FASSÒ, Guido
Nacque a Bologna il 18 ott. 1915 da Emesto, generale dell'esercito, e da Cesarina Barbieri. Trascorse l'infanzia e l'adoloscenza a Mondovì, Parma e Mantova. Sostenne la maturità classica a Cremona presso il liceo "Virgilio" con sede a Mantova (1932). Si laureò a Bologna in giurisprudenza (1936) e in filosofia (1940). Dal 1940 insegnò storia e filosofia, come professore di liceo: come supplente al "Galvani" di Bologna (1939), come ordinario al liceo classico di Fork (1939-40) e allo scientifico "Augusto Righi" di Bologna (1949-53).
Alla tradizione dei Fassò, cospicua famiglia piemontese di fedeli servitori dello Stato, il giovane reagi con uno spirito di libertà critica pur mantenendo il rigore morale e l'attaccamento al dovere. Per parte di madre discendeva dai Barbieri (il nonno, Lodovico Barbieri, fu comandante della Scuola militare di Modena, generale di corpo d'armata e senatore) e dai Dallolio (famiglia di un celebre sindaco di Bologna, Alberto, e del generale Alfredo, ministro delle Armi e munizioni nella prima guerra mondiale). Ricevette la prima educazione religiosa da una zia materna e da un anziano sacerdote che determinarono la sua particolare religiosità in cui il momento dell'emotività rimaneva separato da quello della razionalità, in cui l'esperienza interiore (il momento sacramentale) trascendeva integralmente il vissuto istituzionale. Avviato alla carriera di funzionario presso l'Unione industriale, il F. abbandonò sicure prospettive di carriera per iscriversi alla facoltà di filosofia (1936) e seguire la propria vocazione di filosofo attraverso la quale poté, interamente mettere a frutto la vivace e profonda intelligenza sostenuta da una memoria fuori del comune.
Nel 1942 sposò Margherita Osti (sua alunna al liceo "Galvani", figlia di Giuseppe Osti, ordinario a Bologna di diritto privato, di cui il F. era stato allievo), dalla quale avrà quattro figli. Il periodo della guerra vide il F. in opposizione al fascismo e dedito a porre i fondamenti della propria preparazione scientifica, finché, nel dopoguerra, iniziarono le sue pubblicazioni ed i suoi approcci al mondo universitario. Il suo referente politico fu il liberalismo e per il Partito liberale italiano accettò anche una candidatura nelle elezioni amministrative a Bologna (1951).
Nel 1947 fu assistente volontario di filosofia del diritto a Bologna e nel 1949 presso l'università di Parma conseguì la libera docenza nonché l'incarico di filosofia del diritto. Nel 1954 vinse la cattedra di filosofia del diritto che coprì a Parma (dove per incarico insegnò per diversi anni storia dei trattati e politica internazionale) e, dal 1963, a Bologna (facoltà di giurisprudenza); ivi, per incarico, insegnò anche storia delle dottrine politiche (facoltà di lettere e filosofia).
Il F. iniziò i suoi studi su temi vichiani (Il Vico nel pensiero del suo primo traduttore francese, in Memorie dell'Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna, cl. di scienze morali, s. 4, VII [1944-1945], pp. 47-112; I "quattro auttori" del Vico. Saggio sulla genesi della "Scienza nuova", Milano 1949; Genesi storica e genesi logica della filosofia della Scienza nuova, in Riv. ital. di filos. d. diritto, s. 3, XXV [1948], pp. 319-336), nei quali evidenzia il ruolo assolto dalla riflessione sul diritto nella maturazione del concetto relativo al rapporto tra "vero" e "certo" che costituisce il fondamento teoretico della "nuova scienza". Il tema delle componenti del pensiero vichiano viene integrato dalla traduzione, introduzione e note dei Prolegomena al De iure belli ac pacis di U. Grozio (Bologna 1949; 3 ed. 1979).
G. Solari, in risposta all'invio de I "quattro auttori", scriveva dicendo di aderire all'interpretazione proposta e di considerare il saggio alla pari degli scritti vichiani dei maggiori interpreti (B. Donati, M. Fubini) e superiore alla visione di B. Croce e F. Nicolini, per quanto riguarda la genesi giuridica della Scienza nuova (lettera del 7 maggio 1949 in Carte Fassò). Croce lodò il lavoro per l'acutezza dell'interpretazione (Quaderni della critica, V [1949]) e lo menzionava nella Bibliografia vichiana (2 ed.).
Nel dopoguerra, l'esigenza di emancipazione dall'idealismo immanentistico (di Croce e G. Gentile) provocò un inserimento del F. fra le critiche concentriche (esistenzialistiche, marxiste, spiritualiste e neoillurniniste) a quella filosofia pur rimanendo distante da quelle stesse correnti. La sua critica peculiare all'immanentismo si fondava, infatti, sull'argomentazione dell'eterogeneità irriducibile tra assoluto e storia, valore e società, cristianesimo e mondo, sacro e profano.
