BONATTI, Guido
Scarse e contraddittorie sono le notizie relative al luogo e l'anno di nascita del B., che fu il più autorevole trattatista di astrologia del Medioevo italiano; poco o nulla ci è noto della sua giovinezza e della sua prima formazione culturale. E frammentarie e parziali sono, del resto, anche tutte le altre notizie in nostro possesso relative alla sua biografia. A parte le sottoscrizioni da lui apposte ad alcuni documenti ufficiali e le allusioni più o meno approssimative contenute negli scritti dei cronisti a lui contemporanei o nelle chiose dei primi commentatori della Divina Commedia, la principale fonte sulla sua vita è rappresentata dagli scritti dello stesso B. generalmente piuttosto propenso a lasciarsi andare a spunti e a ricordi autobiografici sì, ma pur sempre apologetici, e perciò da utilizzarsi con la massima prudenza. Gran parte dell'opera e della personalità del B., con le sue implicazioni d'ordine politico e religioso, ci sono pertanto completamente ignote. È certo, comunque, che nacque a Forlì, con ogni probabilità nel primo ventennio del sec. XIII.
Il B. affermò esplicitamente la sua origine forlivese: "astrologus Communis Florentiae de Forolivio" si qualificò nella sottoscrizione da lui apposta al patto d'alleanza stipulato il 22 nov. 1260 tra i Comuni ghibellini di Siena e di Firenze dopo la battaglia di Montaperti; e "Liber astronomicus Guidonis Bonati de Forlivio" è detta nel prologo la sua opera maggiore, i Tractatus decem de astronomia. In territorio forlivese egli possedette almeno un fondo rustico, la proprietà "delle Quercie", ricordata come sua dai cronisti o da persone d'ambiente romagnolo e, più specificatamente, forlivese, e il suo nome compare spesso negli scritti degli autori romagnoli a lui contemporanei o di poco posteriori. Filippo Villani, tuttavia, annoverò il B. tra gli uomini illustri fiorentini (p. 417), dando per certa la notizia che lo faceva nativo od originario del villaggio di Cascia: secondo il biografo toscano - che, pur dimostrando di essere a conoscenza della tradizione più comunemente accettata, non si preoccupa affatto di specificare le ragioni che lo hanno indotto a scegliere la versione da lui seguita - l'astrologo si sarebbe dichiarato di Forlì perché, costretto a esulare da Firenze, appunto in quella città avrebbe ricevuto tali accoglienze e tanto larga ospitalità, da fargliela poi sempre considerare come la sua vera patria. Il Villani non riferisce i motivi dell'esilio del B., limitandosi a dire che fu indotto ad allontanarsi dalla città toscana "perocché nessuno è sì paziente, che possa sofferire la sua innocenza da' plebei esser violata, né da' viziosi e tristi essere offesa e dunque, non superiori ragioni politiche (come credette di poter concludere il Guerri) avrebbero costretto il B. all'esilio, ma, semmai, le accuse della voce pubblica e forse una precisa sentenza del Magistrato cittadino riguardo una colpa tanto grave, quanto è alto il silenzio mantenuto in proposito dal biografo.
Dando per scontato che il borgo di Cascia menzionato dal Villani fosse l'omonima località del Valdarno supcriore, presso Pian di Scò (comune di Reggello, Firenze) - ma qualche anno fa il Marini, sottolineando i rapporti politici ed economici che legarono nel sec. XIII a Firenze la cittadina umbra di Cascia, l'atteggiamento da questa assunta nei confronti dell'Impero, prima e dopo la morte di Federico II, e il fatto che il cronista non ha sentito il bisogno di specificare se si trattava dell'una o dell'altra città, ha prospettato la ipotesi di un'origine umbra del B. -, scrittori e biografi toscani hanno creduto di poter affermare che Guido fosse della stessa famiglia di quel Bonatto, notaro fiorentino il cui nome ricorre nel così detto "bullettone" degli anni 1200-1223, e che fosse stato espulso da Firenze nel 1258, compreso nel bando che seguì la congiura degli Uberti. Contro tali ipotesi, che si basano su presupposti estremamente labili, sono state sollevate dal Guerri obiezioni puntuali e difficilmente superabili.
Nel 1231 il B. era a Ravenna; due anni dopo (1233) a Bologna dove, come egli stesso racconta, fu coinvolto in una clamorosa polemica col celebre predicatore domenicano padre Giovanni da Schio, la cui fama di santità avrebbe contribuito a screditare, mettendo in dubbio i miracoli che, secondo la voce popolare, si diceva avesse compiuto. Basandosi esclusivamente su questi parziali e non spassionati fondamenti, alcuni eruditi del Settecento (Sarti e Fattorini) hanno parlato di uno studentato e di un successivo insegnamento bolognese del B.: tale notizia, benché sia stata ripresa da studiosi moderni, non è suffragata tuttavia da alcuna sicura testimonianza.
