SERAVALLINO, Guido
SERAVALLINO, Guido di Filippo (da). – Figlio di Filippo di Pietro «rigatterius» e mercante di legname, Guido Seraallino (il cognome compare anche nelle forme Saravallino, Serravallino, Seravellino, con o senza la preposizione «da»; Giorgio Vasari lo chiama «del Servellino») nacque, probabilmente a Pisa, intorno all’anno 1465 (Novello, 1986, p. 133). S’ignora presso chi abbia appreso l’arte lignaria; si può ipotizzare che, dopo un apprendistato presso una delle tante botteghe presenti in città, sia stato in contatto con Cristoforo da Lendinara, attivo tra Lucca e Pisa fra il 1484 e il 1488 (Novello, 1995, pp. 303 s.). Fra il 1488 e il gennaio del 1490, eseguì per l’Opera del duomo di Pisa quindici riquadri intarsiati valutati ciascuno lire undici, di otto dei quali sopravvive nei documenti una descrizione sommaria. Essi erano destinati al coro ligneo della nuova sacrestia del duomo di Pisa, realizzato per la parte strutturale da Michele di Giovanni, detto lo Spagnolo, coadiuvato dai figli Giovanni e Lorenzo; altri cinque riquadri per lo stesso complesso (uno dei quali ugualmente descritto) vennero eseguiti contemporaneamente dal lucchese Giuliano di Salvatore (Novello, 1986, pp. 131 s., 144-146).
I resti del ciclo sono riconoscibili in due spalliere con complessivi sedici pannelli intarsiati e nel frammento di un diciassettesimo, conservati nel Museo dell’Opera del duomo di Pisa (Novello, 1995, pp. 643-645, nn. 1998-2016); tra i riquadri sono presenti tutti quelli descritti nei documenti relativi a Seravallino e a Giuliano di Salvatore. Le tarsie di Seravallino mostrano motivi iconografici e compositivi derivati dall’opera del padano Cristoforo da Lendinara, eseguiti però con uno stile minuto più vicino ai modi della scuola fiorentina. Seravallino realizza quindi una sintesi fra le due diverse tradizioni dominanti nell’intarsio italiano che compare anche nelle opere successive dell’artista e, in generale, nella produzione posteriore di artisti locali quali i lucchesi fratelli Pucci (su di loro: Novello, 2016). Di particolare interesse sia i soggetti animali sia le tarsie che presentano immagini riconoscibili di luoghi pisani, tra le quali spicca una ‘veduta’ attraverso archi della zona dell’Arno nei pressi del ponte alla Fortezza (Ferretti, 1982, p. 563, tavv. 540-541; Novello, 1986, p. 136; Id., 1995, p. 644, nn. 2004-2006). Fra il 1490 e il novembre del 1493 Seravallino eseguì per l’Opera del duomo di Pisa almeno sei riquadri intarsiati del valore di lire undici ciascuno (descritti sinteticamente nei documenti) e un lungo «fregio com frutte», destinati questa volta al complesso delle ‘sedie’ poste in fondo alla tribuna del duomo, davanti al tramezzo della nuova sacrestia; anche in questo caso le opere dovevano essere inserite in un’inquadratura realizzata da Michele di Giovanni (Novello, 1986, pp. 137, 146 s.).Di questo ciclo sopravvivono diversi frammenti dei riquadri e del fregio, divisi fra il duomo di Pisa e il Museo dell’Opera del duomo (per il riconoscimento cfr. Novello, 1995, p. 528, n. 1408b; pp. 645 s., nn. 2017-2020, 2025-2026); in queste opere Seravallino prosegue e approfondisce le tematiche già affrontate, in proporzioni maggiori e con più espliciti richiami alla nitidezza prospettica della scuola di Cristoforo da Lendinara; anche il motivo vegetale del fregio deriva da esempi realizzati da quell’artista. Di particolare interesse nel ciclo una tarsia con solidi geometrici, un mazzocchio, un compasso e due iscrizioni, opera di difficile lettura iconografica ma forse alludente alle vicende storiche pisane dell’epoca (Novello, 1986, pp. 139-141, fig. 12; Id., 1995, p. 533, n. 1467).Il saldo dei lavori per le sedie