BANTI, Guido
Nato a Montebicchieri l'8 giugno 1852, morto a Firenze l'8 gennaio del 1925. Compì gli studî classici a Firenze dove si laureò nel 1877. Assistente di anatomia patologica in Firenze dal 1878 al 1882, fu poi nominato settore nel 1883 e contemporaneamente primario medico nell'ospedale di Santa Maria Nuova. Libero docente di clinica medica nel 1883, fu incaricato nel 1887 dell'insegnamento della patologia generale presso la scuola medica fiorentina e nel 1890 nominato titolare dell'istituto di anatomia patologica. Tale direzione tenne per trent'anni, fino alla morte, fedele sempre al principio da lui posto a fondamento del proprio indirizzo scientifico: essere artificioso ed illogico, oltre che di danno al progresso della medicina, lo smembramento dello studio della malattia nelle sue varie manifestazioni e naturale il bisogno di una concezione patologica unitaria. Fra le pubblicazioni di mole del Banti meritano menzione le raccolte di lezioni sulle Endocarditi e nefriti (Firenze 1895) e sulla Patologia del polmone (Firenze 1902), e soprattutto il trattato di Anatomia patologica (Milano 1907), disgraziatamente rimasto incompleto e nel quale egli diede ad alcuni capitoli un'impronta di chiara personalità. Sono di valore indiscusso molte altre ricerche che egli praticò, sull'etiologia della pneumonite fibrinosa; sull'infezione tifoide a carattere setticemico; sui procedimenti tecnici più adatti all'isolamento dei microrganismi da materiali patologici; sui corpi inclusi delle cellule cancerigne e infine sulle emopatie sistematiche e in specie sulla leucemia e pseudoleucemia. Sono pure concezioni del Banti la splenomegalia emolitica e la splenomegalia con cirrosi epatica, più comunemente nota come malattia di Banti.
Malattia di Banti. - Si chiama così un quadro morboso che s'inizia con splenomegalia, a cui si associa anemia più o meno cospicua, poi, nel suo ulteriore decorso, una cirrosi epatica con ascite.
Dal punto di vista clinico, il decorso della malattia può essere diviso in tre stadî. Il primo, o stadio anemico, è caratterizzato da un'anemia che non raggiunge però mai una grande intensità poiché si vede solo raramente diminuire il numero dei globuli rossi sotto i 3 milioni. La milza è considerevolmente aumentata già in questo periodo, fino a raggiungere 2-3 chilogrammi, ma conserva la sua forma normale; può presentare aderenze fibrose con gli organi prossimi. Il fegato (non sempre) è aumentato alquanto di volume in questo periodo. La durata di questo stadio è molto variabile (3-12 anni), ma in ogni modo le sofferenze dell'infermo sono ancora scarse e consistono solo in una spossatezza generale a cui si associa un senso di pesantezza all'addome, specie a sinistra in corrispondenza della milza. La temperatura rimane normale oppure si notano lievi rialzi termici. Tale periodo non ha limiti netti, ma si confonde spesso col secondo, o stadio intermedio, in cui le uniche modificazioni apprezzabili in confronto dello stadio precedente si riferiscono al fegato. Dette modificazioni però sono prevalentemente di natura istologica e si traducono con pochi segni clinici. Si nota tutt'al più che il fegato, qualora abbia mantenuto normale il suo volume nello stadio precedente, aumenta di volume oltrepassando di uno o due dita l'arco costale, presentando una superficie liscia o lievissimamente granulosa. Le urine cominciano a scarseggiare, divengono più colorate, più ricche di urati e contengono non di rado dell'urobilina. Le sclere e la pelle assumono non di rado un colorito lievemente giallastro. A carico degli altri organi l'infermo non accusa alcun disturbo.
Col terzo stadio, o stadio ascitico, s'iniziano le gravi sofferenze dell'ammalato. Le alterazioni anatomiche del fegato conducono alla diminuzione del suo volume, presto si ha versamento di liquido nella cavità addominale, liquido che ha i caratteri di un semplice trasudato. Le urine sono scarse, dense, rossastre, ricche di urobilina e di urati. Si sviluppano così i segni della cirrosi atrofica del fegato. I malati presentano un colorito subitterico, manca però sempre la vera itterizia. Del pari si possono avere epistassi, pur mancando sempre i segni di una vera e propria diatesi emorragica. La morte avviene quasi sempre in questo stadio, preceduta da segni d'insufficienza completa del fegato. E da notare che la malattia colpisce in modo assai più frequente i giovani che non individui di età più avanzata.
Le alterazioni istologiche dovute alla malattia hanno sede nella milza e nel fegato. Alle modificazioni riguardanti la struttura della milza, Banti ha dato il nome di fibroadenia. Per fibroadenia si intende la trasformazione del follicolo di Malpighi (v. milza) in un nodulo connettivale; le alterazioni fibroadeniche si iniziano sempre intorno all'arteria del follicolo e più precisamente intorno ai rami penicillari, invadono poi i corpuscoli, seguendo sempre il vaso. Il processo si estende anche alla polpa. L'intensità delle alterazioni dipende più che altro dalla durata della malattia e rispettivamente dallo stadio di essa. Nel fegato dapprima si nota un'iperplasia incipiente del connettivo, poi nel terzo stadio il reperto istologico non differisce affatto da quello che si riscontra nella cirrosi atrofica. Queste alterazioni dell'apparato epatolienale producono naturalmente notevoli modificazioni nella sua funzione: si troverà quindi turbato il ricambio emoglobinico, quello azotato, ecc.
L'eziologia della malattia è completamente ignota, per quanto alcuni mettano in rapporto il morbo di Banti con la sifilide, la malaria e altre infezioni o intossicazioni acute o croniche.
In quanto alla patogenesi, Banti suppone che un agente ignoto, forse infettivo, si localizzi prima nella milza, ove vengono elaborati e messi in circolo dei veleni anemizzanti e cirrogeni: da ciò la sclerosi della vena splenica, l'anemia e la cirrosi epatica.
Per ciò che riguarda la terapia, questa deve essere operativa nei primi due stadî, mentre nel terzo stadio l'intervento non giova più. Esso consiste nell'asportazione della milza, o splenectomia.
Il morbo di Banti nella sua forma classica si presenta soprattutto nell'Europa meridionale (Italia, Albania, Grecia); parecchi casi descritti da autori stranieri come tali, ad esame rigoroso non risultano che come forme banali di cirrosi atrofica o altre epatosplenomegalie, fatto che ha indotto alcuni autori a negare l'esistenza del morbo di Banti come entità morbosa, mentre questa è assolutamente accertata dal Banti e da varî autori italiani e stranieri. (V. splenomegalie).
Bibl.: G. Banti, Anatomia patologica, Milano 1907; G. M. Debove, Ch. Achard e J. Castaigne, Maladies du foie et des voies biliaires, Parigi 1910; L. Kindberg, Splénomégalies scléreuses. Mal. de Banti et aném. splén., in G. H. Roger, F. Wildal, P. J. Teissier, Nouvau traité de médec., IX, Parigi 1926.