ASTUTI, Guido
Nacque a Torino da Pietro e da Emilia Porta il 15 sett. 1910. Studiò diritto nella facoltà giuridica torinese, dove le lezioni di Luigi Einaudi e di Francesco Ruffini lo misero a contatto con le idee liberali e dove maturò un profondo interesse per lo studio della storia del diritto grazie all'insegnamento di Gino Segrè e di Federico Patetta. Sotto la guida di quest'ultimo si laureò il 13 luglio 1931.
Si dedicò allora con grande impegno a ricerche di storia del diritto intermedio. Nel 1933 pubblicò a Casale Monferrato la monografia Origini e svolgimento della commenda fino al sec. XII, lavoro di grande interesse non solo per la ricchezza delle fonti utilizzate, ma anche per il metodo seguito nella ricostruzione dell'istituto nelle varie fasi della sua evoluzione: la commenda, infatti, era studiata in costante collegamento con la realtà mercantile in cui operava, ma la sua disciplina formale veniva tenuta chiaramente distinta dal mondo economico sottostante. Nello stesso anno pubblicò a Torino i Rendiconti mercantili inediti del cartolare di Giovanni Scriba e l'anno seguente, sempre a Torino, Il libro dell'entrata e dell'uscita di una compagnia mercantile senese del secolo XIII: 1277-1282, due fonti di sicura importanza per la storia del diritto commerciale nel Medioevo.
Trasferitosi a Roma, conseguì nel 1933la libera docenza in storia del diritto italiano e nello stesso anno ottenne l'incarico di insegnamento della materia nell'università di Camerino. Negli anni successivi l'A. andò precisando i suoi interessi di studio e approfondendo le sue scelte di metodo. Particolarmente significativi sono, al riguardo, i lavori apparsi nel 1937, due saggi di storia del diritto privato e due studi sulla dottrina giuridica italiana del Cinquecento.
Il primo lavoro - Studipreliminari intorno alla promessa di pagamento. Il costituto di debito (edito in Annali della facoltà giuridica di Camerino, XI [1937], 2, pp. 81-250) - è uno studio esclusivamente romanistico. La ricerca - come l'A. espressamente dichiarava - era condotta secondo l'impostazione metodologica seguita e sostenuta dal Segrè, un'impostazione che si collegava alla grande tradizione pandettistica, vivificandola con la prospettiva storica e con gli apporti della ricerca filologica. L'A. individuava alcune fasi nell'evoluzione dell'istituto, corrispondenti a momenti diversi della vita economica e sociale del mondo romano; per ciascuna di esse ricostruiva l'istituto giuridico nei suoi aspetti formali quali erano elaborati dalla dottrina. Il medesimo impianto metodologico si ritrova nel secondo saggio, Pactum geminatum (pubblicato in Studi di storia e diritto in onore di E. Besta, I, pp. 219-263), nel quale l'A. individuava due distinti momenti nella storia dell'istituto nel Medioevo - il primo che arrivava sino al secolo XIII, il secondo che aveva inizio con il secolo XIV - e per ognuno proponeva la ricostruzione dogmatica del patto attraverso l'analisi del pensiero dei maggiori giuristi.
Le scelte metodologiche dell'A. appaiono di grande interesse. Esse avvenivano in un periodo in cui la storiografia giuridica italiana, almeno nei suoi più sensibili esponenti, andava abbandonando la fase della ricerca meramente erudita e delle discussioni sulle origini degli istituti medievali e cercava di dotare la disciplina di più salde basi culturali e metodologiche, nonché di una visione globale nuova e di maggior contenuto. Da parte di alcuni giovani studiosi - come F. Calasso - proprio in quegli anni era sostenuta la necessità di recepire la lezione crociana. Dal canto suo, invece, l'A. proponeva di seguire il metodo prevalente nelle ricerche di diritto romano, un metodo che nasceva dalla grande tradizione culturale di quegli studi e che avrebbe potuto conferire uguale dignità alla più recente disciplina della storia del diritto intermedio. Di tale presa di posizione si trova eco anche negli altri due lavori apparsi nel 1937, l'edizione dei De iuris interpretibus dialogi sex di Alberico Gentili (edita a Torino) e la monografia Mos italicus e mos gallicus nei dialoghi "De iuris interpretibus" di Alberico Gentili (pubblicata a Bologna). Con questi studi l'A. si poneva nel filone di ricerche caro al suo maestro Patetta; ma egli arricchiva il gusto per la ricostruzione filologica e per la dottrina giuridica del Rinascimento con contenuti nuovi ed originali. Lo studio del pensiero del Gentili - il quale nella polemica tra "culti" e "bartolisti" si era schierato decisamente per i secondi - offriva, infatti, all'A. l'occasione per sottolineare, quale costante del pensiero giuridico italiano, la ricostruzione dogmatico-formale degli istituti.