eseguiti da Seravallino avvenne il 20 novembre 1493 (con degli accrescimenti fatti il 12 maggio 1494 a richiesta dell’intarsiatore, «perché non voleva isstare contemtto» della valutazione del fregio e di uno dei riquadri; Tanfani Centofanti, 1897, p. 296; Novello, 1995, pp. 146 s.); nello stesso giorno venne redatto il contratto per il grande coro da porsi davanti all’altare maggiore del duomo pisano, commissionato per la parte strutturale e a intaglio sempre a Michele di Giovanni e alla sua importante bottega (Supino, 1893, pp. 211 s.). Nel contratto non si specificavano le parti da eseguire a intarsio; è presumibile che anche in questo caso dovessero essere realizzate a parte e proprio da Seravallino. I lavori del coro ebbero un percorso travagliato (Novello, 1995, pp. 305, 524 s., n. 1391), dovuto in parte alle vicende relative alla guerra tra Firenze e Pisa seguita alla ritrovata indipendenza di quest’ultima; l’opera rimase interrotta soprattutto per le successive morti di Michele di Giovanni (in data imprecisata) e, nel 1499, del figlio e successore Giovanni (sul quale cfr. Traversi, 2001). Per tutto il periodo corrispondente alla guerra pisana (1494-1510) si hanno comunque poche notizie documentarie riguardanti Seravallino: nel marzo 1506 stimava un lavoro assieme a Lorenzo, figlio minore di Michele di Giovanni Spagnolo, nel gennaio 1507 prese in locazione una bottega assieme a Domenico di Mariotto da Firenze (Fanucci Lovitch, 1995, p. 242). I lavori del coro ripresero nel giugno del 1510, condotti congiuntamente proprio da Seravallino, da Lorenzo di Michele Spagnolo e da Domenico di Mariotto (sul quale cfr. Casini Wanrooij, 1991), con la collaborazione di altri maestri (Mariotto di Lorenzo, l’intagliatore fiorentino Antonio di Marco di Giano, detto il Carota, il pittore pisano Leonardo del Troncia); il coro fu condotto a termine nel marzo 1513 e fu saldato ai lavoranti entro l’agosto dello stesso anno (Novello, 1995, pp. 305, 524 s., n. 1391). Qualche tempo dopo, il 17 marzo 1514, Seravallino ricevette dall’«operaio» Polidoro da Rosignano un pagamento supplementare di lire 14, secondo una promessa fatta dal precedente «operaio» Giovanni Alliata, «per essere lui il chapo maestro sopra al lavoro del choro» (Supino, 1893, p. 167).Il coro maggiore del duomo di Pisa, opera colossale ed eterogenea, molto ammirata dai contemporanei e citata anche da Vasari (che ricorda come autori Seravallino e Domenico di Mariotto), fu completamente smembrato e ricomposto dopo l’incendio che colpì l’edificio nel 1595; più volte pesantemente restaurato nel XIX secolo, e oggetto di rimaneggiamenti e spostamenti anche in tempi recenti, è oggi poco giudicabile sia strutturalmente sia stilisticamente (Novello, 1995, pp. 305-307, 524 s., n. 1391). Sembrano da ricondurre a Seravallino, almeno come ideazione, le tarsie che riprendono temi ricorrenti nella sua produzione precedente, come quelle a soggetti animali e con vedute cittadine: sono da ritenersi eseguiti da lui, ma seguendo idee lendinaresche, i numerosi congegni ‘meccanici’ che costituiscono la parte più nota e apprezzata del ciclo (Arcangeli, 1943, p. 20). Per la finezza esecutiva potrebbero risalire al maestro anche alcuni dei riquadri con figure di Apostoli e Profeti, in particolare quelli il cui cartone preparatorio risale verosimilmente alla bottega di Benozzo Gozzoli (Novello, 1995, pp. 526 s., nn. 1393-1401); degni di Seravallino appaiono anche quattro piccoli riquadri (oggi nel Museo dell’Opera) che raffigurano solidi geometrici ripresi dalle illustrazioni del De divina proportione di Luca Pacioli (pubblicato a Venezia nel 1509), basate su disegni di Leonardo da Vinci (ibid., p. 645, nn. 2021-2024).
