CASONI, Guido
Nacque a Serravalle (Treviso) nel 1561 da Annibale e da Cristina Moneta. Il padre aveva raggiunto una notevole agiatezza economica mediante fortunate imprese commerciali e l'acquisto di varie terre-poste tra Serravalle e Treviso, ma in vecchiaia gli affari avevano subito pericolosi arresti, sì che quando mori (qualche tempo prima del 1590) lasciò la famiglia in una grave situazione economica, che toccò al C., maggiore di altri due fratelli, Sertorio ed Ettore, di riparare. Egli aveva intrapreso gli studi giuridici e, ancora vivente il padre, aveva cominciato a esercitare la professione notarile a Serravalle. Nell'archivio notarile della città è conservato il protocollo degli atti rogati dal C., ma è straordinariamente scarso: segno che ben presto egli si decise per motivi di lucro ad alternare le mansioni di notaio a Serravalle con quelle di avvocato nella vicina Treviso.
Dopo la morte del padre, il C. fu ascritto nel Consiglio dei nobili di Serravalle (1591), ma, assillato dalle urgenti questioni finanziarie lasciate in sospeso da Annibale, partecipò a poche sedute trasferendosi a Venezia ove è documentata la sua presenza fino al 1594. Nel 1595 è di nuovo nella cittadina natale dove intensifica l'attività di avvocato patrocinando le cause della Comunità nella lotta che essa frequentemente sostiene con i distretti vicini e con la Camera fiscale di Treviso.
A Serravalle sposò Benedetta Minucci, di cospicua famiglia cittadina (era sorella di Minuccio Minucci, futuro vescovo di Zara), che collaborò a rinsanguare le dissestate sostanze del C. con una ricca dote. Del resto, che il C. fosse in possesso di spiccate doti pratiche è dimostrato dal fatto che egli seppe personalmente provvedere non soltanto al risanamento del patrimonio domestico, ma al mantenimento di ben sedici figli, di cui dodici giunti a maggiore età, con i soli guadagni derivanti dalla professione.
Questa si svolse fra Treviso e Venezia alternandosi, durante tutta la vita del C., all'attività letteraria e fu sicuramente una professione tale da permettere allo scrittore una dignità più che modesta. Ottenne infatti più volte l'incarico di procuratore di Treviso e in questa città egli figura sempre tra i più ragguardevoli cittadini quale membro della cavalleresca Accademia dei Perseveranti. Il 7 marzo 1619 ottenne dal doge Antonio Priuli il titolo di cavaliere di S. Marco con una motivazione che, attraverso i meriti letterari già ampiamente acquisiti in questa data, riconosce al C. una chiara dignità civile: "... et si come se ne son veduti et giornalmente vegonsi conspicui gl'effetti del suo eruditissimo ingegno nelle opere che ha dato e manda a tutt'hora alle stampe, così havendone riportato sempre la lode, et estimation universale, et dimostrato in ogni tempo la sua devotione verso la Nostra Repubblica propria di degno e buon suddito, ci siamo a ragione mossi ad honorar la sua Persona".
A Venezia, membro dell'Accademia degli Incogniti di cui fu uno dei primi soci, era accolto sempre con entusiasmo dall'amico Giovan Francesco Loredano, il quale inoltre ci attesta, nelle Glorie degli Incogniti che "la sua casa divenne un novello tempio d'Apollo, riducendo egli ogni giorno tutti i più begli spiriti che si trovassero in questa maravigliosa città". Fra Treviso, dunque, e Venezia, ove il C. sporadicamente si recava per sorvegliare di persona l'edizione di qualche opera o per partecipare alle riunioni degli Incogniti, si svolse la tranquilla esistenza dell'avvocato e poeta serravallese sino a che non lo colse la morte, nel 1642.
Compianto dagli amici letterati riuniti intorno alla figura del Loredano, fu tumulato nella chiesa di S. Giustina di Ceneda (attuale Vittorio Veneto) con una lapide commemorativa che ricordava il suo brillante ingegno nel campo della poesia e della pratica forense.