Dagli studi sul Vico il F. derivava la sua caratteristica sensibilità alla storia che informa La storia come esperienza giuridica (Milano 1953), dove impostava filosoficamente l'istituzionalismo.
Il saggio Cristianesimo e società (Bologna 1956, 2 ed. 1969) costituisce una delle sue opere maggiormente ispirate e a lui più care, e rappresenta un momento centrale nell'evoluzione del suo pensiero.
"È un libro - scrisse W. Cesarini Sforza - che meriterebbe di essere conosciuto e discusso anche fuori dalla cerchia accademica, e mi auguro che ciò avvenga". L'opera (in ambedue le edizioni) fu dibattuta, combattuta, difesa su riviste scientifiche, su periodici politico-culturali, sulle terze pagine dei quotidiani da parti contrastanti, credenti e non, conservatori preconciliari e rivoluzionari postconciliari.
Dall'esame del rapporto fra cristianesimo e storia in rapporto alle due dimensioni della giustizia (di Dio e del mondo) passa a concludere "perché non possiamo dirci cristiani" meditando (in appendice) sulla distinzione fra giustizia, carità e filantropia. Il F. conferma l'idea che il cristianesimo autentico, in quanto religione, guarda solo a Dio e si disinteressa del mondo, ma dovendosi fare società e attuarsi nella storia, si deve adattare alle forme della istituzionalità e della giuridicità. La storia, infatti, in nessuno dei suoi aspetti è portatrice di Valore assoluto specialmente in relazione ai rapporti tra religione e vita sociale.
L'esperienza storica si risolve nell'esperienza giuridica in quanto il concetto di istituzione si estende oltre ogni forma di organizzazione sociale e comprende ogni forma di rapporto intersoggettivo. Misticismo e scetticismo assoluti coincidono, data la relatività delle sintesi operate dalla ragione, e questa, limitata all'esperienza storica, non può adire alla verità assoluta. La fede nella ragione scientifica conduce al relativismo, a una posizione empiristica e critica, e non (come afferma il marxismo), ad una ragione scientifica assoluta (N. Matteucci, rec. a Cristianesimo e società, in Il Mulino, VI [1957], pp. 732-735). Ciononostante la convivenza umana resta necessariamente condizionata dalla ragione. Lo dimostra la ricerca storiografica sulle origini del pensiero moderno individuate, anziché nella rottura rinascimentale con la cultura cristiana medioevale, nel compromesso tomista che, recependo elementi laico-razionali della cultura greco-romana, concilia ragione e fede, fonda l'etica sull'uomo e costruisce la società sull'esperienza storica.
In La democrazia in Grecia (Bologna 1959) il F. indaga l'esperienza istituzionale e, ideologica della democrazia greca classica nelle sue articolazioni concettuali (isonomia, forme di eguaglianza e diseguaglianza) da Erodoto, a Socrate e Platone, dagli oratori del IV sec. fino ad Aristotele ed agli scrittori ellenistici. La ricostruzione storica dimostra come i termini nei quali si svolse il dibattito sulla democrazia in quell'epoca rimangono gli stessi nei quali si svolge in, ogni tempo, e quanto essi siano pertanto perenni ed attuali. Alcuni giovani greci durante la dittatura militare, per mantenere vivo l'ideale democratico, tradussero il saggio in greco e lo diffusero in patria semiclandestinamente (Thessaloniki 1971).
Il giusnaturalismo (che il F. studiò in numerose ricerche storiche, fra cui quelle su Agostino, Tommaso, Grozio, decretisti, glossatori) costituisce il tema sul quale egli reagiva con maggiore sensibilità come occasione per formulare la propria costruzione filosofica. In tale contesto si inserisce La legge della ragione (Bologna, 1964, dove vengono sistematicamente riproposti brani di saggi precedenti) in cui egli, attraverso l'esame storico dei momenti più significativi del giusnaturalismo, ricerca ciò che di tale corrente può restare valido per noi oggi.
Il F., attraverso il riesame dei principali momenti della storia del giusnaturalismo, al di fuori di pregiudizi ideologici e di scuola e cercando di restare sempre aderente ai testi e al loro preciso significato, coglie (al di sotto di certi aspetti caduchi) il significato etico di tale storia, e cioè la lotta per subordinare il mito alla razionalità, l'arbitrio e la potenza alla ragione, , contrapponendo l'idea di diritto naturale, come garanzia di difesa della libertà, all'onnipotenza dello Stato totalitario. Il F. coglie pertanto l'infondatezza di molti luoghi comuni e opinioni preconcette di chi vede nell'idea del diritto naturale il residuo di una mentalità oggettivistica ed universalistica incompatibile con la cultura moderna.
