BANTI, Guido
Nacque a Montebicchieri, nei pressi di S. Romano Montopopoli, in Val d'Arno, l'8 giugno 1852. Studiò a Pisa e a Firenze, ove, nel luglio 1877, conseguì a pieni voti la laurea in medicina e chirurgia. Appena laureato, divenne assistente nell'Istituto di anatomia patologica di Firenze, diretto da Giorgio Pellizzari, che, nel 1883, lo nominò primo dissettore. Nello stesso anno ottenne la docenza in clinica medica e fu nominato primario medico dell'ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze. Nel 1887 fu incaricato dell'insegnamento della patologia generale, e, nel 1890, di quello dell'anatomia patologica: di tale cattedra, succedendo al Pellizzari, divenne poi ordinario nel 1895. Mantenne la direzione dell'Istituto per circa trenta anni, fino al ritiro dall'attività didattica, svolgendo il corso di anatomia patologica presso gli Studi superiori fiorentini, nella vecchia aula di via degli Alfani. Il B. fu, quindi, per lungo tempo direttore di cattedra e primario ospedaliero, finché, nel 1923, fu costretto a lasciare quest'ultimo incarico per la legge dei cosiddetti "cumuli di impiego", che vietava di essere, nello stesso tempo, ordinario di università ed effettivo ospedaliero; conservò, tuttavia, fino alla morte, il titolo di primario onorario dell'ospedale di S. Maria Nuova. Nei primi anni del secolo il B. partecipò anche alla vita pubblica della sua città: egli, infatti, durante quella che fu definita l'"amministrazione Sangiorgi-Chiarugi", fu assessore per la igiene al comune di Firenze, migliorando il servizio della nettezza urbana e introducendo sostanziali innovazioni nell'igiene scolastica.
Morì a Firenze l'8 genn. 1925.
L'attenta, quotidiana osservazione dei malati, nei lunghi anni di vita ospedaliera, fu alla base della formazione clinica del B., che fu, infatti, finissimo semeiologo.
Egli evidenziò la zona di ottusità retromanubriosternale nelle pleuriti essudative con abbondante liquido, intuendone la causa nello sbandamento del mediastino anteriore, ipotesi poi confermata dalla radiologia: tale rilievo, accettato ormai da lungo tempo dalla trattatistica medica, è comunemente indicato, in semeiotica toracica, come "segno di Banti". Si occupò anche di neurologia, compiendo importanti osservazioni sulle afasie;. in particolare, intuì che il lobo parietale inferiore fa parte, con le prime due circonvoluzioni temporali, del territorio uditivo corticale, centro dei simboli verbali, e che lesioni di tale centro, circoscritte alla porzione parietale, anziché la sordità verbale, possono provocare la perdita della facoltà di rievocare la memoria delle parole atte a designare gli oggetti, cioè l'amnesia verbale (Afasia e sue forme, in Lo Sperimentale, XL,[1886], pp. 261-280, 361-388); successivamente, dimostrò che in alcuni afasici, che avevano perduto la facoltà di parlare e di comprendere i discorsi altrui, l'intelligenza era conservata (A proposito dei recenti studii sulle afasie,in La Clinica moderna,sez. medica, XIII [1907], pp. 49-65), criticando, quindi, la dottrina dell'afasia introdotta nel 1906 dall'eminente neuro-patologo francese P. Marie, che riteneva l'afasia in genere dipendente da un deficit dell'intelligenza. In altri settori della clinica il B. ebbe modo di emergere, compiendo importanti osservazioni e pubblicando pregevoli lavori, dei quali si ricordano: Studio sulla percussione del cuore,in Lo Sperimentale,XL(1886), pp. 595-609; La sieroterapia, ibid.,sez. clinica, XLVIII(1894), pp. 101-110; Pilorostenosi e intervento chirurgico nella malattia del Reichmann, ibid.,LII(1898), pp. 138-152; Il siero antipneumonico Pane nella cura della polmonite (in collaborazione con G. Pieraccini), ibid.,LIII(1899), pp. 131-191; La vaccinazione antitifica specialmente in riguardo allo esercito ed all'armata, ibid.,LXIX(1915), pp. 346-351 (Rendiconti delle adunanze dell'Accademia medico-fisica fiorentina, adunanza del 21 gennaio 1915).