Anche l'attività letteraria del C. si svolse tranquillamente, se non come la sua vita domestica e professionale, certo priva di quei bruschi colpi di scena che caratterizzarono la fortuna letteraria di molti suoi contemporanei, non esclusi ovviamente alcuni degli Incogniti. Esordì appena ventenne componendo le Allegorie a ciascun canto del Goffredo, edito dal Malespina a Venezia nel 1581, cui fece se guito la Vita della Gloriosa Vergine e Martire Augusta Serravallese, un'agiografia in ottave pubblicata a Venezia nel 1582. Alcuni sonetti e ottave del C. in morte di Giuliano Goselini figurano nel Mausoleo di Poesie volgari et Latine in morte del Sig. Giuliano Goselini (Milano 1589), ma la sua opera giovanile più fortunata fu La Magia d'Amore, edita la prima volta nel 1591 e poi più volte ristampata fino a che fu inclusa nelle Opere del Sig. Cavalier Guido Casoni, edite a Venezia, da Tommaso Baglioni, nel 1626.
Nella lettera dedicatoria premessa dal Baglioni alla ristampa dell'opera egli la chiamava "figliuola primogenita del Sig. Cavalier C.", nata "pochi anni dopo il natale dell'autore poiché egli di diciotto anni la scrisse". Si tratta di un'opera che sì innesta sulla tradizione della trattatistica d'amore cinquecentesca, ma in cui lo schema e l'equilibrio del dialogo si infrange sotto i colpi di una ricca immaginazione tesa a sorprendere in senso ironico ed edonistico la buonafede del lettore cinquecentesco (in essa "si dimostra come Amore sia Metafisico, Fisico, Astrologo, Musico, Geometra, Aritmetico, Grammatico" e tante altre cose). Stabilire che il C. abbia inaugurato il proprio ingresso nell'agone letterario con questa bizzarra opera è importante perché si intende così la matrice concettistica che costituisce il fondamento culturale dello scrittore.
La seconda importante pubblicazione, quella delle Ode, che avvenne a Venezia nel 1602, avvicina direttamente il C. al Marino, col quale strinse un'amicizia "che continuò con sonetti, con lettere scambievoli sino al periodo estremo della vita del Marino" (G. F. Loredano, Vita del Cavalier Marino, Venezia 1631, p. 32). Il libro delle odi consiste originariamente in una raccolta di trentotto componimenti, ai quali altri verranno ad aggiungersi nel corso delle successive edizioni del libro fino a raggiungere il numero di settantadue nell'edizione bellunese del 1639. Sono, in massima parte, componimenti d'occasione: poesie scritte per nascite illustri, nozze, monacazioni, commissionate per celebrare autorità o artisti contemporanei, o ispirate, nei casi migliori, dal sentimento amoroso, che fornisce, a parte l'esiguo spazio riservato a meditazioni morali, i temi più frequentemente ricorrenti nella raccolta. In questo margine abbastanza ristretto lasciato a una libera evocazione sentimentale, si riscontrano i versi più notevoli delle Ode: quelli rievocanti il riso dell'innamorata: "Son tutte meraviglie / quelle che tra i cinabri / e le rose vermiglie de'gli umidetti labri / nascon, ma la vittoria d'Amor nasce dal riso e la sua gloria"; o quelli che sanno ritagliare, come in un finissimo lavoro di cesello, oggetti sbalzati su uno sfondo di lucentezza cristallina: "Luccioletta gentile, / mentre scherzi e t'aggiri, / fai a l'ombre un monile / co' tuoi lucidi giri, / spiritosa facella, / rubin volante e fuggitiva stella".
Questa materia affettiva, rappresentata nell'edizione del 1602con l'evidenza dell'impressione pittorica, con l'elegante semplicità che ricorda l'esperienza madrigalesca del Cinquecento, si appesantisce nel corso delle successive aggiunte sino ad incorporare temi e sfumature espressive proprie del più farraginoso seicentismo. E tuttavia già nella prima edizione dell'opera si avvertono approssimazioni che increspano la compatta superficie della lirica cinquecentesca, alcuni scandagli in senso concettistico che piaceranno al Marino (cfr. il sonetto della Galleria: "O se, Guido, impetrar mai potess'io") e che entreranno attraverso la sua personale imitazione dal C., nel patrimonio stilistico della scuola, da Antonio Bruni al Barbazza.