Nel 1937 l'A. vinse il concorso a cattedra di storia del diritto italiano e fu chiamato ad insegnare nell'università di Catania, ove rimase fino al 1941, quando passò all'ateneo di Parma. Negli stessi anni continuò le sue ricerche sul pensiero giuridico dell'età umanistica e rinascimentale (Di un'antica raccolta di questioni di diritto internazionale, in Annali della facoltà giuridica di Camerino, XII [1938], pp. 213-248; La giurisprudenza culta e l'interpretazione del Corpus iuris, Catania 1940), sufonti e problemi del diritto mercantile nel Medioevo (Breve Portus Kalleretani, in IlDiritto marittimo, XLI [1939], pp. 40-55; Note sulla collegantia veneta, in Studi di storia e diritto in onore di A. Solmi, Milano 1941, pp. 399-467) e sul costituto di debito nel diritto romano (Studi intorno alla promessa di pagamento. Il costituto di debito, Milano 1941). La sua produzione proseguì anche negli anni più difficili del periodo bellico: nel 1943 scrisse un saggio di grande interesse, La documentazione dei negozi giuridici come forma convenzionale o volontaria nella dottrina di diritto comune, in Studi giuridici dedicati dai discepoli alla memoria di G. Segrè, in Temi emiliana, XX, pp. 51-85, e nel 1944 pubblicò a Roma la traduzione della Storia arcana di Procopio di Cesarea.
Durante il secondo conflitto mondiale prestò servizio come ufficiale di artiglieria ad Anzio, presso Roma. E a Roma si rifugiò dopo l'8 sett. 1943 entrando in clandestinità e tenendo vivi contatti con gli antifascisti di ispirazione liberale. Con la liberazione di Roma ebbe inizio un periodo di intensa partecipazione alla rinnovata vita politica italiana. Aderì al Partito liberale italiano e nel febbraio 1945 fondò, insieme con Pio Fedele, il settimanale Meridiano che si avvalse della collaborazione di G. Capograssi, A. C. Jemolo, F. Lopez, G. Pugliese, G. Stolfi e di altre personalità del mondo accademico e politico romano. Dopo la liberazione dell'Italia settentrionale, l'A. intervenne alla prima riunione del comitato nazionale del partito liberale, svoltasi a Roma nel settembre 1945. E come rappresentante dei liberali egli entrò a far parte della commissione ministeriale, nominata dal ministro per la Costituente P. Nenni, incaricata di elaborare il testo della legge elettorale per l'Assemblea costituente.