Il B. si occupò di medicina sociale e svolse proficua attività per l'igiene e la salute pubblica. Importantissimi furono i suoi rilievi batteriologici in occasione di una epidemia di tifo di origine idrica, che, nel 1890-91, imposero una revisione dell'erogazione idrica in tutta una zona di Firenze (L'epidemia di tifo in Firenze nei suoi rapporti con l'acqua potabile,in Lo Sperimentale,XLV[1891], pp. 85-94). Sostenne la necessità del controllo di Stato obbligatorio sulla fabbricazione di sieri e vaccini, compiendo anche ricerche sul contenuto batterico di alcuni vaccini animali. Sì interessò delle condizioni di lavoro delle donne e dei fanciulli, curò e diresse il riordinamento dell'Ufficio di igiene del comune di Firenze.
Le discipline nelle quali il B. eccelse, furono l'anatomia patologica, la patologia generale, l'ematologia, scienze che egli considerò eminentemente biologiche, secondo il concetto che sarà poi seguito da tutti gli studiosi.
In anatomia patologica, si ispirò al concetto anatomo-clinico introdotto tre secoli prima da G. B. Morgagni e subì l'influsso delle nuove correnti scientifiche, compiendo numerose osservazioni in tutti i rami di tale disciplina e recando notevoli contributi personali all'interpretazione di alcuni fenomeni patologici. Pubblicò pregevoli lavori, tra i quali si ricordano: Alterazioni del simpatico nella nefrite parenchimatosa,in Lo Sperimentale,XXXIV (1880), pp. 242-266; Gangrena polmonare per penetrazione nella trachea di un ascesso vertebrale (in collaborazione con V. Brigidi), ibid.,pp.384-391; Calcolosi biliare complicata da trombosi e da flebite della porta (in collaborazione con V. Brigidi), ibid.,pp. 478-483; Reumatismo cronico fibroso (in collaborazione con V. Brigidi), ibid.,pp. 604-609; Adenoma tubulato del fegato (in collaborazione con V. Brigidi), ibid.,XXXV (1881),pp.337-359; Meningite cerebrale con schizomiceti (in collaborazione con V. Brigidi), ibid., XXXVI (1882), pp. 494-499; Lipoma primitivo del cuore, ibid.,XL (1886),pp. 237-241; Occlusione della vena cava superiore per endoflebite tubercolare, ibid.,XLV (1891),pp.408-423; Le endocarditi, ibid.,XLVIII (1894),sez. clinica, pp. 496-502, 508-519, 532-538, 552-558; La meningite cerebro-spinale epidemica, ibid.,LXX (1916), rendiconti delle Adunanze dell'Accademia medico-fisica fiorentina, adunanza dei 9 marzo 1916, pp. 172-181. Tra le opere più generali e di maggior mole, si ricordano: Endocarditi e nefriti,Firenze 1895; Patologia del polmone,Firenze 1902,nelle quali il B., con la consueta profondità e chiarezza di idee, trattò compiutamente i due vasti capitoli della patologia. Giunto alla maturità scientifica, il B. si dedicò all'opera più impegnativa, rimasta purtroppo incompleta, cioè al trattato Anatomia patologica, del quale furono editi soltanto i primi due volumi, a Milano, rispettivamente nel 1907e nel 1911.
Il trattato, del quale vanno rilevate la rigorosa completezza e la chiarissima esposizione della sistematica anatomo-patologica, fu concepito dal B. secondo i nuovi concetti della patologia. Egli ritenne, infatti, che per superare le difficoltà di un raggruppamento logico delle malattie e della loro interpretazione etiopatogenetica, fosse necessario aggiungere, al classico inquadramento sistematico, uno nosografico che collegasse organicamente le entità morbose in studio; fu altresì convinto che l'anatomia patologica non è rinchiusa tutta nella morfologia, la quale, anzi, per rivelare la sua importanza e il suo significato biologico, deve essere posta in rapporto con l'etiologia e la patogenesi, di cui il cambiamento morfologico è la inevitabile conseguenza. Nella prefazione al suo trattato il B. scrisse (I, p. VI): "... credo che l'etiologia, la patogenesi, l'anatomia patologica e la clinica formino quattro anelli di una stessa catena, che non sarebbe lecito distaccare, e che un trattato di anatomia patologica riuscirebbe incompleto ed inefficace se non tenesse debito conto anche delle nozioni etiologiche, patogenetiche e cliniche".
