GUIDO di Piacenza
Nacque nell'ultimo quarto del IX secolo. Secondo alcuni fu di stirpe longobarda, poiché in un documento del 963 suo nipote Alberico, figlio del fratello Raginerio, dichiarò di vivere lege Langobardorum (Codex diplomaticus Langobardorum, col. 1156). È tuttavia piuttosto da ipotizzare un cambiamento di lex tra una generazione e l'altra, perché risulta improbabile per l'epoca un così facile accesso di un longobardo alle carriere ecclesiastiche e cancelleresche più ambite (Bougard, 1989, p. 19 n. 32). La famiglia di G., probabilmente immigrata a Piacenza dal territorio di Reggio e già legata da parentela con importanti casate di quella città (con i Da Gorgo e con lo stesso vescovo Pietro), si imparentò, forse, con la gente, di indubitabile stirpe franca, del vicecomes di Piacenza Framsit, figlio di Gandolfo, capostipite dei Gandolfingi.
Fumagalli ha ipotizzato che il Raginerio fratello di G., divenuto dopo il 922 comes di Piacenza, abbia avuto in sposa una sorella di Framsit e, inoltre, che il primogenito della coppia, omonimo del nonno materno, sia il medesimo Gandolfo nominato nel 930 quale successore di Raginerio nella carica di conte piacentino. Ma il Raginerio cognato di Framsit (e padre di un Framsit iunior che ritroviamo quale vasso di Adalberto Atto di Canossa nel 962) era già morto prima del 25 genn. 926 (Hlawitschka, p. 181 n. 5), mentre sappiamo che il Raginerio fratello di G. e padre di Alberico morì certamente dopo il 928-929. Secondo Bougard (1989) il Gandolfo comes Placencie nel 930 era figlio di un Gamenolfo, non certo del primo né del secondo Raginerio.
Nel 904, alla morte del vescovo di Piacenza Everardo, clero e popolo scelsero come successore G., definito nel decreto d'elezione "vir laudabilis, moribus temperatus, vita religiosus, instituti[s] omnibus sequendus, doctrina praeclarus" (Campi, p. 480).
Questo documento rappresenta un caso veramente eccezionale per l'Alto Medioevo italiano: attraverso le sue sottoscrizioni, conosciamo per nome tutti gli elettori del vescovo, nella significativa proporzione di 35 ecclesiastici e 27 laici. Al nome dell'eletto non si pervenne solo in considerazione delle sopra lodate virtù del candidato; dovettero giocare un ruolo fondamentale le pressioni esercitate dai suoi parenti, cioè dal fratello Raginerio, potente feudatario presto messo a capo del comitatus cittadino, e dai Gandolfingi, famiglia di già radicata influenza nel territorio piacentino.
Con l'approssimarsi dell'assegnazione del trono imperiale a Berengario I, re d'Italia dall'888, G. ebbe un incarico significativo tra i suoi più stretti collaboratori. In un documento del 26 luglio 915 egli, infatti, è nominato "auricularius" (I diplomi di Berengario, p. 260); tra la fine del 915 e il 920 Berengario, già imperatore, gli conferì il titolo di missus permanente del sovrano, cioè gli concesse una vera e propria delega di poteri effettivi di iurisdictio all'interno della civitas, sia pure per le controversie riguardanti la sola Chiesa piacentina (ibid., p. 343); il 20 dic. 920, infine, l'imperatore gli donò, come esplicito premio di fedeltà, l'abbazia regia di S. Cristina in Pavia (ibid., p. 342).
Dati i riconoscimenti ricevuti per la lealtà sempre dimostrata, può stupire il fatto che G., in un diploma del 3 dic. 922, venga nominato dal rivale di Berengario, Rodolfo di Borgogna, quale suo "dilectus consiliarius" (I diplomi italiani, pp. 97-100), accanto ai protagonisti superstiti (Adalberto d'Ivrea, Lamberto di Milano e Giselberto [I] conte di Bergamo) di una fallita congiura antiberengariana della fine del 921. Può trattarsi non tanto di una defezione di G. quanto del primo segnale di una politica poi sempre perseguita da Rodolfo: ingraziarsi e legare a sé gli esponenti dell'altro partito e le figure eminenti della cancelleria.
