CADORIN, Guido
Nacque a Venezia il 6 giugno 1892, undicesimo figlio di Vincenzo, intagliatore ed ebanista (cfr. la voce in Diz. biogr. degli Ital., XVI, pp. 96 s.) e di Matilde Rocchin. Un anno dopo la sua nascita, la numerosa famiglia si trasferì alle Fondamenta Briati in un ampio edificio che univa abitazione e bottega, ciò che permise un continuo e produttivo contatto dei figli con le tecniche e i problemi dell'arte, in particolare scultura e decorazione.
La bottega dei padre, oltre che per il C. e per il fratello Ettore (ibid., pp. 94 s.), servì da scuola, anche per i fratelli Ida e Romeo. Ida (Venezia, 16 maggio 1879-3 genn. 1906), che fu allieva di G. Ciardi e frequentò insieme con il C. lo studio di M. Fortuny, si specializzò nella tecnica dell'acquarello, prediligendo come soggetti i fiori e le vedute di Venezia. Si dedicò anche a disegnare modelli per cornici, pizzi, ferri battuti e ventagli e alle pirografie su scatole di metallo. Sposato nel 1903 Pietro Osghian, insegnante all'Accademia di belle arti, decorò in stile floreale a fresco la loro casa di Cison di Val Marino (Treviso), la cui architettura è del marito. Romeo (Venezia, 29 sett. 1889-26 marzo 1934) si dedicò in particolare alla modellazione in gesso e alla scultura in marmo. Partecipò alle mostre di Ca' Pesaro (1912 e 1919), alla IV Secessione romana (1916- 17), alla mostra "Le Tre Venezie" a Milano (1917) e alla Biennale di Venezia del 1920. Alla Mostra d'arte sacra di Venezia del 1920 presentò un ostensorio in argento (parrocchiale di Treviso); dello stesso anno è il portale in marmo dell'università di Padova. Nel 1920 ebbe la cattedra di plastica alla Scuola d'arte di Tolmezzo e nel 1922 quella di disegno ornamentale, ma nel 1923 fu colpito da un ictus cerebrale che gli impedi di continuare a lavorare consentendogli soltanto la stesura di diari privati.
Già ben avviato alla conoscenza di alcune tecniche artistiche, il C. si iscrisse al ginnasio "Marco Polo", dove conobbe il futuro architetto e cognato Brenno Del Giudice; negli stessi anni frequentò la Scuola libera del nudo, pur non essendo iscritto, e conobbe il pittore Ettore Tito e l'architetto Giuseppe Torres, insegnanti dell'Accademia veneziana. Tuttavia il padre preferiva per il C. ai corsi accademici un alunnato presso la bottega di un pittore e decise per quella di Cesare Laurenti, artista diffusore di stilemi Liberty. In attesa di entrare alla scuola, il giovane C. frequentò assiduamente lo studio di Duilio Korompay dove si impratichì nella pittura ad olio e, insieme con la sorella Ida, frequentò la casa di Mariano Fortuny, nella quale ebbe modo di conoscere l'arte orientale, in particolare giapponese, e acquisì un. gusto personalissimo per la decorazione di stoffe, mobili, vetri, mosaici, stucchi che accanto ai dipinti rappresentarono. lungo tutto l'arco della sua vita un fondamentale campo di ricerca e sperimentazione artistica. Intorno al 1905 ebbe accesso anche agli studi di Maria Vinca e Silvio Rota, strinse amicizia con Guido Marussig e Amedeo Modigliani e ricevette la prima commissione: l'esecuzione di un biglietto d'invito per il Garage Marconi di Mestre, progettato in forme secessioniste dall'architetto Torres, che il C. impaginò secondo i dettami della grafica Liberty. L'ingresso nella scuola del Laurenti, nel 1907, segnò una data fondamentale nella carriera artistica del C., che qui incontrò Arrigo Andreani e Nino Springolo, e l'anno seguente espose a Ca' Pesaro, in una mostra organizzata da Nino Barbantini, opere di arte decorativa in linea con l'attività dei Laurenti, impegnato in quel periodo nella decorazione dell'albergo Storione di Padova. Il 1908 è l'anno dell'incontro con tre modelli fondamentali nell'evoluzione artistica del C.: la personale di Gustav Klimt alla Biennale veneziana, i mosaici di Ravenna e la Pala di S. Zeno di Andrea Mantegna a Verona. L'anno seguente Laurenti decise di chiudere la scuola di pittura e il C. aprì un proprio studio continuando (fino al 1912) ad esporre a Ca' Pesaro, dove nel 1910 propose un mobiletto intagliato e dipinto. Nel 1909 fu presente per la prima volta alla Biennale, nella saletta dedicata alle attività decorative della famiglia Cadorin, con un cassone dipinto, cuscini e una serie di dodici piatti acquarellati ora perduti (per la saletta, che non figura nel catal. dell'VIII Biennale, vedi L. Coletti, in Vita d'arte, III [1909], p. 299). Il suo esordio pubblico fu quindi come artista decorativo, esecutore magistrale di splendidi oggetti d'arredamento secondo la linea evolutiva della bottega di famiglia.