Nel campo della patologia generale il B. comprese il valore delle ricerche che tutti i patologi stavano conducendo sull'etiologia parassitaria delle malattie infettive degli animali e dell'uomo, e concentrò la sua attenzione sulla microbiologia. Batteriologo tecnicamente abilissimo (pregevole il suo Manuale di tecnica batteriologica,Firenze 1885),egli volse le sue prime indagini al germe patogeno della polmonite, allora scoperto da poco, del quale studiò le localizzazioni extrapolmonari secondarie e primitive, come la meningite.
Con ricerche sperimentali, il B. confermò l'esistenza delle due varietà,di diplococco descritte da P. Foà, la fibrinogena e l'essudativa, distinguendone successivamente altre tre specie, che differiscono dalla prima per una particolare azione dissolvente sui globuli rossi e un'azione eminentemente tossica sugli animali (Sopra quattro nuove specie di protei o bacilli capsulati,in Lo Sperimentale,XLII [1888], pp. 139-167); egli ritenne che le varietà dei germi contribuiscono alla mutabilità clinica della polmonite, quando ciò non dipenda da particolari condizioni individuali, e prospettò la teoria ematogena dell'invasione del polmone da parte del diplococco (Sull'etiologia delle pneumoniti acute, ibid., XLIV [1890], pp. 349-384, 461-474, 573-588). Tali ricerche condussero a importanti acquisizioni, che furono poi ampiamente illustrate dal B. nel trattato di A. Lustig, Malattie infettive dell'uomo e degli animali, Milano 1923, nei capitoli: "Diplococco lanceolato capsulato. Malattie diplococciche", I, pp. 577-610; "Infezioni da bacilli capsulati", II, pp. 963-980. Il B. affrontò vari altri capitoli della patologia e nel 1887 dimostrò l'esistenza di una setticemia tifica senza lesioni nell'intestino, "typhus sine typho". Studiò l'etio-patogenesi della pericardite uremica, che interpretò come una flogosi provocata dai prodotti tossici endogeni trattenuti nel sangue e nei tessuti per l'insufficiente funzione depuratrice dei reni, riconducendo quindi a una genesi dismetabolica un processo morboso che, per essere caratterizzato da essudato fibrinoso, era da tutti gli studiosi considerato di origine batterica; integrò tali osservazioni con ricerche microscopiche e "culturali" su casi di pericardite uremica in corso di nefrite cronica, nei quali poté escludere la presenza di batteri, e con la riproduzione sperimentale della pericardite diplococcica mediante inoculazione in vena, ad animali, di culture di diplococchi, previa irritazione con sostanze chimiche della sierosa pericardica (Sull'etiologia della pericardite,in Lo Sperimentale,XLII [1888], pp. 344-351). Dimostrò l'identità del diplococco capsulato, riscontrato in un caso di meningite e in uno di sierosite multipla, col "diplococcus pneumoniae" di Fränkel, modificato nella sua virulenza (Pneumococco o diplococco capsulato?, ibid., XLIII [1889], pp. 138-145). Ancora, confutò le ipotesi della maggior parte degli studiosi, per i quali qualsiasi reperto di inclusione citoplasmatica, autorizzava a pensare a malattie parassitarie (ed in tal senso R. Koch interpretò alcuni corpicciuoli osservati nel citoplasma di cellule cancerose): il B., con osservazioni condotte sulle cellule neoplastiche della malattia carcinomatosa del capezzolo, affermò che tali inclusioni, in alcuni casi, lungi dall'essere dei parassiti del cancro, rappresentano dei fenomeni propri della patologia della mitosi, in altri sono delle inclusioni citoplasmatiche prive di importanza nella patogenesi della malattia, o invasioni batteriche secondarie (I parassiti nella malattia mammaria del Paget, ibid.,sez. clinica, XLVIII [1894], pp. 121-126); e tali sue idee vennero confermate da successive ricerche morfologiche. Tra i numerosi lavori del B. riguardanti la patologia generale meritano di essere citati: I nuovi metodi di studio dei, batterii, ibid.,XXXIX (1885), pp. 