Nella sua biografia del B. Filippo Villani riferisce (p. 448), non sappiamo su quali basi, che Guido i "suoi primi anni dette alle leggi, ma poi, non potendo al tutto schifare la disposizione delle stelle, mosso dall'inclinazione del cielo, lasciate le leggi, cominciò alle leggi d'astrologia ad accostarsi", giungendo in breve tempo e con uno studio approfondito ad acquistare una tale padronanza della materia, da eguagliare "i nobilissimi ingegni degli antichi". Giovanni Villani, al contrario, parla (VII, 81, p. 145) "d'uno Guido Bonatti ricopritore di tetti, che si facea astrologo", mentre Benvenuto da Imola, nel suo Comentum alla Divina Commedia, lo dice fisiologo insigne e medico rinomato, oltreché astrologo: "Mirabilissimus astrologus, magnus phisicus, medicus excellens", il che presupporrebbe evidentemente studi giovanili di medicina, e non di leggi. Non siamo in grado di valutare l'attendibilità di quest'ultima affermazione, dato che ignoriamo le fonti su cui si basava il commentatore della Commedia; la notizia non appare tuttavia inverosimile, meglio adattandosi, in effetti, alla figura e all'opera del B. come astrologo l'idea di un suo noviziato medico-scientifico, piuttosto che quella di studioso di leggi.
Nel 1248 il B. era a Forlì da dove, secondo quanto egli afferma, avrebbe informato l'imperatore Federico II, allora a Grosseto, di una congiura ordita contro la sua persona, permettendo così al sovrano di sventare il complotto. Fondandosi su questa notizia - per altro non suffragata da ulteriori prove concrete - il Guerri ha prospettato l'ipotesi che l'astrologo si trovasse allora al servizio dell'imperatore o che, almeno, fosse in amichevoli rapporti con lui. Dopo questa data il B... per quasi dieci anni, non viene più menzionato dalle fonti a noi note: la successiva notazione relativa all'astrologo romagnolo riguarda infatti il biennio 1255-1257, quando ci viene riferito che egli si trovava a Forlì, ove capeggiava con altri ragguardevoli concittadini l'opposizione interna alla signoria di Simone Mestaguerra. E nell'insurrezione contro costui e nella sua espulsione dalla città l'astrologo ebbe, secondo quanto si può desumere dalle fonti, una parte di primo piano. Passato quindi, non sappiamo in quale anno, al servizio di Ezzelino da Romano - cui lo unirono vincoli di amichevole familiarità - nel 1259 era a Brescia, tra gli astrologi e i consiglieri del signore di Romano (è forse sul fondamento di tali notizie che il Tommasini ha annoverato tra i professori dello Studio padovano anche il B.). In seguito, dopo la morte del suo protettore (27 sett. 1259), entrato al servizio di Guido Novello I dei conti Guidi di Bagno-Raggiolo, partecipò, tra i dignitari del suo seguito, alla battaglia di Montaperti (4 sett. 1260) e il 22 novembre successivo fu presente alla cerimonia della solenne ratifica del trattato di alleanza tra i ghibellini di Siena e di Firenze più sopra ricordato. Dalla sottoscrizione da lui apposta a quel documento, sembrerebbe doversi concludere che il B., entrato in Firenze dopo la vittoria di Montaperti, vi fosse stato chiamato a coprire la carica di astrologo ufficiale del Comune: ci mancano, in ogni caso, altre prove concrete oltre alla sua esplicita affermazione. Come che siano andate le cose, è certo che seguì Guido Novello I, vicario di re Manfredi in Firenze, anche nella scorreria che il conte, alla testa della taglia di parte ghibellina di Toscana, compì nel territorio di Lucca (settembre 1261), così come è certo che in quello stesso anno partecipò allo sfortunato assedio del castello di Fucecchio. Riceveva allora, si ignora a quale titolo, uno stipendio, regolarmente registrato negli atti ufficiali dal Comune di Siena.