Un notissimo Ritratto della madre (Venezia, collezione privata) lo fece emergere come pittore procurandogli l'amicizia di Gino Rossi, nel 1910, in contemporanea ad un viaggio di studio a Firenze. Al medesimo anno data la prima importante commissione: don Celso Costantini lo incaricò della realizzazione di un ciclo di affreschi nella chiesa della Visitazione a San Vito al Tagliamento; le due lunette e gli sguanci delle finestre saranno terminati l'anno seguente. Nel 1911 il C. entrò nel novero degli artisti italiani invitati ad esporre a Valle Giulia in occasione dell'Esposizione internazionale d'arte: in questa occasione rivide Klimt, conobbe la pittura spagnola, entrò in contatto con le novità artistiche europee; al suo ritorno a Venezia (1911) ricevette una lettera di Marinetti che lo invitava ad aderire al futurismo, ma il C. rifiutò.
I ritratti erano ancora il cavallo di battaglia dell'artista: quello della madre aveva catalizzato l'interesse dei critici a Roma; nel 1911 quello di Livia Tivoli Fiorucci (pittrice, che sposerà nel 1917) veniva esposto a Milano tra i "rifiutati di Brera" al caffè Cova, mentre quello del padre era presentato al Camegie Institute di Pittsburg.
Intorno al 1913 il C. iniziò gli studi di paesaggio spostandosi spesso lungo la laguna, specie a Pellestrina, mentre si impegnava alla preparazione della personale alla Biennale dell'anno seguente. L'opera presentata alla commissione fu un trittico raffigurante: Il tacchino, I bevitori e Il Carnevale, intitolato Carne, carne, sempre carne, che però venne respinto. Il C., unendosi ad altri artisti sottoposti al medesimo giudizio quali G. Rossi, A. Martini, F. Casorati, U. Boccioni, promosse una controesposizione all'Hôtel Excelsior alLido, che suscitò molto rumore fra i critici e gli aprì definitivamente la strada nelmondo artistico nazionale. Tant'è che nel 1915 la Secessione romana lo invitò ad esporre in una personale dipinti di paesaggio, oltre ai noti ritratti tra cui Il kimono. La regina Margherita acquistò il dipinto Barche e Antonio Maraini, futuro segretario della Biennale, coprì di elogi il giovane pittore veneziano. Allo scoppio della prima guerra mondiale il C. fu chiamato in servizio al reggimento di S. Nicolò al Lido, dove il capitano Roberto Papini, direttore della Galleria d'arte moderna di Roma, gli commissionò sei tele per la mensa ufficiali, di cui si sono salvate solamente Trincea, un lirico campo fiorito, e Il ritratto del Capitano (Venezia, collezione privata). Al termine del conflitto la necessità di restaurare e ricostruire edifici privati e fabbriche religiose nella zona del Piave portò al C. una notevole messe di lavoro e come pittore e come decoratore. L'amico pittore L. De Blaas lo indusse a produrre bozzetti di decorazioni per le famiglie Brandolini e Melzi di Padova e gli procurò (1918) la commissione della ricostruzione della villa del conte Nicolò Papadopoli a Vittorio Veneto (l'apparato architettonico fu affidato al cognato Brenno Del Giudice).