All'interno della commissione, i cui lavori ebbero inizio il 1º sett. 1945, l'A. si fece sostenitore di un sistema elettorale che offrisse agli elettori la possibilità di esprimere in modo chiaro le loro scelte politiche di fondo e che, nel contempo, non mortificasse le loro indicazioni relative ai singoli candidati. Fu pertanto favorevole alla delibera della commissione di prendere come base dei propri lavori la legge elettorale del 1919 e quindi condivise la scelta di un sistema proporzionale, in ciò distinguendosi da una parte molto autorevole e consistente del partito liberale che sosteneva la necessità di ritornare al collegio uninominale. L'A., peraltro, propose l'individuazione di circoscrizioni elettorali ristrette, che garantissero la conoscenza dei candidati da parte del corpo elettorale, e l'abolizione - o, quanto meno, la riduzione - del cosiddetto "quorum d'efficienza", in base al quale i voti di preferenza potevano prevalere sull'ordine dei candidati fissato nella lista solo se raggiungevano una determinata percentuale dei voti complessivi ottenuti dalla lista medesima. L'A. sostenne ed argomentò tali proposte in numerosi articoli su giornali liberali - come L'Opinione e La Città libera - e in commissione si oppose alla maggioranza che fissò circoscrizioni elettorali regionali e un "quorum d'efficienza" di 1/5. Infine si schiero con coloro che chiedevano di trasformare in obbligo giuridico il diritto di voto, preoccupato che il risultato elettorale potesse essere falsato da un massiccio astensionismo provocato da atti intimidatori di minoranze faziose o determinato dalla lunga desuetudine al voto.
Poco dopo la conclusione dei lavori (27 ott. 1945), l'A. fu chiamato a far parte di un'altra commissione ministeriale, quella che aveva il compito di studiare la riorganizzazione dello Stato democratico e che operò dal 21 nov. 1945 al 30 giugno 1946, suddividendosi in quattro sottocommissioni. L'A. fece parte della prima, che si occupò del potere legislativo e che si espresse in favore del sistema bicamerale con interessanti proposte in merito alla seconda Camera.
Nello stesso periodo l'A. collaborò a vari giornali (Risorgimento liberale, L'Opinione, Il Giornale, Il Tempo di Milano, Il Globo) e fece parte del comitato di redazione della rivista La Città libera. La sua partecipazione alla vita politica italiana non si limitò, peraltro, ad un contributo di studio e di discussione, ma si espresse anche con l'assunzione di responsabilità all'interno del Partito liberale italiano. Fu, infatti, nominato vicesegretario nazionale del partito nel congresso di Roma del 30 aprile-3 maggio 1946 e venne confermato nell'incarico nel successivo congresso, svoltosi sempre a Roma alla fine del 1947.
Egli si adoperò per dotare il partito dell'indispensabile struttura organizzativa di cui era ancora carente; ma ottenne scarsi risultati non solo per le difficoltà finanziarie del partito stesso, ma anche, e soprattutto, per la tiepida accoglienza che il suo progetto trovò sia al centro sia in periferia. Sul piano politico generale, l'A. auspicava la formazione di un vasto schieramento conservatore, di cui il partito liberale avrebbe costituito il perno. Approvò, pertanto, l'adesione del partito all'Unione democratica nazionale nel 1946 e successivamente l'ingresso nel partito liberale del gruppo di monarchici guidati da E. Selvaggi. Nel contempo operò per attenuare la durezza della lotta interna al partito, lotta che nasceva non tanto da valutazioni politiche diverse, quanto da scontri e rivalità personali e che provocò in quel periodo l'allontanamento dal partito liberale di suoi prestigiosi esponenti.
Dopo i risultati poco brillanti ottenuti dai liberali nelle elezioni politiche del 18 apr. 1948 gli scontri interni si fecero ancora più aspri: nell'autunno l'intero ufficio di segreteria si dimise. L'A., dopo aver conservato per breve tempo un incarico nella direzione, lasciò il partito.
La decisione era maturata in lui anche per la crescente difficoltà di conciliare la militanza in un partito laico, schierato spesso su posizioni decisamente anticlericali, e la professione della fede cattolica. Il distacco dalla politica attiva divenne, poi, definitivo in seguito al trasferimento a Torino, ove l'A. era stato chiamato ad insegnare dal 1º nov. 1948. Continuò peraltro ad intervenire su problemi della vita nazionale con articoli su Il Globo, Il Tempo di Milano e Rinnovamento liberale, con i quali collaborò fino al 1950. Impegnato in una intensa attività professionale, l'A. venne chiamato nel 1949 dal ministro dell'Agricoltura A. Segni tra gli esperti giuridici per la formulazione ed attuazione del progetto di riforma fondiaria da questo promosso.