Nella primavera del 923 G. avrebbe promosso una rivolta contro Rodolfo (Arnaldi, p. 25). Secondo quanto annota Liutprando (p. 60), inoltre, nella decisiva battaglia di Fiorenzuola d'Arda, combattutasi tra le due opposte fazioni il 17 luglio 923 e vinta da Rodolfo, G. fu ancora una volta sostenitore di Berengario. Dopo Fiorenzuola, la strategia del vincitore per tentare di porre salde radici in Italia comportò l'emissione di diplomi favorevoli a G., oltreché a un altro fedele di Berengario, l'arcicancelliere Giovanni vescovo di Cremona (27 sett. 924, I diplomi italiani, pp. 107-111). G. riuscì dunque a mantenere la sua posizione di preminenza anche presso il nuovo re, come ribadiscono l'appellativo di fidelis et consiliarius noster usato in un documento di Rodolfo del 12 nov. 924 (ibid., pp. 113-116) e la cessione alla Chiesa di Piacenza, sempre nel 924, di alcuni diritti fiscali connessi al transito per le porte della città di Pavia (ibid., pp. 125-127).
Anche durante il regno di Ugo il prestigio di G. non venne meno: lo provano vari atti del nuovo sovrano in favore suo e della diocesi: il 3 sett. 926 furono riaffermate al monastero piacentino di S. Sisto le corti di Guastalla, Campo Miliacio, Cortenuova, Sesto, Luzzara, Palidano, Villola e Pegognaga (I diplomi di Ugo, pp. 6-9), mentre il 28 settembre fu confermato alla Chiesa di Piacenza il possesso di S. Cristina (ibid., pp. 17-20).
Di un periodo di poco successivo, cioè degli anni 928-929, è un episodio che attesterebbe un rapporto di sospettoso timore da parte di re Ugo verso le potenti famiglie feudatarie aggregatesi attorno a Guido. Da lungo tempo i vescovi di Piacenza facevano valere la loro autorità sul monastero di Bobbio, situato di fatto nel territorio della loro diocesi. Uno scritto anonimo della seconda metà del X secolo, i Miracula sancti Columbani, testimonia che, durante l'abbaziato di Gerlanno (già esponente di spicco della cancelleria di Ugo), G., Raginerio e Gandolfo (forse lo stesso successore di Raginerio nel comitatus di Piacenza) usurparono ingenti beni al monastero. I molteplici interventi dell'abate presso il re per ottenere giustizia furono vani poiché Ugo temeva, appunto, complicazioni e ribellioni da parte degli usurpatori. A Gerlanno non rimase che ricorrere a mezzi di persuasione più sottili: ottenne dal re il permesso di far trasportare e di esporre a Pavia, in occasione di un'assemblea dei grandi del Regno, il corpo di s. Colombano, nella speranza che alla sua vista i responsabili degli attacchi contro Bobbio si ravvedessero. Le reliquie di Colombano furono accompagnate dalla coppa che, secondo la tradizione, il santo intagliò in una noce di cocco e dalla bisaccia in cui egli conservava il Vangelo. Ugo indisse a palazzo un'assemblea giudicante, per quella che si configurò come una vera e propria ordalia: mentre il re e il suo seguito bevvero alla coppa del santo, G. e il fratello rifiutarono di sottoporsi alla prova e, nella notte, fuggirono: il risultato fu, perciò, favorevole al monastero a cui furono restituite alcune delle terre depredate.
Dell'ultima parte della vita di G. si conosce ben poco. Rimangono due isolati documenti di Ugo e Lotario che vedono di nuovo il vescovo accanto ai sovrani con l'appellativo di fidelis e consiliarius: il 17 ott. 931, come interveniente a favore del patriarca Ursus di Aquileia, per la concessione alla sua Chiesa del castello di Muggia (I diplomi di Ugo, pp. 85-87), e il 17 maggio 936, nel compito - ancora filoberengariano - di richiedente la conferma a favore dell'ex imperatrice Anna (seconda moglie di Berengario) del possesso delle corti di Riva di Chiavenna e Mauriatica, già donatele dal suo sposo (ibid., pp. 128-130).