L'impresa diede straordinari risultati: il C: risulta impegnatissimo nel produrre disegni per i mobili laccati, per la pittura su stoffe di seta, nell'incidere il linoleum per le stoffe stampate, modellare stucchi, progettare lampadari poi realizzati da un cospicuo numero di artigiani altamente specializzati che riproducevano, in un certo senso, le tradizioni di antiche botteghe settecentesche così come la famiglia dell'artista se le era tramandate. La villa venne alienata dagli eredi nel 1940 e dal 1970 fu trasformata in ospedale, mentre gli arredi furono dispersi tranne pochi resti di proprietà degli eredi.
Nel 1917 il C. si dedicò alla realizzazione di una serie di incisioni in legno intitolata Venezia durante la prima guerra mondiale, edita dallo Zanetti; mentre nel 1919 fu invitato ad una personale a Ca' Pesaro nella quale esponevano anche Brenno Del Giudice e il fratello Romeo. Il 1920 segnò il ritorno in grande stile alla Biennale con due dipinti notissimi, Le tabacchine e Il ritratto di Livia (in catal. Mia moglie e mio figlio); fece anche parte della commissione di collocamento per le opere della sezione italiana. Negli stessi anni produsse una serie di disegni per la lavorazione del vetro soffiato di Venini, e partecipò alla Mostra nazionale d'arte sacra a Venezia con alcune tempere e bozzetti, in collaborazione con Del Giudice, per la decorazione musiva di chiese danneggiate dalla guerra, impegno che gli procurò la commissione degli affreschi della parrocchiale di Coi San Martino eseguiti con l'aiuto di Astolfo De Maria e Bortolo Sacchi. Al 1921 data l'incontro con l'industriale della seta Arrigo Zadra, che lo incaricò della decorazione della parrocchiale di Vidor alla quale prese parte anche Bortolo Sacchi. Lo stesso anno vinse il secondo premio al concorso per la sistemazione della chiesa di S. Francesco a Ravenna, mai eseguita per irregolarità da parte del vincitore Adolfò De Carolis. L'anno seguente egli partecipò alla XIII Biennale veneziana per la quale progettò fra l'altro un passaggio coperto e una fontana, realizzata dalla ditta R. Gianese, con pannelli musivi raffiguranti l'Estate (ora scomparsi ma esposti alla Mqstra nazionale di arti decorative a Monza nel 1923; cfr. ill. in catal., 1987, p. 114) e stucchi graffiti. Iniziò anche la decennale amicizia con Gabriele D'Annunzio, che porterà il C. a lavorare al Vittoriale (lettere dal 1922 al 1937 nell'archivio della famiglia Cadorin; vedi anche Paludetti, 1960; Terraroli, in catal., 1987, pp. 105-110). La grave malattia del fratello Romeo, nel 1923, segnò pesantemente la vita del C. che ricevette in quell'anno la commissione per la decorazione di villa Zadra a Vidor, nella quale scelse come aiuto il pittore-decoratore Zanzotto: il risultato è una fantasmagorica decorazione che prende l'avvio dagli affreschi veronesiani per mescolarsi alle più accattivanti soluzioni secessioniste; il tutto però controllato da una geometrica griglia distributiva (De Guttry-Maffio-Quesada, 1985, p. 109, figg. 22-23). Un'importante manifestazione, che gli aprì le porte del mercato milanese, fu la collettiva organizzata da Vittorio Pica alla galleria Pesaro di Milano (1923), nella quale espose mobili laccati secondo l'antica tradizione veneziana, vetri, ceramiche e ovviamente dipinti. Partecipò anche con alcuni vetri realizzati da Venini., Cappellin e Toso, e arazzi di Vittorio Zecchin, alla Mostra nazionale d'arte decorativa di Monza.