Nulla sappiamo del B. per i successivi tre anni: nel 1264 si trovava nuovamente a Forlì, dove compare testimone nel patto stipulato tra il patriarca di Ravenna e il Senato forlivese. C'era ancora nel 1267, secondo una sua precisa annotazione, ma ignoriamo, per il silenzio delle fonti, i suoi movimenti tra il 1264 e il 1267, e poi ancora di nuovo per tutto un altro decennio, sino al 1278, quando si sarebbe trovato, secondo alcuni studiosi, a Bologna - se pure è da identificarsi con quel "magister Guidone quondam Bonati", che sottoscrisse il memoriale di Rolando di Bernardino di Mezzario, rogato il 5 agosto di quell'anno. In effetti, la sola circostanza che ci sia nota della vita del B. in questi tre lustri è la familiare consuetudine che lo legò al conte di Montefeltro, Guido I, il quale lo volle tra i suoi più diretti collaboratori e lo ebbe come il più ascoltato dei suoi consiglieri. Giovanni Villani testimonia del resto (VII, 81, p. 145) - sia pure con alquante riserve - la parte che il B. ebbe nell'incursione condotta dal conte contro le milizie francesi di "messer Gianni de Prà" (1282); e un'eco della sua attività di consigliere militare del conte di Montefeltro si trova, d'altra parte, nello scarno commento di Benvenuto da Imola.
Non conosciamo né la data né le circostanze della sua morte. Secondo una puntuale notizia riferita da Filippo Villani (p. 418) e della quale, sino a prova contraria, non è lecito dubitare, il B. morì "già vecchio, vivendo ancora il conte Guido il quale con gran concorso de' Forlivesi, seppellì l'ossa sue in Santo Mercuriale molto onorevolmente".
Un documento bolognese, edito dallo Zaccagnini, testimonia che nel 1296 il B. era ancora vivo, che abitava a Forlì e che veniva considerato tra le persone più ragguardevoli di quella città. Poiché Guido I da Montefeltro morì il 29 sett. 1298, e poiché sembra, d'altro canto, che fu lui a tributare al B. le estreme onoranze, non è azzardato pensare che l'astrologo forlivese sia morto nella sua città natale sullo scorcio del secolo XIII; la sua scomparsa, comunque, non dovette avvenire dopo l'estate del 1298.Dopo la sua morte si diffuse la leggenda di una conversione e di una vocazione tardiva del B., che avrebbe concluso la sua vita come frate minore in una comunità francescana. Tale leggenda, che pure è stata ripresa da agiografi e storici dell'Ordine di S. Francesco, ed è stata confermata dallo Sbaraglia, non si fonda in realtà su prove concrete: ma è da ritenere, come pensò il Guerri, che essa sia sorta come riflesso delle vicende spirituali del suo ultimo protettore, Guido da Montefeltro. Allo stesso modo è da ritenere leggendaria la narrazione contenuta negli Annales Forolivienses, secondo i quali il B. sarebbe stato ucciso da alcuni malfattori sulla strada da Cesenatico a Cesena, mentre tornava da un viaggio compiuto a Parigi e nelle maggiori città italiane, dove avrebbe portato e discusso, con i professori di quelle università, le sue opere.
La figura del B. destò viva impressione nei suoi contemporanei, soprattutto per la fama di empietà e di oscura stregoneria che gli si attribuivano. Fra' Salimbene de Adam, nella sua Cronica, insiste particolarmente su questo punto, ricordando, fra l'altro, un dibattito pubblico (ovviamente taciuto dal B.), che vide di fronte l'astrologo e un famoso predicatore francescano, Ugo da Reggio, il quale avrebbe confutato una ad una le tesi del B., costringendolo infine al silenzio e ad allontanarsi "confuso". L'attendibilità dell'episodio, il cui esito doveva esser stato particolarmente amaro per il B. perché avvenuto proprio a Forlì, sembra confermata dall'ostilità che egli manifesta nei confronti del clero e, in particolare, nei confronti degli Ordini mendicanti in molti passi della sua opera maggiore, soprattutto là dove allude esplicitamente all'oroscopo da lui fatto sull'imminente scioglimento dell'Ordine francescano.
Al B. furono attribuiti, oltre al Tractatus de astronomia, un trattato De proiectione partium (citato da A. Tiraquea nei Commentarii de nobilitateet iure primogeniorum, Lugduni 1559, p. 93), che è però sicuramente una parte del Tractatus e una Historia coelebris Gallorumcladis, ricordata da Giorgio Marchesi. Di quest'opera non ci è però giunta alcuna diretta testimonianza e, quindi, la sua attività letteraria è, per noi, esclusivamente documentata dal Tractatus de astronomia o Liber astronomicus, che il Thorndike ha definito la più importante opera astrologica in lingua latina del sec. XIII. Si tratta di uno scritto composto da dieci (ma, in realtà, dodici) trattati, nei quali il B. presenta un quadro esatto, esteso e comprensivo della dottrine astronomiche e astrologiche del suo tempo. Le citazioni e le fonti alle quali il B. frequentemente si riferisce confortano, del resto, questo giudizio sul carattere del Tractatus che è, in gran parte, costituito dall'abile connessione di testi di Tolomeo, Ermete Trismegisto, Doroteo Sidonio, Alcabizio, Abu-Ma'shar, Messahala, Thābit ibn Qurrah, Adula, Alhayat, Haomax, Haly; ma non mancano neppure le menzioni di altri astrologi occidentali come Ugo Abalugant, Bereguardino Davidbam, Giovanni di Pavia, Domenico Ispano, Michele Scoto Stefano Francigena e Gherardo di Sabbioneta. Tuttavia il B. cerca anche di aggiungere nuove nozioni e osservazioni e, soprattutto, di applicare le dottrine classiche dell'astrologia a fatti, eventi e problemi della vita del suo tempo.
