli, Milano 1986, pp. 91-93; M. Brognara Salazzari, Casorati e gli artisti veronesi, ibid., pp. 95-105; G.L. Verzellesi, G. T., in La pittura a Verona dal primo Ottocento a metà Novecento, II, Verona 1986, pp. 381-385; M. Brognara Salazzari, scheda, in Venezia: gli anni di Ca’ Pesaro (catal., Venezia), a cura di C. Alessandri, G. Romanelli, F. Scotton, Milano 1987, pp. 205-208; G. Bertolino - F. Poli, Catalogo generale delle opere di Felice Casorati, I, Torino 1994, p. 40; F. Arduini, G. T. e la stagione degli “alberi rossi”, in La stagione degli alberi rossi. G. T., 1912-1915 (catal.), a cura di M. Brognara - A. Conforti - C. Turco, Verona 1995, pp. n. nn.; L. Lorenzoni, in La pittura nel Veneto. Il Novecento. Dizionario degli artisti, a cura di N. Stringa, Milano 2009, pp. 458 s.; E. Casotto, schede 84-87, in La collezione d’arte della Fondazione Cariverona (catal.), a cura di S. Marinelli, Verona 2007, pp. 164-171; L. Lorenzoni, Osservazioni inedite sulla pittura a Verona tra Ottocento e Novecento, in Verona illustrata, XXVII (2014), pp. 91-99, 127; G. Bologna, Arte, critica, esposizioni: Felice Casorati e Lionello Fiumi con un’appendice di lettere inedite, 2015, https://www.academia.edu/14464355/Arte_critica_esposizioni_Felice_Casorati_e_Lionello_Fiumi.