Sempre nel 1923, in ottobre, espose all'estero in una mostra circolante per varie città dell'Olanda e alla Tentooti Stelling van Werken van Veneziansche Schilders dell'Aja, con Sacchi, De Maria e Marenesi, riscuotendo un lusinghiero successo di pubblico e critica; partecipò anche al concorso per la tela dell'altar maggiore della parrocchiale di Valdobbiadene raffigurante S. Venanzio. La pittura sacra del C. è una costante nella produzione artistica di questi anni: restano a testimoniarne l'efficacia e la qualità, oltre ai grandi apparati decorativi nelle chiese del Piave, anche piccole opere quali il tabernacolo con la Madonna e i santi francescani sistemato sul ponte palladiano di Bassano del Grappa e la piccola Deposizione presentata alla Biennale veneziana di arte liturgica del 1923. Il genere che più si attagliava alle esigenze espressive del C. fu tuttavia il ritratto; così partecipò, essendone poi premiatb, alla Mostra del ritratto di Monza nel 1924 e alla Biennale di Venezia dello stesso anno. Nel 1924 fu convocato al Vittoriale di Gardone Riviera dove Gabriele D'Annunzio gli commissionò la decorazione della Zambra del Misello: la stanza da letto del poeta.
Qui il C. sembra portare al massimo livello espressivo le qualità di decoratore che già numerose volte aveva dimostrato: l'impiego delle antiche tecniche artigianali della lacca, dei pannelli dipinti nei soffitti, delle vetrate, rende questo ambiente uno dei più omogenei ed affascinanti del Vittoriale. Al C. si devono, oltre al soffitto a pannelli raffiguranti figure femminili su un fondo oro, anche la progettazione di vetrate con figure di sante e il ritratto del poeta.
Terminata l'impresa decorativa al Vittoriale nel 1925, il C. ritornò in Veneto per un'ulteriore commissione d'arte sacra: gli affreschi raffiguranti i Dodici apostoli nella chiesa parrocchiale di Moriago che eseguì con l'aiuto di Astolfo De Maria; nel medesimo anno (1925) portò a compimento il ciclo pittorico nel presbiterio della chiesa di Vidor e venne chiamato a Roma da Marcello Piacentini; insieme, con l'architetto Melchiorre Bega, ebbe il compito di decorare il salone centrale dell'Hôtel Ambasciatori di via Veneto.
Seguendo i modelli veronesiani nelle riquadrature delle pareti e nel soffitto a stucco, il C., aiutato da Brenno Del Giudice, realizzò una quadratura a mezzo fra il barocco e il Liberty, e inserì, con un'arte che ricorda Van Dongen, personaggi noti del mondo della cultura e dell'arte contemporanea in abiti moderni tra i quali sono riconoscibili Margherita Sarfatti, Felice Carena, Giò Ponti, lo stesso Piacentini.
Il 14 marzo 1926 presentò alla Permanente di Milano, in occasione della prima mostra di "Novecento", il dipinto Pietà con i ss. Rocco, Sebastiano e Stefano (Vidor, deposito della parrocchiale) nel quale risulta evidente il recupero di stilemi della tradizione veneziana e un totale abbandono del decorativismo dell'Art nouveau. Sempre nel 1926 partecipò all'Esposizione d'arte organizzata da L. De Bosis a New York con opere importanti, fra le quali Il campo della Bragora, e alla XV Biennale della città di Venezia con alcuni ritratti. La fama del C., ormai svincolatasi da scuole e movimenti, aveva risonanza internazionale. La curiosità e l'interesse per le novità portarono il C. via da Venezia: nel 1928 fece il primo viaggio a Parigi, eseguì alcuni dipinti utilizzando i fondi oro per il foyer e il caffè del teatro dell'Opera di Roma e realizzò, per il palazzo della Montecatini a Milano, l'affresco dello scalone, ora distrutti. Ritornato a Venezia vinse la cattedra di decorazione all'Accademia di belle arti, e nel 1929, su commissione di Marcello Piacentini, si trasferì a Bolzano per decorare con due monumentali figure la cripta del monumento alla vittoria. Nel medesimo tomo di tempo vinse il premio per l'esecuzione della paia d'altare della chiesa in SanPietro di Gorizia (ora Nova Gorica) e, in collaborazione con Del Giudice, il concorso per la cattedrale di La Spezia, mai eseguita. Ma l'impresa più significativa di questi anni è il cantiere di S. Giusto a Trieste.
