POLENTA, Guido da
POLENTA, Guido (Guido Novello) da. – Nacque verosimilmente a Ravenna non più tardi del 1275 da Ostasio I da Polenta (morto nel 1297); della madre non si conosce l’identità.
Sposò Caterina dei conti Malvicini di Bagnacavallo (morta nel 1327) prima del 16 marzo 1310 (data in cui costei è citata per la prima volta come uxor), con una scelta di politica matrimoniale volta a favorire l’affermazione polentana nell’entroterra ravennate. Da lei ebbe cinque figli: Lamberto (morto nel 1376); Costanza, andata sposa a Nicolò da Carrara; Ostasio (morto nel 1366), marito di Agnese di Guido Zambrasi da Faenza; Polentesia, moglie di Malatestino Novello Malatesti, e Caterina (morta nel 1371) che venne avviata alla vita monastica.
La sua prima menzione risale al 26 maggio 1300, quando Guido Minore da Polenta dispose il pagamento di censi apostolici assieme ai figli e ai nipoti. Dal 1301 compare più volte fra i Savi cittadini (carica che implica il raggiungimento della maggiore età); nel 1304 fu tra i procuratores a cui il Comune ravennate affidò il compito di recarsi a prendere possesso di Comacchio, che aveva allora rinnovato la propria sottomissione a Ravenna; nel 1305 fu tra i consiglieri che deliberarono sulle questioni del sale di Cervia e dei rapporti con Venezia.
Intraprese poi la carriera, consueta per i da Polenta, di magistrato itinerante nell’area emiliana e romagnola e fu chiamato quale capitano del Popolo a Reggio nel 1307. Dopo la morte (1310) di Guido Minore, signore della città, per un certo periodo di tempo tuttavia Guido Novello non compare nella vita pubblica, né a Ravenna né altrove: ma nel 1314 è di nuovo capitano del Popolo a Reggio, poi podestà a Cesena, dove era in carica il 10 agosto, quando il canale del costruendo porto di Cesenatico fu completato per giungere al mare, e il 9 novembre, quando fronteggiò l’attacco portato alla città dalle forze filopapali, che prima respinse al di là del fiume Savio per poi lasciare il campo a causa delle truppe insufficienti al suo seguito.
Dopo la morte dello zio Lamberto (22 giugno 1316), che deteneva il titolo di podestà perpetuo, dall’ottobre seguente figura a propria volta come podestà di Ravenna, e quindi nuovo signore della città.
Guido Novello sembra aver indirizzato il suo governo così da mantenersi estraneo alle turbolenze esterne, in assenza però di notizie sicure e di rilievo: è tramandato che nel 1317 fece fondere la campana grossa del Comune, e che nel 1319 ricevette una nuova sottomissione di Comacchio e guidò una fallimentare azione militare contro Bagnacavallo. L’8 marzo 1321 gli Annales Caesenates forniscono la notizia che egli, nell’ambito delle accese lotte interne agli stessi Polentani, fece catturare nella località Polenta (nei pressi di Bertinoro) e condurre prigioniero a Ravenna il cugino Alberto di Guido Riccio.
Il suo governo fu caratterizzato dal crescente contenzioso con Venezia, che nel corso del tempo aveva imposto a Ravenna patti commerciali sempre più gravosi, imponendo un vero e proprio monopolio sul sale prodotto a Cervia e sulle altre merci in transito nel Ravennate, cui si aggiunse la sorveglianza militare con la costruzione del forte di Marcabò sul Po di Primaro. Nell’ambito di questi contrasti si situa l’ambasceria a Venezia che Guido Novello affidò al prestigio del suo ospite, Dante Alighieri; tuttavia un nuovo accordo fu raggiunto soltanto il 4 maggio 1322, quando Guido Novello già non era più a Ravenna.
La sua parabola di signore era infatti prossima alla fine. Eletto il 23 febbraio 1322 capitano del Popolo a Bologna per il semestre da aprile a settembre, accettò la nomina, pur se forse già in sospetto di macchinazioni all’interno della famiglia; così partì – il 1° aprile successivo risulta già insediato nell’ufficio bolognese – affidando il governo della città al fratello Rinaldo, arcivescovo eletto in attesa della conferma papale.