Il diritto naturale (Torino 1964; 2 ed. 1972: l'Appendice, Gli studi sul diritto naturale in Italia dopo il 1945, venne tradotta in giapponese in Annual of natural study, VII [1974], Osaka) raccoglie una serie di conversazioni radiofoniche, mediante le quali si dà un probantissimo esempio di come si possa indirizzare un insegnamento profondo a finalità di divulgazione culturale nel senso più nobile dell'espressione.
Nel 1966 iniziò a pubblicare il massimo suo contributo storiografico, la Storia della filosofia del diritto (I, Antichità e Medioevo, Bologna 1966; II, L'età moderna, ibid. 1968; III, Ottocento e Novecento, ibid. 1970). Si tratta della storia generale della filosofia del diritto più integrale e sistematica dell'epoca anche rispetto alla produzione d'Oltralpe, dove sollevò non solo un apprezzamento tecnico unanime ma soddisfece un'esigenza indilazionabile (dei tre volumi vi è una traduzione in spagnolo: Madrid 1978-80; il terzo è tradotto anche in francese: Paris 1976).
L'equilibrio classico con cui autori (tutti rigorosamente rivisitati di prima mano), correnti, inquadramenti storici, di ogni epoca e di ogni arca culturale mondiale (da Omero al realismo americano ed alle teorie sovietiche del diritto), vengono svolti e sistemati, la bibliografia abbondante e selezionata (sia del passato sia del presente), l'apparato critico fanno dell'opera uno strumento dal quale sia il principiante sia l'autore sperimentato ormai non possono più prescindere. Nella Storia il F. non solo sintetizza i risultati delle sue ricerche precedenti, ma applica i propri criteri analitici a quel complesso di concetti sistematici a cui è pervenuto, inquadrandoli in un confronto con i classici di ogni epoca.
Il F. nel presentare l'opera, pur non accettando (crocianamente) la distinzione tra filosofie particolari e filosofia pura e semplice, in sede di ricerca storiografica sostiene la legittimità e la necessità di seguire lo svolgimento del pensiero filosofico "in relazione" a qualche specifico problema che ha suscitato il pensiero filosofico stesso. Il diritto, pur potendo essere ricondotto in sede teoretica a qualche altra forma di attività (economia, morale, ecc. come fecero Croce e Gentile), costituisce da sempre un tema oggetto di indagine filosofica che ha proposto ulteriori temi problematici (sua essenza, fondamento, valore, rapporti uomo-natura, metodo di indagine, fino ai temi centrali dell'esistenza quali quelli della giustizia e della legge naturale): i vari problemi suscitati dal diritto si collocano nei vari rami della filosofia (logica, epistemologia, etica, storiografia filosofica). Pur suscitando l'intervento di discipline eterogenee, la storia della filosofia del diritto trova una propria autonomia appunto nella trattazione unitaria del perché e del come elementi eterogenei trovino una loro unitarietà nel diritto ed adempie ad una sua funzione in quanto fornisce un criterio di indagine storiografica dato il "significato storico" che emerge dal perché e dal modo dell'affermarsi e del declinare ciclico di esigenze e di problemi differenti ("Del resto, la storia è pur sempre storia di cose "eterogenee": ma non tanto eterogenee che si possa capire l'una senza aver conosciuto l'altra", Premessa, ibid., I, p. 10).
Altra motivazione dell'opera è quella di soddisfare l'esigenza di didattica universitaria fondata sulla tesi (inserita in una vecchia controversia accademica sulla obbligatorietà o meno della filosofia del diritto nelle facoltà di giurisprudenza ma di recente ripresa dalla stessa Società italiana di filosofia giuridica e politica al congresso del 1992) secondo la quale lo studio del diritto, in quanto "disciplina tipicamente umana", non deve avere "carattere meramente tecnico" (ibid., p. 11). Ora lo studio del diritto in dimensione filosofica è più utile che avvenga dapprima in sede storiografica, sia perché introduce allo studio sistematico sia perché giustifica il porsi dei problemi. Utilità, questa, fruibile non solo dallo studente ma anche dallo "studioso di filosofia maturo ed esperto" e dallo stesso "giurista" (ibid., p. 12).