321-556, (rivista sintetica); Meningite cerebrale. Esame, batterioscopico, ibid.,XI,(1886), pp. 159-163; Alcuni fatti utili a determinare la durata del periodo di incubazione del colera asiatico, ibid.,XLI (1887), pp. 3-17; In tempo di colera. Ricordi e consigli, ibid.,XLVII (1893), pp. 341-354; L'endocardite diplococcica,in La Settimana medica dello sperimentale,LI (1897), n. 7, pp. 77-81. Infine, va ricordata la tratta.zione fatta dal B. dell'istologia normale e della fisio-patologia generale dei vasi sanguigni, nel Trattato italiano di Chirurgia, redatto da insigni professori, Milano 1915 (II, 2, pp. 57-74): esposizione lucida e completa della struttura normale e dei processi morbosi che colpiscono le arterie e le vene.
Il B. fu uno dei fondatori della moderna ematologia. Orientate le sue indagini verso la genesi delle cellule ematiche, il B. enunciò una teoria che, sostanzialmente pluralista, differiva però da quella di P. Ehrlich non ammettendo l'esistenza delle forme di passaggio: ritenne di dover mantenere la differenziazione della serie linfogena da quella mielogena, immaginando la prima originata nei centri germinali dei follicoli linfatici, la seconda da una grossa cellula stipite, di aspetto ialino allogata nel midollo osseo (Sull'ufficio degli organi linfopoietici e emopoietici nella genesi dei globuli bianchi del sangue,in Arch. di fisiologia,sez. biologica, I [1904], pp. 241-247). Il B. si distinse anche nello studio della patologia del sangue, pubblicando vari lavori originali, tra i quali si ricordano: Anemia perniciosa progressiva (in collaborazione con V. Brigidi), in Lo Speri. mentale,XXXIV (1880), pp. 354-360; Contributo allo studio delle anemie progressive. Anemia ganglionare,ibid., XXXV (1881), pp. 26-44, 151-161; La milza nelle itterizie pleiocromiche,in Gazzetta degli ospedali e delle cliniche,XVI (1895), pp. 489-490.
Successivamente, il B. descrisse alcuni casi di ittero emolitico, caratterizzati da splenomegalia, anemia cronica progressiva dipendente da eccessiva emolisi, ittero, e guarigione completa dopo l'asportazione della milza; in base a tali osservazioni, e constatato sperimentalmente che alcune sostanze emolitiche agiscono sia rendendo meno resistenti i globuli rossi, sia esaltando l'azione emocateretica della milza, mentre la splenectomia induce un aumento della resistenza delle emazie, il B. ritenne che nelle forme morbose in esame, in seguito a cause sconosciute, la milza aumenta la sua funzione emocatatonistica ed emocateretica, provocando quindi emolisi e anemia, con conseguente reazione midollare esprimentesi in una esagerata eritropoiesi; egli interpretò tale forma morbosa come una entità a se, da inquadrare nella grande famiglia degli itteri emolitici tipo Minkowski-Chauffard (congeniti) o Hayem-Widal (acquisiti), guaribile esclusivamente con l'asportazione della milza, ossia dell'organo più attivo nell'emolisi(La splenomegalia emolitica,in Lo Sperimentale,LXVI [1912], pp. 91-122). Proseguendo in tali ricerche, il B. dimostrò sperimentalmente che, negli animali splenectomizzati, non soltanto vi è un aumento delle resistenze globulari delle emazie, ma occorrono anche dosi molto più alte di veleni emolitici per provocare la distruzione dei globuli rossi; e descrisse un altro caso di ittero emolitico, nel quale mancava l'impronta iperrigenerativa, emopoietica del midollo, ma era anzi evidente una condizione di anemia aplastica, per cui pensò che probabilmente l'anemia emolitica splenomegalica può presentarsi in due forme: emopoietica e anemopoietica (La splenomegalia emolitica anemopoietica. [Anemia emolitica splenomegalica anemopoietica]. Ufficio della milza nell'emolisi, in Lo Sperimentale, LXVII [1913], pp. 323-378). Da ultimo, il B., sulla scorta dei risultati sperimentali e delle osservazioni cliniche, ritenne che la splenectomia fosse da consigliare in