Il I trattato è dedicato a un'introduzione generale nella quale vengono definiti gli "oggetti" e i temi particolari della scienza astrologica, ne vengono discusse l'utilità e la veridicità, se ne tenta la difesa di fronte alle obiezioni e alle condanne degli avversari; il II trattato è dedicato allo studio dei segni dello zodiaco, delle loro suddivisioni, caratteri e influenze, mentre il III, in due parti, verte sui pianeti, sui loro influssi, sulla loro incidenza reciproca e sulle cose terrene; il IV infine tratta delle "congiunzioni". Gli altri trattati raccolgono centoquarantasei considerazioni sui "giudizi astrologici" e la discussione dei quattro temi essenziali dell'astrologia medievale: "predizioni", "interrogazioni" (primo tipo di indagine astrologica, che rispondeva ai bisogni spiccioli della vita quotidiana), "elezioni" (secondo tipo di indagine astrologica, che serviva a determinare il momento favorevole per compiere una scelta ben precisa; era basato sullo studio delle posizioni della Luna rispetto alle dodici case celesti o alle ventotto mansioni lunari), "rivoluzioni e natività" (terzo tipo d'indagine, destinata a prevedere gli eventi futuri delle singole persone, città, popoli, religioni, ecc.: era il metodo più complicato e scientifico) e, a conclusione, un capitolo finale dedicato alle previsioni relative ai mutamenti meteorologici. Il B. - come osserva il Thorndike - usa indifferentemente i terniini "astronomia" e "astrologia", anzi il significato corrente di "astronomia" è per lui quello connesso ai giudizi e alle previsioni astrologiche, nettamente distinte dagli altri tipi di divinazione. Il compito dell'"astronomia" (o "astrologia") è dunque la conoscenza delle creature "impassibili" e "inalterabili" e, mediante queste creature, la più alta conoscenza del creatore che sia possibile per la mente umana. Il B. ritiene che i suoi principi non abbiano alcun bisogno di dimostrazione perché sono fondati su verità evidenti ed essenziali: il moto dei cieli che circondano gli elementi altera il fuoco e l'aria e questi, a loro volta, alterano gli altri elementi: la terra e l'acqua. Perciò giustamente tutti i dotti ritengono che gli elementi inferiori siano dominati dai superiori e ne siano modificati e influenzati. È appunto compito degli astrologi studiare i movimenti di ogni corpo celeste e quindi giudicare quali siano le loro influenze e il loro significato presente e futuro.
Fondandosi su questi presupposti, il B. discute a lungo gli argomenti a favore e contro l'influenza delle stelle e degli astri e, quindi, la stessa possibilità di una astrologia "giudiziaria": quel settore dell'astrologia che studiava gli influssi celesti e le loro leggi, sulla base delle quali prevedeva il futuro (così detta perché studiava i "giudizi" [arabo onkani] pronunziati dai corpi celesti sulle cose terrene). A questo proposito egli ricorda l'avversione dimostrata verso questa scienza dagli ecclesiastici e dai teologi, ed ironizza sulla loro ignoranza e sulla loro mancanza di comprensione dei primi fondamenti della scienza dei cieli: d'altra parte, non trascura di porre in luce l'interesse aperto e segreto che alcuni di loro, soprattutto frati, hanno però dimostrato per questa scienza, spesso praticata in segreto. Anche perché proprio l'astrologia è l'unica arte capace di liberare gli uomini dal sospetto che Dio sia ingiusto e condanni anche i buoni a sofferenze e mali del tutto immeritati. La vista di molti uomini onesti e saggi che soffrono e sopportano i mali più crudeli potrebbe infatti indurre a idee pericolose ed ereticali, se l'astrologia non assicurasse che tali eventi sono dovuti semplicemente a fattori naturali ineluttabili e non hanno alcun fondamento nella volontà e decisione divina.