Si occupò di numerosi aspetti del regime giuridico della proprietà e in particolare si interessò di questioni connesse con la disciplina degli usi civici e delle acque. Difese le linee del progetto di riforma fondiaria con articoli (Glistrani destini del diritto di proprietà, in Cronache economiche, 20nov. 1949; Regioni e leggi fondiarie, in Il Quotidiano, 24 marzo 1950; Ciò che resta da vedere nel progetto di riforma agraria, in Il Tempo di Milano, 7apr. 1950; Il congegno degli scorpori nel progetto di riforma agraria, ibid., 15 apr. 1950; I limiti della proprietà, in Il Quotidiano, 16apr. 1950) ed interventi in convegni (si ricorda, ad esempio, quello organizzato a Roma, nel novembre 1952, dall'Unione giuristi cattolici: AA. VV., Libertà economica e proprietà fondiaria, in Quaderni di Iustitia, III, Roma 1953, pp. 29-82, 125-130). Successivamente divenne consulente dell'Ente Maremma e dell'Ente Fucino, istituiti per la realizzazione della riforma fondiaria, e dette alle stampe alcuni studi e pareri su questioni di particolare rilievo (L'uso civico di caccia in Val di Fiemme, in Il Foro padano, III [1951], pp.1-19; Note minime sulla proprietà fondiaria, in Civiltà italica, III [1952], pp. 1-20; Memoria dell'ente per la colonizzazione della Maremma tosco-laziale e del territorio del Fucino contro i comuni di Avezzano, Celano, Cerchio…, Roma 1954; Attuali possibilità del credito agrario a favore degli assegnatari di terreni nelle zone di riforma fondiaria, in Banca e credito agrario, III [1954], pp. 93-104; Aspetti e problemi del riordinamento degli usi civici in Italia, in Riv. di diritto agrario, XXXIII [1954], pp. 34-55; Vecchi feticci in tema di usi civici, in La Giurisprudenza italiana, CVI [1954], pp. 119-122; A proposito di vecchi feticci in tema di usi civici, in L'Italia agricola, XII [1955], pp. 3-7; Una curiosa polemica in tema di usi civici, in Riv. di diritto agrario, XXXV [1956], pp. 64-77).
L'intensa attività professionale non distolse, comunque, l'A. dagli studi di storia del diritto. Ne influenzò, probabilmente, il taglio metodologico che appare ora accentuare il rilievo della ricostruzione dogmatico-formale, mentre tende ad attenuarsi lo spazio dedicato all'indagine sul momento storico generale e sulla realtà concreta in cui operano gli istituti giuridici. L'A. - che nei primi anni del dopoguerra aveva pubblicato il saggio Un caso di conservazione del negozio nella dottrina del diritto comune, in Diritto e giurisprudenza, LXI (1946), pp. 161-183, ed era tornato sul tema delle fonti medievali con la relazione tenuta al congresso internazionale di diritto romano e storia del diritto, svoltosi a Verona nel settembre 1948, dal titolo L'edizione critica della Glossa accursiana (pubblicato, poi, negli Atti congressuali, Milano 1951, I, pp. 323-336) - dette alle stampe due lavori particolarmente significativi. Nel 1952 apparve a Milano il volume I contratti obbligatori nella storia del diritto italiano che costituisce il maggior contributo dell'A. agli studi di storia del diritto privato nell'età intermedia.
La ricerca prendeva in esame il periodo altomedievale e quindi, a differenza dei precedenti lavori dell'A. su istituti privatistici, non si basava sulla dottrina del diritto comune. L'A. divideva in varie fasi l'evoluzione della disciplina contrattuale e ricostruiva le figure negoziali con estrema nitidezza formale attraverso la soluzione di non facili questioni interpretative; di tali figure ricercava il significato sostanziale in riferimento alla natura dell'ordinamento giuridico in cui trovavano validità. In questo studio l'evoluzione della realtà sociale ed economica rimaneva in sottofondo, mentre nessuno spazio veniva lasciato a considerazioni diverse da quelle autenticamente giuridiche. Il lavoro, allora, entrava in polemica con l'altro indirizzo storiografico, quello di ispirazione crociana, che nello stesso periodo si andava interessando della materia contrattuale dell'alto Medioevo e che, al riguardo si era proposto soprattutto di ricercare le espressioni del principio spirituale della volontà negoziale delle parti contraenti in un ordinamento dominato dal formalismo.