I fatti eversivi socio-politici, e la crisi dei valori che seguirono al '68, nei cosiddetti "anni della contestazione e delle stragi", provocarono le prese di posizione contenute in una serie di saggi: Il positivismo giuridico "contestato" (in Riv. trim. di dir. e proc. civ., XXII [1969], pp. 98-306), Tra positivismo e nazismo giuridico (in Il Mulino, XX [1971], pp. 789-798), Il diritto come viltà (in Riv. trim. di dir. e proc. civ., [1971], pp. 171-177). In Vico e Grozio (Napoli, 1971), riprese la tematica vichiana per revisionare criticamente la raffigurazione di Grozio come "padre del giusnaturalismo moderno" operata dalla interpretazione (di taglio illuministico) di C. Thomasio e di G. Barbeyrac, Il giudice e l'adeguamento del diritto alla realtà storico-sociale (in Riv. trim. di dir. e proc. civ., XXVI [1972], pp. 897-952) e Società, diritto e repressione (in Riv. internaz. di filos. d. diritto, L [1973], pp. 685-703). La monografia Società, legge e ragione (Milano 1974), ripropone tutti gli scritti succitati con altri apparsi dal 1953 al 1973.
La sua serietà professionale, l'intima coerenza si esternavano anche nella modestia: il proprio contributo teoretico duratuio era da lui stesso limitato alla ricerca storica (a F. Carnelutti che lo definisce "filosofo", risponde che al professore di filosofia non spetta quel titolo come al professore di lettere non spetta quello di "poeta"). Autorevolezza morale e professionalità lo difesero, entro il mondo universitario, dalla contestazione (fine anni '60 inizio anni '70), fenomeno questo che egli lesse come crisi di valori etico-culturali, ed al quale non reag! col disimpegno e la demagogia conformista; alla contestazione del sistema egli contrappose non una difesa agnostica della legalità positiva e degli interessi particolari a quella connessi, ma l'attenzione critica alle argomentazioni dell'avversario e la denuncia costruttiva delle disfunzioni e delle ingiustizie del sistema politico, cause di contestazione globale e di degenerazioni anarchiche (cfr. risposta del F., 21 febbr. 1968 all'invito a firmare un manifesto di professori dell'università, in Carte Fassò).
Il temperamento riservato, la mente chiara si esprimevano, nella conversazione e negli scritti, in un discorso gradevole, acuto, logico, analitico ma sinceramente conclusivo velato di signorile ironia. Anche quando il male lo aveva irreparabilmente colpito, non attenuò la propria dedizione al lavoro. Nel testamento morale chiese di non essere commemorato, di non raccogliere studi in sua memoria, di non ristampare suoi scritti né di pubblicare inediti (in quanto non curati come avrebbe voluto).
Il contributo teoretico del F., data l'impostazione prevalentemente storica della sua ricerca, è difficilmente sintetizzabile in formule anche a causa della sua diffidenza verso una sistematicità che venga a vincolare nelle esigenze della simmetricità il compito essenzialmente critico della filosofia. In sintesi si potrebbe forse affermare che il suo sforzo di pensatore si concentri nel cogliere il rapporto fra il diritto, inteso come manifestazione della ragione e come applicazione di "norme", e la morale intesa come intuizione prerazionale dell'Assoluto, della libertà suprema dove si coglie l'unità al di là del molteplice e del fenomenico (cfr. La storia come esperienza giuridica, pp. 140 s.).
Il F. morì il 30 ott. 1974 a Bologna.
Oltre alle opere cit. nel testo, gli scritti di mole minore sono rist. in: G. Fassò, Scritti di filosofia del diritto, a cura di E. Pattaro - C. Faralli - G. Zucchini, I-III, Milano 1982: I-II, Saggi e articoli; III, Saggi e articoli, voci di enciclopedia, recensioni.
Bibl.: Necrologio di E. Pattaro, in Riv. trimestrale d. dir. e proc. civile, XXIX (1975), 3, pp. 1090-1105 (con bibl.); carte e documenti a Bologna presso la famiglia, fra cui il testamento (2 maggio 1955, codicil. 13 febbr. 1967); E. Pattaro, Gli studi vichiani di G. F., in Boll. d. Centro di studi vichiani, V (1975), pp. 1-35; A.-E. Pérez Luño, L'itinerario intellettuale di G. F, in Riv. ital. di filos. d. diritto, LIII (1976), 3, pp. 372-381; E. Pattaro, Sull'assoluto. Contributo allo studio del pensiero di G. F., in G. Fassò, Scritti di filos. del diritto, cit., pp. XVII-LXXX; G. Zucchini, Bibl. degli scritti filosofico-giuridici di G. F., ibid., pp. 1465-73; C. Farolli, I momenti della riflessione critica su G. F., ibid., pp. 1477-1518; Id., Bibl. degli scritti su G. F., ibid., pp. 1518-28; Conference on "Reason in Law" (Bologna, dicembre 1984), I, Milano 1987 (atti della tav. rotonda su "Il pensiero di G. F."); D. Quaglio, G. F. Della ragione come legge, Napoli 1991.