Il cugino Ostasio da Polenta non mancò di cogliere l’occasione della sua assenza per ordire una congiura messa in pratica con uno stratagemma. La sera del 19 settembre 1322 preannunciò a Rinaldo la sua intenzione di recarsi l’indomani a caccia, chiedendogli in uso i suoi cavalli e ottenendone il consenso. All’alba della mattina successiva Ostasio poté così chiedere le chiavi delle porte urbane senza destare sospetti, usandole – invece che per uscire – per far entrare in armi i suoi alleati (i conti di Cunio e i Malatesti), con i quali si fece ricevere dall’ignaro eletto, subito dopo ucciso.
Appresa la notizia, Guido Novello si trovò di fatto esiliato a Bologna, da cui tentò di mettere in atto più tentativi di recuperare il potere su Ravenna: dapprima ottenne un certo appoggio da parte del Comune bolognese, che gli concesse la cittadinanza, un nucleo di armati e l’usufrutto di una casa e di alcuni beni fondiari. Ben presto però le pressanti richieste diplomatiche delle città romagnole al fine di non sostenere iniziative che potessero turbare il loro status quo indussero il governo bolognese a espellere Guido dalla città, confermandogli però le sue rendite. Così il tentativo condotto a sue spese contro Ravenna fra il 16 e il 17 giugno 1323 non ebbe alcun esito: dopo di ciò non si hanno notizie su Guido Novello, che morì dunque in esilio nel 1330, forse dopo essere rientrato a Bologna.
Guido Novello da Polenta resta noto soprattutto per aver ospitato a Ravenna Dante Alighieri negli ultimi anni del suo esilio fino alla morte, nel 1321, e per aver raccolto attorno a sé un ambiente animato da interessi culturali e letterari. Il da Polenta fu pure poeta stilnovista in prima persona; di lui si sono conservati alcuni componimenti (tramandati da un codice escorialense) che hanno sollevato la discussione sui possibili echi danteschi. Questi indubbi interessi personali hanno contribuito ad alimentare una lettura ex post della sua figura – quasi come di intellettuale che rifuggisse dalle lotte politiche e militari – che naturalmente è priva di qualsiasi fondamento.
La data dell’inizio dell’‘ultimo rifugio’ di Dante è stata oggetto di un intenso dibattito, che l’ha situata indicativamente al 1317-18; i rapporti fra Guido Novello e il poeta furono verosimilmente stretti e affabili anche sul piano propriamente personale, talché Dante lo cita in un noto passo delle sue Egloghe come colui per cui non può lasciare Ravenna. Come osservato già da Corrado Ricci, Guido e gli altri Polentani non ebbero verso Alighieri alcuna avversione, a dispetto dell’attenzione mostrata al loro casato e ai Malvicini di Bagnacavallo soprattutto nei versi dell’Inferno; la stessa Caterina Malvicini favorì, anzi, la concessione di benefici di suo giuspatronato in chiese ravennati al figlio, Pietro Alighieri. E fu nell’ambito di questi rapporti che Dante Alighieri compì incarichi di cancelleria e ambascerie per i da Polenta, fra cui quella verso Venezia del settembre 1321 che probabilmente gli risultò fatale per le febbri malariche che vi contrasse.
Va ricordato piuttosto come un fatto di storia linguistica e culturale che nel 1547 Anton Francesco Doni abbia stampato a Firenze nelle sue Prose antiche di Dante, Petrarcha et Boccaccio un’epistola di Dante a Guido Novello del 30 marzo 1314, in cui il poeta riferirebbe con sarcastiche annotazioni (ovvero che sarebbe stato meglio compreso se fosse venuto dagli Antipodi invece di parlare con «facundia romana») di aver dovuto sospendere la declamazione di un’orazione in latino dedicata all’elezione del doge Giovanni Soranzo, perché il pubblico veneziano non era assolutamente in grado di capirlo. Questa epistola è stata riconosciuta come falsificazione moderna, opera – piuttosto che dello stesso Doni – di ambienti fiorentini, avversi dal punto di vista politico a Venezia e dal punto di vista culturale alle proposte linguistiche del veneziano Pietro Bembo.
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