tutte le forme di anemia a etiologia ignota, in quanto capace di indurre un notevole beneficio, pur non eliminando le cause della malattia. Intanto, si era andato maturando il pensiero del B. sulla natura delle leucemie, al cui studio si era orientato fin dal 1890, in seguito ai rilievi compiuti su una forma di sarcoma infiltrante diffusamente i reni. Considerata l'invasione del tessuto leucemico oltre la barriera degli organi emopoietici, che costituisce l'analogia fondamentale tra leucemie e sarcomatosi, il B. escluse la natura iperplastica di tali emopatie, non accettandone neanche la distinzione di altri autori, particolarmente stranieri, in iperplastiche e sarcomatosiche, ma considerandole, al contrario, tutte sarcomatosi: tuttavia, con questa interpretazione, il B. non ha voluto dare alle leucemie il significato di veri blastomi, come alcuni autori hanno voluto intendere, tanto che, nel suo trattato di Anatomia patologica,nel capitolo "Emopatie", egli scrisse: "Nel linguaggio scientifico attuale, che differenzia solo le iperplasie, i granulomi e le neoplasie, le sarcomatosi debbono necessariamente ascriversi tra le ultime, ma meriterebbero, e credo che ciò avverrà in un avvenire non lontano, di formare una classe a parte tra i granulomi e i veri neoplasmi" (vol. I, p. 405). Contrariamente ad A. Pappenheim, che non riconobbe nel potere aggressivo e infiltrante del tessuto leucemico un indizio di malignità, il B. identificò tale carattere nella atipia strutturale degli organi leucemici, nella invasione delle pareti vasali e nella possibile apertura in circolo del tessuto patologico, oltre che nel suo costante potere aggressivo e infiltrante. Il B. fu un convinto assertore della natura infettiva delle sarcomatosi leucemiche, ribadendo così ancor più il concetto della divisione di queste dai veri tumori; in contrasto con le idee di A. Pappenheim, egli credette, anzi, nella specificità dei germi produttori delle leucemie. Ritenne più esatta, rispetto a quella di leucemie, la definizione di linfoadenie e mieloadenie leucemiche e aleucemiche, distinguendole in tipiche, quando la neoformazione è limitata agli organi emopoietici, senza che macroscopicamente se ne noti una invasione al di fuori; e atipiche, quando l'invasione del tessuto patologico oltrepassa gli organi emopoietici. Sostenne che gli elementi cellulari abnormi del processo leucemico hanno acquistato maggior potere proliferativo, ma hanno perduto quello maturativo. In conclusione, il B. affermò che le linfoadenie e le mieloadenie si possono considerare costituite da un processo di vegetazione atipica di tessuto linfoadenoide e, rispettivamente, mieloadenoide, di natura infettiva, che in modo sistematico si localizza costantemente negli organi emopoietici; che può anche localizzarsi in altri organi; che ha una illimitata tendenza aggressiva e infiltrante, costante per qualità, variabile per intensità, capace di sorpassare i confini degli organi emopoietici. Tale tessuto vegetante, nella concezione del B., invade le pareti delle vene e, aprendosi nel loro interno, getta in circolo gli elementi cellulari da cui è composto e cagiona così la leucemia, mentre, finché le vegetazioni linfoadenoidi e mieloadenoidi non si sono aperte nelle vene, ma rimangono coperte dall'endotelio vasale, le linfoadenie e le mieloadenie hanno il carattere di aleucemiche. Il B. delucidò, quindi, in modo magistrale il concetto di leucemie leucemiche e aleucemiche, confutando così le idee di J. F. Cohnheim che sosteneva l'esistenza di leucemie e pseudoleucemie. Il B. espose sinteticamente il suo lucido pensiero sull'argomento in una relazione all'VIII riunione della Società italiana di patologia, tenuta in Pisa nel marzo 1913, sotto la presidenza di C. Golgi (Le leucemie, in Lo Sperimentale, Atti dell'VIII Riunione della Società Italiana di Patologia, LXVII,1913).