La polemica con l'altra corrente storiografica proseguì anche con il secondo studio pubblicato dall'A. in quegli anni, Lezioni di storia del diritto italiano. Le fonti. Età romano-barbarica, Padova 1953. Mentre, infatti, quella considerava le fonti del diritto come "epilogo di un fatto storico" e si proponeva di leggere attraverso di esse l'evoluzione dell'ordinamento giuridico (così F. Calasso, Medioevo del diritto, I, Le Fonti, Milano 1954, pp. 4-24), l'A. attribuiva allo studio delle fonti un ruolo più limitato, seppur di grande rilievo.
Egli riteneva, infatti, che nell'ambito delle ricerche dirette alla ricostruzione dogmatico-formale degli istituti l'indagine sulle fonti doveva tendere ad individuare la storia esterna del testo, a proporne la formulazione esatta e l'eventuale stratificazione temporale, al fine di fornire allo storico i termini precisi in cui il testo medesimo poteva essere utilizzato. Pertanto il lavoro dell'A. presentava un quadro ricchissimo delle indagini filologiche sulle fonti giuridiche dell'alto Medioevo, del loro contenuto e del loro significato.
Negli anni successivi l'A. ribadì le sue scelte di metodo nel saggio Prospettive storiche del rapporto fra diritto ed economia, in Il Diritto dell'economia, I (1955), pp. 1053-1071. Tornò anche ad interessarsi della materia contrattualistica (Iprincipi fondamentali dei contratti nella storia del diritto italiano, in Ann. di storia del diritto, I [1957], pp. 13-41) e studiò problemi della storia della proprietà fondiaria (Aspetti del regime giuridico medievale della proprietà fondiaria e dei contratti agrari, in Dopo il primo convegno internazionale di diritto agrario, Milano 1958, pp. 65-82). Sioccupò anche di questioni di storia del diritto pubblico, un settore di studi che egli aveva affrontato nel 1937curando l'edizione dell'opera di G. D. Romagnosi, Della costituzione di una monarchia nazionale rappresentativa (edita a Roma) e che da allora aveva tralasciato, fino al 1951 quando aveva pubblicato il saggio Legislazione e riforme in Piemonte nei secoli XVI-XVIII, per la raccolta La monarchia piemontese nei secoli XVI-XVIII, edita a Roma a cura della Famija Piemonteisa. Nel 1957apparve a Torino il suo ampio studio Lezioni di storia del diritto italiano. La formazione dello Stato moderno in Italia che analizzava i principali aspetti della problematica connessa con la dialettica istituzionale tra giurisdizione del sovrano e giurisdizioni particolari quale si era sviluppata nei vari Stati italiani nel corso dell'età moderna. Uno studio ricco di spunti interpretativi originali, nel quale l'ordinamento giuridico era presentato come forma e, nel contempo, sostanza dell'organizzazione sociale, di modo che la sua comprensione diveniva il mezzo più idoneo per conoscere la complessa e articolata realtà storica.
Nel 1959 l'A, si trasferì di nuovo a Roma ove era stato chiamato ad insegnare nella Scuola speciale per archivisti e bibliotecari dell'università. La sua produzione scientifica proseguì con grande intensità.