La data della morte di G. non si conosce con certezza e rimane quindi necessariamente legata all'inizio dell'episcopato del suo successore, il figlio illegittimo di Ugo, Bosone. Il primo documento che cita indubitabilmente quest'ultimo con il titolo di vescovo è datato 26 marzo 941 (ibid., p. 169), ma ci è stato tramandato un riferimento alla sua avvenuta consacrazione episcopale anche in un diploma del 6 febbraio di un anno imprecisato, che Schiaparelli ha ipotizzato essere il 940 (ibid., p. 161). Se questa congettura è valida, la morte di G. è da porre non più tardi di quest'ultima data.
Fonti e Bibl.: Miracula sancti Columbani, a cura di H. Bresslau, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XXX, 2, Lipsiae 1929, pp. 1001 s., 1007 s., 1013; Codex diplomaticus Langobardorum, a cura di C. Porro Lambertenghi, in Monumenta historiae patriae, Chartarum, XIII, Augustae Taurinorum 1873, col. 1156; I diplomi di Berengario I, a cura di L. Schiaparelli, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], XXXV, Roma 1903, pp. 227, 260, 327, 335, 341-343; I diplomi italiani di Lodovico III e Rodolfo II, a cura di L. Schiaparelli, ibid., XXXVII, ibid. 1910, pp. 97-100, 107-111, 113-116, 125-127; Codice diplomatico del monastero di S. Colombano di Bobbio fino all'anno 1208, I, a cura di C. Cipolla, ibid., LII, ibid. 1918, pp. 288-290, 294-311; I diplomi di Ugo e Lotario, di Berengario II e di Adalberto, a cura di L. Schiaparelli, ibid., XXXVIII, ibid. 1924, pp. 6-9, 17-20, 85-87, 128-130, 161, 169; Liutprandus Cremonensis, Antapodosis, in Id., Opera omnia, a cura di P. Chiesa, Turnholti 1998, pp. 58-60, 111 s.; P.M. Campi, Dell'historia ecclesiastica di Piacenza, I, Piacenza 1651, pp. 265, 480; C. Poggiali, Memorie stor. di Piacenza, III, Piacenza 1757, pp. 68-95; L. Schiaparelli, Ricerche storico-diplomatiche, V, I diplomi di Ugo e Lotario, in Bull. dell'Istituto stor. italiano per il Medio Evo, XXXIV (1914), p. 60; G. Fasoli, I re d'Italia (888-962), Firenze 1949, pp. 92, 210; C.G. Mor, L'età feudale, Milano 1952, I, pp. 77, 81, 126 (per errore si parla di Sigefredo di Piacenza, ma si tratta di G.), 194 n. 18; II, pp. 94 n. 7, 104 n. 71, 252 s., 276, 297 n. 22; E. Hlawitschka, Franken, Alemannen, Bayern und Burgunder in Oberitalien, Freiburg i.B. 1960, pp. 181, 187, 249-251, 291; G. Arnaldi, Berengario I, in Diz. biogr. degli Italiani, IX, Roma 1967, pp. 24 s.; H. Keller, Zur Struktur der Königsherrschaft im karolingischen und nachkarolingischen Italien, in Quellen und Forsch. aus italien. Archiven und Bibliotheken, XLVII (1967), pp. 167, 222; V. Fumagalli, Vescovi e conti in Emilia occidentale da Berengario I a Ottone I, in Studi medievali, s. 3, XIV (1973), 1, pp. 155-159, 161, 171; P. Racine, Plaisance du 10e à la fin du 13e siècle, I, Paris-Lille 1980, pp. 50, 56; R. Pauler, Das Regnum Italiae in ottonischer Zeit. Markgrafen, Grafen und Bischöfe als politische Kräfte, Tübingen 1982, p. 81; F. Bougard, Entre Gandolfingi et Obertenghi: les comtes de Plaisance aux 10e et 11e siècles, in Mélanges de l'École Française de Rome. Moyen Âge, CI (1989), pp. 19 s., 39; H. Keller, Signori e vassalli nell'Italia delle città, Torino 1995, p. 292; F. Bougard, Gerlanno, in Diz. biogr. degli Italiani, LIII, Roma 1999, pp. 431-434.