In coincidenza con il termine dei lavori del coro, e successivamente, possediamo alcune notizie relative alla famiglia di Seravallino (Tanfani Centofanti, 1897, p. 297); dalla moglie Maria Caterina, originaria di Livorno, ebbe nel 1512 una figlia chiamata Caterina; un’altra figlia gli nacque l’anno successivo e fu ugualmente battezzata Caterina, presumibilmente per la precoce morte della sorella. Nell’atto di battesimo della seconda figlia Seravallino è definito significativamente «maestro optimo di tarsia et ha fatto lo coro del duomo». Maria Caterina morì nel 1518 (ibid.); nel 1515 è ricordato anche il figlio maschio Piero, dell’età di dieci anni (Fanucci Lovitch, 1995, p. 242; nel 1530 Piero risulta subentrato al padre nel livello di un terreno dell’Opera del duomo: Tanfani Centofanti, 1897, p. 297). Tra il 1513 e il 1520 Seravallino insegnò il mestiere a quattro diversi garzoni, che usavano rimanere nella bottega per il periodo di cinque anni (Fanucci Lovitch, 1995, pp. 148, 242), e, nel 1523, risulta citato brevemente in un documento dell’Opera del duomo di Pisa (Archivio di Stato di Pisa, Opera, Debitori 573, c. 144). Morì prima del 15 agosto 1525, data nella quale, in un atto di locazione, la moglie Dianora (evidentemente un secondo matrimonio) è detta vedova del maestro (Fanucci Lovitch, 1995, p. 242).Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Pisa, Opera, Debitori 573, c. 144.
G. Vasari, Le vite... (1568), a cura di G. Milanesi, II, Firenze 1878, p. 469; I.B. Supino, I maestri d’intaglio e di tarsia in legno nella Primaziale di Pisa, in Archivio storico dell’arte, VI (1893), pp. 153-179, 211-215; L. Tanfani Centofanti, Notizie di artisti tratte dai documenti pisani, Pisa 1897, pp. 294-297; F. Arcangeli, Tarsie, Roma 1943, p. 20, tavv. 44-47; M. Ferretti, I maestri della prospettiva, in Storia dell’arte italiana, a cura di F. Zeri, IV, Torino 1982, pp. 457-585; R.P. Novello, Tarsie di Guido da Seravallino per il duomo di Pisa, in Bollettino storico pisano, LV (1986), pp. 129-147; R.P. Novello - L. Tongiorgi Tomasi, Tarsie lignee, in Il Museo dell’Opera del duomo a Pisa, a cura di G. De Angelis d’Ossat, Cinisello Balsamo 1986, pp. 137-144; R.P. Novello, Le tarsie lignee, in Il duomo di Pisa, a cura di E. Carli, Firenze 1989, pp. 144-155; M. Casini Wanrooij, Domenico di Mariotto, in Dizionario biografico degli Italiani, XL, Roma 1991, pp. 638 s.; M. Fanucci Lovitch, Artisti attivi a Pisa fra XIII e XVII secolo, II, Ospedaletto 1995, pp. 147 s., 242; R.P. Novello, Le tarsie lignee, in Il duomo di Pisa, a cura di A. Peroni, I, Modena 1995, pp. 301-312; Id., ibid., pp. 524-529, nn. 1391, 1393-1420, pp. 531-534, nn. 1440a-1475, pp. 643-646, nn. 1998-2026; L. Traversi, Giovanni di Michele, in Dizionario biografico degli Italiani, LVI, Roma 2001, pp. 85-87; G. Donati, L’arte del legno. Intagli e tarsie, in La Cattedrale di Pisa, a cura di G. Garzella - A. Caleca - M. Collareta, Ospedaletto 2014, pp. 219-231 (in partic. pp. 225-228); R.P. Novello, Pucci, Ambrogio e Nicolao, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXXV, Roma 2016, pp. 539-541.
di Filippo