Dei suoi studi sulle fonti giuridiche medievali si ricordano le numerose voci del Novissimo Digesto italiano (Brachilogo, II, pp. 563 s.; Capitolari, II, pp. 918-925; Consuetudine, IV, pp. 310-320; Formulari, VII, pp. 585-587; Lex Alemannorum, IX, p. 796; Lex Angliorum et Werinorum, IX, p. 797; Lex Baiuwariorum, IX, pp. 800 s.; Lex Francorum Chamavorum, IX, p. 807; Lex Frisonum, IX, p. 808; Lex Ripuaria, IX, p. 817; Lex Romana Burgundiorum, IX, pp. 817 s.; Lex Salica, IX, pp. 819 s.; Lex Saxonum, IX, p. 821; Lex Wisigothorum, IX, pp. 825 s.; Liber Papiensia, IX, pp. 828-830; Lombarda, IX, pp. 1068-1070), ilsaggio Problemi relativi alla formazione delle "Coustumes générales du Duché d'Aouste", in Atti del XXXI congresso storico subalpino, Aosta 1959, II, pp. 140-160, nonché le presentazioni alle edizioni anastatiche del Tractatus de fluminibus di Bartolo e della Lombarda con l'apparato di Carlo di Tocco (entrambe apparse a Torino nel 1964). Numerosi sono anche i suoi lavori di storia del diritto privato, quali il saggio La struttura della proprietà fondiaria. Aspetti e problemi storico-giuridici, in Riv. di diritto agrario, XXXIX (1960), pp. 45-71e le voci dell'Enciclopedia del diritto (Abitazione, I, pp. 91-94; Azione di arricchimento, III, pp. 52-64; Atti emulativi, IV, pp. 29-33; Captazione, VI, pp. 264-266; Cessione, VI, pp. 805-822; Compensazione, VIII, pp. 1-17; Contratto, IX, pp. 759-784; Cosa, XI, pp. 1-18; Dazione in pagamento, XI, pp. 727-734; Deposito, XII, pp. 212-236). Proseguì anche i suoi studi di storia del diritto pubblico: collaborò alla Storia del Piemonte con il saggio Gli ordinamenti giuridici degli Stati sabaudi (I, Torino 1960, pp. 485-562) e successivamente pubblicò il lavoro L'unificazione amministrativa del Regno d'Italia (in Atti del XL congresso di storia del Risorgimento, Roma 1963, pp. 93-182), nel quale affrontò in maniera organica la complessa problematica istituzionale del periodo postunitario. Si interessò, infine, di un settore di studi generalmente trascurato dalla storiografia giuridica, quello del regime delle acque: oltre alla voce Acque (introduzione storica generale. Acque private) dell'Enciclopedia del diritto, I, pp. 346-387, scrisse i saggi Il regime giuridico delle acque nel pensiero di G. D. Romagnosi, in Studi parmensi, X (1961), pp. 295-353 e La concezione romagnosiana della ragion civile delle acque, in Scritti in onore di A. C. Jemolo, Milano 1965, IV, pp. 15-45.
L'A. continuava, nello stesso tempo, ad interessarsi di problemi politici ed istituzionali, come attestano i suoi articoli Natura efunzione dei partiti politici, in Iustitia, IV (1958), pp. 347-371, Funzione dei partiti politici, in Cultura e scuola, V (1962), pp. 196-201 e I partiti politici nei vari paesi, ibid., VII (1963), pp. 202-208. Giudice delle appellazioni e delle nullità presso la Repubblica di San Marino dal 1956, fece parte del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione dal 1960 al 1963 e del Consiglio superiore degli archivi di Stato dal 1964 al 1973. Membro della faculté internationale de droit comparédi Strasburgo a partire dal 1962 e del consiglio scientifico dell'Institut für europäische Rechtsgeschichte di Francoforte dal 1965, fu chiamato, sempre nel 1965, alla cattedra di storia del diritto italiano della facoltà giuridica di Roma. Assunse anche la direzione della rivista Annali di storia del diritto.
