POLENTA, Guido da
POLENTA, Guido da. – Figlio di Geremia (documentato negli anni 1169-84) e di una madre non identificata, dovette nascere con ogni probabilità fra gli anni Sessanta e Settanta del XII secolo.
Ebbe come fratelli Ostasio e Geremia Grosso. Ricordato dalle fonti la prima volta nel 1183, si unì nel 1187 ad Adalasia di Guido Lazzari, discendente da una famiglia tra le più ragguardevoli dell’aristocrazia ravennate. Guido da Polenta fu padre di dieci figli, tutti sicuramente viventi dal secondo al quarto decennio del XIII secolo: Inghebaldo, Reliquizia, Azzolino, Alberigo, Giovanni, Gualfredo, Lamberto, Lazzaro, Guido e Geremia.
Scarse sono le testimonianze della sua vita, pressoché inesistenti quelle riguardanti gli anni giovanili: non risulta che avesse particolari attitudini politiche e militari, anche se fra il XII e il XIII secolo Guido dovette dispiegare un’attività niente affatto trascurabile per accrescere fortune e patrimonio del proprio casato. Già legato al mondo ravennate per l’investitura dell’abbazia cittadina di S. Giovanni Evangelista alla sua famiglia del castello di Polenta, presso Bertinoro (diocesi di Forlimpopoli), Guido seppe indirizzare il processo di crescita patrimoniale del casato verso la pianura forlivese e soprattutto ravennate, mettendosi alle dipendenze della Chiesa arcivescovile, nella cui curia la sua presenza è segnalata almeno dal 1199 e poi per alcuni anni, quando è ricordato come vicecomes del presule Alberto del castello arcivescovile di Argenta, ovvero amministratore dei beni e diritti della Chiesa ravennate. Guido da Polenta fu così fautore del radicarsi dei Polentani anche nell’antica città esarcale oltre che nel suo territorio: i documenti dei primi anni del XIII secolo lo danno residente in Ravenna, poi lo ricordano come membro del Consiglio generale del Comune e pure come dotato di beni in città, nel vicino piviere di Godo e in altre zone del Ravennate.
Nel 1199 Guido all’interno della Curia arcivescovile prese parte alla condanna in contumacia di un certo Paganello, che si era ribellato all’arcivescovo nel castello di Montalboddo (Marca Anconetana) e fu privato dei suoi beni. Attorno al 1202, in un periodo di preminenza nel Comune ravennate dei Traversari con il loro capofila Pietro, Guido da Polenta mostrò con la sua presenza a una loro transazione di essere in buoni rapporti con quel casato che fino quasi agli anni Quaranta del Duecento avrebbe condizionato la politica comunale in senso filoimperiale. Lo stesso anno, forse in veste di ‘funzionario’ della Curia arcivescovile, fu presente alla restituzione di beni fatta all’arcivescovo Alberto da alcuni bertinoresi appartenenti alle preminenti famiglie Bulgari e Mainardi.
Di particolare importanza per la figura di Guido e per la sua famiglia è una lettera indirizzatagli da papa Innocenzo III il 12 aprile 1212, con la quale si concede al «nobilis vir» Guido la protezione apostolica e la tutela dei suoi beni, in particolare i fondi Burgandentem, Frassenetam e Casacutulam, situati nel territorio forlivese, a conferma della loro concessione fatta in precedenza da un papa Gregorio non meglio specificato: una testimonianza di rilievo della particolare attenzione con la quale il pontefice da un lato mirava a estendere il dominio temporale della Chiesa sulla Romagna in un periodo di forte crisi del potere imperiale e quindi a farsi nella regione potenti alleati; dall’altro, riconoscendo a Guido un titolo di nobiltà, forse da poco tempo acquisito, voleva consolidare un rapporto di dipendenza dalla S. Sede del Polentano probabilmente già avviato qualche decennio prima da papa Gregorio VIII (1187-1188, e quindi non Gregorio VII come certa storiografia ha finora creduto). Di queste terre censuarie della Chiesa romana nel 1192, i da Polenta restarono tributari a lungo nel corso del Duecento, e forse anche oltre. La lettera papale in sintesi può essere considerata anche come una delle prime sicure testimonianze – in tal senso si esprime esplicitamente Innocenzo III – della fedeltà filopapale del casato polentano.
L’appartenenza di Guido alla Curia arcivescovile risulta documentata ancora nel 1214; quella al Consiglio generale del Comune di Ravenna nel 1215. Sono gli ultimi anni, questi, in cui è attestata con certezza la presenza di Guido, ancora vivente quando la moglie Adalasia fece testamento il 24 luglio 1216. Nel testamento fu stabilito per la cattedrale di Ravenna un lascito di varie decine di lire; inoltre un donativo in favore di un ravennate perché in nome suo partecipasse alla Quinta crociata. Adalasia lasciò trecento lire a sua figlia e al padre vari beni, istituendo infine eredi i figli Geremia, Lamberto e Guido. Le fonti danno defunto Guido prima del 6 luglio 1225.
Fonti e Bibl.: J.A. Amadesi, In antistitum Ravennatum chronotaxim, III, Faventiae 1783, n. 34; M. Fantuzzi, Monumenti ravennati dei secoli di mezzo per la maggior parte inediti, II, Venezia 1802, pp. 201, 319, n. 76, III, pp. 65 s., n. 40, 293-295, 302 s., 308-310; A. Tarlazzi, Appendice ai Monumenti Ravennati dei secoli di mezzo di Marco Fantuzzi, I, Ravenna 1869, p. 94; Le Liber censuum de l’Eglise Romaine, a cura di P. Fabre - L. Duchesne, I, Paris 1901, p. 98.
A. Torre, I Polentani fino al tempo di Dante, Ravenna 1966, pp. 4-6, 9; A.I. Pini, Il Comune di Ravenna fra episcopio e aristocrazia cittadina, in Storia di Ravenna, III, Dal Mille alla fine della signoria polentana, Venezia 1993, pp. 201-257 (in partic. p. 249, nota 198); A. Vasina, Dai Traversari ai Da Polenta: Ravenna nel periodo di affermazione della signoria cittadina (1275-1441), ibid., pp. 555-603 (in partic. pp. 561-565); C. Curradi, Fonti per la storia di Ravenna (secoli XI- XV), ibid., I, Fonti archivistiche, pp. 772 n. 89, 783 n. 43.