Ma probabilmente il C. non si decise mai ad entrare nella cerchia dei marinisti militanti, neanche quando, nel clima della fervente polemica che si accese intorno al poeta dell'Adone, il Bruni lo sollecitò a dichiararsi in favore del Marino con le più allettanti lusinghe ("Sol tu ritrarre, o mio Cason, ben devi / que' suoi singulti, e fargli eterni e vivi") e Andrea Barbazza lo incitava a intervenire contro il maggiore detrattore del Marino, Tommaso Stigliani: "Cason, tu che con stil dolce e canoro / fai cantando ammutir cigni e sirene / ..., digli per cortesia ch'egli è mal atto / a mostrarsi poeta illustre e terso / col suo stil da minchion, da sciocco e matto, / che tentando ad un tratto / poggiar in Pindo, va tutto stroppiato / or in fango caggendo, or in fossato".
È piuttosto da credere che l'indole schiva del C. rifuggisse naturalmente dagli eccessi della polemica, piuttosto che, supporre, come è stato ipotizzato da Zanette, che il serravallese si considerasse nel suo intimo un maestro anziché un discepolo del Marino. Del resto tutta una serie di opere, successiva alle Ode, si colloca nell'atmosfera più riposante e tranquilla di Treviso: ciò fa supporre che nel C. fosse più vivo il desiderio di una calma esercitazione poetica nei luoghi natali che il senso di emulazione nella città che aveva visto sorgere l'astro del Marino.
Ci si riferisce all'Apologia per l'impresa dei SS. Perseveranti di Trevigi (data per inedita da E. Zanette) per difendere una impresa che era stata da lui stesso escogitata per l'omonima accademia cittadina, al Teatro poetico, uno zibaldone di temi narrativi in ottave che ebbe notevole diffusione a Treviso dopo la prima edizione del 1615, a Le battaglie pacifiche (Venezia 1621), ove lo scrittore inventa fantastici tornei cavallereschi allo scopo galante di rendere omaggio alla bellezza delle donne trevigiane.
Al medesimo intento di elegante intrattenimento risponde la commedia Il giuoco di fortuna (Venezia 1622), mentre ben più meditati e impegnativi per l'autore furono, gli Emblemi politici, sermoni in endecasillabi sciolti pubblicati a Venezia dal Baglioni nel 1632. Come avvenne per la Magia d'Amore, anche quest'opera è preceduta da una lettera dello stampatore in cui si tessono le più sperticate lodi del C. riferendole ad un non meglio identificato "gran personaggio francese": "Un gran personaggio francese, e non manco grand'osservatore delle muse toscane, prima ch'ei vedesse gli eruditissimi e leggiadrissimi componimenti di quello, disse che in Italia non v'erano poeti di fina tempra e di vena gentile; e dopo letti ed ammiratigli per singolari, replicò con vivo e leale attestato che d'unico e perfetto poeta il titolo gli era veramente dovuto".
Alla lettura l'opera si rivela deludente rispetto alla splendida presentazione: non è che una ingenua confutazione del Machiavelli in nome della massima, già largamente assimilata dai poleniisti cinquecenteschi, secondo cui "non è cosa che renda più glorioso il Principe che l'osservanza della Fede", condotta con l'ingenua baldanza del letterato al quale la natura appare come un regno di idillica lealtà.
Interesse ancora nunore riservano le Meditazioni divote "applicate ai misteri divini et ai Santi de' quali si celebra la Festa di giorno in giorno per tutto l'anno" (Venezia 1636), con cui piamente si conclude la produzione non vastissima del letterato serravallese. Del quale meritano una particolare menzione le cute assidue dedicate al poema del Tasso che si concludono nella edizione della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso con la Vita di lui e con gli Argomenti dell'opera del Cav. Guido Casoni, stampata, con dedica a Giovanni Soranzo, dal Sarzina a Venezia nel 1625.
Forse più che nel Marino va ravvisato proprio nel Tasso il poeta modello del C., il quale doveva verosimilmente anteporre alla concitata magniloquenza dello scrittore napoletano l'equilibratura ancor classica dello stile tassesco. Alla luce di questa scelta va forse valutata la sua apparente arretratezza rispetto al trionfante marinismo proprio nell'ambito di quella accademia veneziana ove l'esempio del Marino'dette luogo a un costume letterario inassimilabile, nella sua esuberanza, all'ordine intellettuale del Poeta veneto.
Fonti e Bibl.: G. B. Marino, Lettere, a cura di M. Guglielminetti, Torino 1966, ad Indicem. Un'esauriente biografia del C. è fornita dal libro di E. Zanette, Una figura del secentismo veneto:G. C., Bologna 1933 (con bibl. e un elenco completo delle opere). Cfr. inoltre T. Bozza, Scrittori politici ital. dal 1550 al 1650, Roma 1949, pp. 169 s.