I suoi interessi scientifici continuarono a rivolgersi alle fonti giuridiche medievali (La glossa accursiana, in Atti del convegno internazionale di studi accursiani, Milano 1968, II, pp. 287-379; Note critiche sul sistema delle fonti giuridiche nei regni romano-barbarici dell'Occidente, in Rend. dell'Accad. naz. dei Lincei, classe di scienze morali, stor. e filol., XXV [1970] pp. 319-348; Note sull'origine e attribuzione dell'Edictum Theodorici regis, in Studi in onore di E. Volterra, Milano 1971, V, pp. 647-686) e tornarono anche ad indirizzarsi verso la storia del diritto mercantile che l'A. aveva abbandonato dopo i primi studi (Le forme giuridiche dell'attività mercantile nel Libro dei conti di Giacomo Badoer [1436-1440], in Annali di storia del diritto, XII-XIII [1968-691, pp. 63-130; L'organizzazione giuridica del sistema coloniale e della navigazione mercantile nelle città italiane nel Medioevo, in Atti del II colloquio internazionale di storia marittima, Firenze 1970, pp. 57-89). Scrisse ancora sul regime giuridico delle acque (Problemi attuali di legislazione e amministrazione delle acque, in Cultura e scuola, XII [1969], pp. 166-175; La pianificazione delle riserve idriche,in "I problemi delle acque in Italia". Conferenza nazionale delle acque, Roma 1972, pp. 635-792; Problemi e distribuzione delle riserve idriche, in Atti delle tavole rotonde sui servizi pubblici, Padova 1972, pp. 115-126) ed intervenne su problemi politici di attualità (Posizioni di diritto e posizioni di fatto nell'esercizio del potere politico, in Iustitia, XX [1967], pp. 257-282).
Tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70 la posizione metodologica dell'A. sembra evolversi verso un'ulteriore accentuazione dell'autonomia del dato giuridico rispetto alla realtà politico-sociale. Nel saggio Il Code Napoléon in Italia e la sua influenza sui codici degli Stati italiani successori (in Atti del convegno "Napoleone e l'Italia". Roma, Accademia nazionale dei Lincei, 1969, Roma 1973, I, pp. 175-237) l'A. sostenne che il codice napoleonico deve considerarsi non già come prodotto di un particolare momento storico, frutto degli interessi di una singola classe sociale giunta al potere, bensì come punto di arrivo di una tradizione giuridica secolare, poiché si sostanziava di discipline elaborate dalla dottrina sin dal Medioevo. Queste idee vennero ribadite nell'intervento al congresso della Società di storia del diritto svoltosi a Firenze nell'aprile 1973 (La codificazione del diritto civile, pubblicato negli Atti congressuali, Firenze 1977, II, pp. 847-890).
L'A. respingeva con decisione la tesi che vedeva nel codice napoleonico il prodotto elaborato dalla borghesia per la difesa dei propri, esclusivi, interessi: a suo parere, il codice aveva liberato il diritto privato dalle sovrastrutture feudali e corporative del periodo precedente e, recuperando la tradizione civilistica romana nella sua purezza, aveva posto alla base della civiltà contemporanea i principi della libertà individuale e dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, principi che costituiscono i cardini della società odierna. La presa di posizione dell'A. era rivolta contro le correnti interpretative, affermatesi nella storiografia giuridica negli ultimi anni, che proponevano di leggere il dato giuridico soprattutto alla luce della realtà economico-sociale in cui quello nasce ed opera. Ma era diretta anche contro posizioni ideologiche, diffuse nel mondo politico ed intellettuale, che ritenevano inadeguato ai tempi il sistema civilistico italiano, erede diretto di quello napoleonico, e ne proponevano perciò profonde modifiche attraverso l'introduzione di nuove norme o mediante un'interpretazione più attuale di quelle vigenti.