All'obiezione dei teologi, i quali affermano che le stelle sono così innumerevoli che è praticamente impossibile determinarne e definirne l'influenza, il B. risponde che gli astrologi hanno sempre, in ogni caso, una maggiore conoscenza degli "oggetti" della loro scienza, di quanto non l'abbiano i teologi a proposito dell'"oggetto" primario del loro sapere, che è Dio stesso. E, per difendere la propria arte, non esita ad affermare non solo che anche i più grandi santi e personaggi dell'Antico e del Nuovo Testamento hanno studiato e apprezzato l'astrologia, ma che lo stesso Cristo avrebbe riconosciuto implicitamente la verità della dottrina della scienza delle "elezioni".
Tra le parti più interessanti del De astronomia è certo il trattato sulle "elezioni", nel quale sono fornite precise istruzioni per scegliere opportunamente il luogo dove dovrà sorgere una città, un castello, una rocca o una chiesa; e dove, ancora, si avanzano previsioni su quali saranno, per alcuni anni, lo stato della Chiesa, le condizioni dei vescovi e altri membri del clero o, in genere, dei rappresentanti delle maggiori classi della società del suo tempo: re, principi, magistrati, mercanti, soldati, ecc. Non diversamente il B. tratta, con particolare competenza, temi di medicina astrologica, indicando le condizioni e gli influssi "positivi" e "negativi" della cura delle malattie; il che spiega la diffusione di questa parte del Tractatus, che circolò anche separatamente come ricorda il Thorndike, citando un manoscritto oxoniense del XV sec., sotto il il titolo Regulae ad sciendum dediversis adaegrotantes spectantibussecundum Guidum Bonattum.
L'ampiezza della materia trattata dal B., i suoi interessi così pratici e "quotidiani" spiegano, quindi, facilmente la fortuna del Tractatus de astronomia, che ebbe subito una larga diffusione manoscritta, che meritò un volgarizzamento italiano ad opera di Angelo Sirigatti, conservato nella Biblioteca Laurenziana, Plut. XXX, n. XXX (cfr. M. Bandini, Catalogus codicum italicorumBibliothecae Mediceae Laurentianae,Gaddianae et S. Crucis, col. 18). La sua prima edizione a stampa (Opus Guidi Bonatticontinens decem TractatusAstronomiae) risale al 1491 (Augustae Vindelicorum, per Erhardum Radtolt: cfr. Hain, n. 3461; Copinger, I, p. 113; Proctor, n. 1891; Schreiber, n. 3519; Pellecht-Polain, n. 2577; Gesamtkatalog der Wiegendrucke, IV, Leipzig 1930, n. 4643); ad essa seguirono poi varie ristampe (Venetiis 1506; Basileae 1530; Basileae 1550; Augustae Vindelicorum 1581). Nel 1572 comparve poi a Basilea una sua versione tedesca sotto il titolo: Auslesung des menschlichenGeburt-Stunden; poi, nel 1676, William Lilly pubblicava a Londra una sua versione inglese dal titolo: Anima Astrologiae,or a Guide for Astrologers: being the Considerations of the famousG.Bonatus rendered into English: as alsothe choicestAphorisms ofCardan's VII Segments. Ampi e frequenti riferimenti polemici all'opera del B. sono contenuti nelle Disputationes adversusastrologiam divinatricem di Giovanni Pico: esse testimoniano la diffusione dei Tractatus decem a quasi due secoli di distanza dalla morte dell'autore.
Il B. viene ricordato da Dante, ma senza particolare rilievo, nell'Inferno (XX, 118), ove è posto nella quarta bolgia dell'ottavo cerchio, tra astrologi, falsi profeti e indovini impostori. Il poeta della piena dignità umana e del libero arbitrio, colui che ammoniva, per bocca di Marco Lombardo "Lo cielo i vostri movimenti inizia; / non dico tutti, ma, posto ch'i' 'l dica, / lume v'è dato a bene ed a malizia, / e a libero voler..." (Purgatorio, XVI, vv. 73-76), non poteva immaginare una punizione diversa per chi aveva invece cercato l'origine prima del bene e del male e delle azioni umane "pur suso al cielo, pur come se tutto / movesse seco di necessitate" (ibid., vv. 68-69). Sarà qui interessante sottolineare, tuttavia - perché metro dell'importanza attribuita da Dante all'opera di questo astrologo - come il poeta si sia limitato a citare, del B., il semplice nome, a differenza che per Michele Scoto, l'astrologo di Federico II "che delle magiche frodi seppe il gioco", e di Benvenuto detto l'Asdenti, a ciascuno dei quali dedicò invece una terzina.
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