Nel 1894 il B. descrisse un quadro morboso caratterizzato, dal punto di vista clinico, da tre stadi successivi: splenomegalia, anemia progressiva, cachessia terminale; i rilievi anatomo-patologici misero in evidenza l'aumento di volume della milza con trasformazione fibrosa della sua polpa, e cirrosi del fegato. Il B. delineò chiaramente la patogenesi di questa forma morbosa, ritenendo che una causa sconosciuta, probabilmente infettiva, si localizzasse primitivamente nella milza, inducendovi le tipiche lesioni, e giungesse poi al fegato attraverso la vena splenica e le radici portali, insieme ai prodotti tossici e anemizzanti di origine splenica (veleni cirrogeni), ivi inducendo il processo cirrotico. Egli propose la splenectomia come unico rimedio capace di determinare la guarigione, specialmente se attuata al primo stadio della malattia.
L'annuncio che il B. dette della sua scoperta suscitò enorme interesse e richiamò l'attenzione degli studiosi su una forma morbosa priva ancora non soltanto di una chiarificazione patogenetica, ma anche di una sistemazione nosografica (La splenomegalia con cirrosi epatica,in Lo Sperimentale,XLVIII [1894], pp. 407-432). La "malattia di B." ha avuto una lunga storia: sulla sua patogenesi sono sorti contrasti e polemiche, il suo inquadramento nelle malattie ematologiche ha dato luogo a critiche di ogni genere, la sua esatta definizione ha fatto scrivere innumerevoli pagine. Dopo aver dominato per un certo tempo pressoché incontrastata la concezione di una ben definita entità morbosa, la "malattia di B." entrò a far parte, soprattutto per opera di autori stranieri, di varie altre manifestazioni patologiche, tanto che fu coniata la denominazione "sindromi bantiane" per indicare un gruppo di malattie che hanno tutte in comune la cirrosi epatica con splenomegalia. Si giunse addirittura a inquadrare il morbo di B. nel gruppo delle splenomegalie congestizie e, nella definizione più recente, nel grande capitolo della ipertensione portale; infine, gli autori americani vollero concepire la malattia come un quadro particolare di quella complessa sindrome da essi definita "ipersplenismo". Tuttavia, l'attenta disamina della letteratura e dei progressi compiuti in tanti anni di studio fa apparire esatta l'interpretazione della "malattia di B." data da un autore italiano: mesenchimopatia fibrotica splenoepatica ad evoluzione cirrotica (A. Gambigliani Zoccoli, 1955). Con ciò, cade il concetto bantiano della splenomegalia primitiva inducente successivamente la cirrosi, in quanto l'insorgenza della malattia deve ritenersi contemporanea nella milza e nel fegato, reperto che il B. non poteva rilevare per l'inesistenza, ai suoi tempi, della biopsia epatica; ma la constatazione che la mesenchimopatia è in grado di indurre uno squilibrio metabolico, specialmente protidico, capace di provocare gravi sofferenze delle cellule epatiche, e, infine, uno stato cirrotico, rende ragione al grande patologo della genialità della sua interpretazione patogenetica. In definitiva oggi, pur non potendosi accettare il concetto di splenomegalia cirrogena, si deve riconoscere al morbo di B. una precisa individualità nosografica, che lo distacca dalle splenomegalie congestizio-fibrose e dalle cirrosi epatiche con splenomegalia, e lo inquadra, invece, come una malattia a sé stante del sistema milza-fegato.
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