Di tale scelta dell'A. si può trovare riscontro nella sua attività di giudice della Corte costituzionale, carica cui venne nominato con d.p.r. del 19 febbr. 1973. Nelle numerose sentenze di cui fu relatore appare, infatti, possibile cogliere una volontà di offrire un'interpretazione ancorata alla lettera della legge come garanzia del rispetto dell'ordinamento giuridico e dei principi che ne sono a fondamento; e di conseguenza si nota una certa diffidenza verso una lettura evolutiva delle norme, per il timore che questa, per aprirsi alle idee più di moda, possa far correre il rischio di incrinare la certezza del diritto e di ledere i principi di libertà ed uguaglianza su cui si basa l'ordinamento (in proposito si veda anche il suo intervento al convegno svoltosi presso l'università di Parma sulla Corte costituzionale nel maggio 1976: La Corte costituzionaletra norma giuridica e realtà sociale. Bilancio di vent'anni di attività, a cura di N. Occhiocupo, Padova 1984, pp. 271-273; nonché il suo intervento al convegno Il regime dei suoli nei paesi della Comunità europea, svoltosi a Torino nel 1980 e pubblicato negli Atti, editi nello stesso anno, pp. 1-11).
L'A. continuò ad impegnarsi in studi sulle fonti giuridiche (Legge, in Enciclopedia del diritto, XXIII, pp. 850-871; Influssi romanistici nelle fonti del diritto longobardo, in Settimane di studio del Centro italiano di studi sull'alto Medioevo. Spoleto 1974, XXII, Spoleto 1975, pp. 653-703), sul diritto privato (Obbligazioni, parte generale [diritto intermedio], in Enciclopedia del diritto, XXIX, pp. 78-133), e sulla storia istituzionale (Le colonie genovesi del Mar Nero e i loro ordinamenti giuridici, in Studi in memoria di F. Melis, I, Genova 1978, pp. 301-336). Si occupò, infine, del significato e della natura del sistema di diritto comune con due saggi (Recezione teorica e applicazione pratica del diritto romano nell'età del Rinascimento giuridico, in Atti del colloquio "Le droit romain et sa réception en Europe", Varsavia 1978, pp. 32-58, e Il contributo di G. Ermini agli studi di diritto comune, in Atti del convegno di studi "Il diritto comune e la tradizione giuridica europea" in onore di G. Ermini, Perugia 1980, pp. 1-24) nei quali sostenne che il diritto romano giustinianeo, in quanto sistema giuridico completo ed elaborato, costituì l'ossatura ed il fondamento di tutti gli ordinamenti che si affermarono in Occidente dalla fine dell'alto Medioevo alla codificazione napoleonica.
L'A. morì a Roma il 7 ott. 1980. Dal matrimonio con Elena Stocco aveva avuto due figlie, Giovanna e Alessandra. Fu socio nazionale dell'Accademia dei Lincei e socio di numerose altre accademie italiane e di deputazioni di storia patria regionali.
Fonti e Bibl.: Necrol.: M. A. Benedetto, in Boll. stor. bibl. subalpino, LXXIX (1981), pp. 315-326; M. Caravale, in Quaderni fiorentini, X (1981), pp. 531-549; C. Ghisalberti, in Annuario dell'univ. di Roma, a.a. 1980-81, pp. 847 s.; Id., in Quaderni catanesi di studi classici e medievali, III (1981), pp. 231-252; A. Marongiu, in Studi romani, XXIX (1981), pp. 63 s. Si veda inoltre: A. Ciani, Il Partito liberale italiano, Napoli 1968, ad Indicem; D. Novacco, Dalla paralisi fascista al rinnovamento democratico, in Storia del Parlamento italiano, XIII, Palermo 1969, p. 218; B. Paradisi, Apologia della storia giuridica, Bologna 1973, ad Indicem; E. Bettinelli, La formazione dell'ordinamento elettorale nel periodo precostituente, in La formazione della Repubblica. Dalla costituzione provvisoria all'Assemblea costituente, a cura di E. Cheli, Bologna 1979, ad Indicem; A. Quasi, Bicameralismo e attività legislativa del Parlamento…, ibid., p. 350; G. Diurni, Premessa a G. Astuti, Tradizione romanistica e civiltà giuridica europea, Napoli 1984, I, pp. VII-XXXII (con l'elenco completo degli scritti dell'A.); G. Cassandro, Prefazione, ibid., pp. XXXIII-XXXIX; Idee per la Costituente, a cura di L. Elia, Milano 1986, pp. 20 s., 151-195.