Nel 1927 era stato bandito il concorso per il progetto della decorazione musiva dell'abside principale; nella primavera del 1930 il C. fu dichiarato vincitore e i lavori ebbero inizio il 3 novembre di quell'anno; l'intero ciclo raffigurante l'Icoronazione della Vergine e sei santi triestini (Giusto, Servolo, Sergio, Apollinare, Eufemia e Tecla), portato avanti dal solo C., fu terminato nel 1933. Inoltre con i mosaicisti Giuseppe e Pompeo Bertini attese al restauro di alcune figure di Santi nella chiesa di S. Spiridione sempre a Trieste.
L'attività espositiva non si arrestò: nel 1929 partecipò alla Internazionale di Barcellona su invito del governo italiano, e nel 1930 espose alla Biennale veneziana un folto numero di opere mentre nel 1932 decorò con una nicchia a mosaico il padiglione dedicato alle opere di Del Giudice (ora distrutto). La celebrazione dei miti nazionali coinvolse anche il C. che nel 1932 per il palazzo delle Poste di Gorizia progettò un gigantesco pannello dedicato alla famiglia fascista e, nel 1935, eseguì a Bruxelles all'Esposizione internazionale, per il padiglione italiano, realizzato da De Renzi e Libera, un fregio allegorico e, su commissione di Piero Parini, decorò la Casa del fascio di Bruxelles. Nel 1936 espose alla galleria Kley kamps a L'Aja, vinse il primo premio all'Esposizione internazionale d'arte di Budapest e venne nominato titolare della cattedra di pittura all'Accademia di Venezia. Negli anni 1937-1938 fu impegnato in numerose mostre in Italia e all'estero (Ginevra e Parigi); per la Biennale del 1938 dipinse uno dei quattro pannelli della rotonda e presentò numerose opere anche di arte decorativa in una personale. Nel 1939 eseguì la pala d'altare della chiesa parrocchiale di Pero presso Treviso con cinque figure di Santi, due pannelli a mosaico per il cinema S. Marco a Venezia, raffiguranti Pantalone e Pulcinella, e partecipò all'impresa decorativa del palazzo di Giustizia di Milano, ideata da Marcello Piacentini, con un monumentale Giudizio di Salomone in cui ái evidenziano echi sironiani. Nel 1941 espose alla galleria Asta di Milano e realizzò tre dipinti per il salone di Ca' Faccanon, sede del Gazzettino di Venezia.
Nel 1942 ebbe una personale alla Biennale, un Autoritratto fu acquistato dalla Galleria degli Uffizi di Firenze e fu organizzata una sua antologica a Treviso; nel 1944 espose alla galleria Trieste di Trieste. Negli anni postbellici partecipò alla Quadriennale di Roma e alla Biennale a Ca' Pesaro (1948). Nel 1951 vinse il concorso per la pala della chiesa di Recoaro Terme e nel 1952 fu invitato alla Biennale nella "Antologia dei maestri"; espose a Barcellona (galleria Grifè y Escoda), a Madrid (Circulo de Belles Artes, 34 dipinti), a Parigi (personale, galleria Charpentier). Sempre nel 1952 portò a compimento un pannello a mosaico per il palazzo delle Poste di Mestre. Nel 1953 espose a San Francisco e nel 1955 esegui a mosaico la grande pala d'altare per la chiesa di Recoaro Terme; nel 1956 vinse ex aequo il primo premio per le vetrate della chiesa di S. Niccolò a Lugano e nel 1957 ricevette una consacrazione definitiva con la mostra antologica organizzata da Virgilio Guidi nell'ala napoleonica dei Museo Correr a Venezia. Nel 1962 lasciò l'insegnamento all'Accademia per raggiunti limiti di età e trasferì il proprio studio a S.Bastian, nello stesso palazzetto dove era nato; ricevette la commenda di prima classe e la medaglia d'oro del presidente della Repubblica per l'arte e la cultura. Nell'ultimo decennio di vita fu ancora presente in moltissime mostre, sia personali sia collettive (v. elenco in catal., 1987, pp. 114 s.).
Straordinariamente attivo fino alla fine, il C. morì a Venezia il 18 ag. 1976.
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