FORTEBRACCI, Guido
Nacque da Oddo, della famiglia dei signori di Montone, castello del contado perugino, agli inizi del sec. XIV. Ebbe un fratello Francesco o Cecco e una sorella Lucia, che venne maritata a Vanni di Raniero Olivi, altra potente famiglia montonese di inclinazioni ghibelline, allo scopo di ristabilire la pace fra le due casate, gravemente compromessa da quando nel 1280 gli Olivi avevano ucciso il nonno del F. e altri parenti. Il F. e il fratello abbracciarono, cosa del resto usuale in quegli anni per le famiglie della piccola e media nobiltà, la carriera di magistrati itineranti. Tra la prima e la seconda metà del XIV secolo, infatti, Francesco e il F., che si era addottorato in leggi, furono a più riprese podestà e capitani del Popolo in numerose città dell'Italia centrale, soprattutto nell'area toscana.
Nel 1345 il F. fu podestà di Siena e già nel dicembre dell'anno seguente venne chiamato a rivestire il medesimo incarico in Firenze, dov'era coadiuvato, per la discussione delle cause, da due giudici perugini, Andrea di Cristoforo per quelle criminali e Vanni "Ciutii" per le civili. Nei periodi in cui non esercitava il suo mandato itinerante, il F., che era cittadino perugino - la famiglia dei Fortebracci compare infatti nei catasti della città già nel 1285 -, veniva spesso chiamato a far parte di diverse ambascerie per conto del Comune. Nel 1355 fu inviato anche a Pisa insieme con il giurista Baglione Novello e con Golino di Pellolo, Liggeri di Nicoluccio e Bindo di Munaldolo, per presentare i dovuti omaggi a Carlo IV di Lussemburgo in viaggio per Roma dove lo aspettava la corona imperiale.
Esattamente dieci anni dopo il primo mandato, nell'ottobre del 1357 il F. venne chiamato per la seconda volta a Firenze per ricoprirvi la carica di podestà. Vi giunse però con un certo ritardo (il 9 invece del giorno prima) incorrendo così subito nelle sanzioni previste dagli statuti della città. Questa volta i due giudici che accompagnarono il F. furono, per il criminale Pietro di Paolo da Cagli, per il civile Olimpiade di ser Masseo da Amelia.
A Perugia il F. aveva la propria residenza, come del resto anche gli altri appartenenti al casato, nel rione di Porta Sant'Angelo, lo stesso a cui afferiva, per il contado, il castello di Montone. La sua abitazione rionale si trovava nella centralissima parrocchia di S. Donato, nelle immediate vicinanze della cattedrale e della piazza grande. Nei nuovi catasti, redatti per conto del Comune intorno al 1361, compare appunto in S. Donato anche l'allibramento del F., decisamente cospicuo, con un patrimonio che si aggirava intorno alle 12.700 libre minute. Tra le terre e le case segnate in catasto spicca, in città, la domus posta nell'altra centralissima e prestigiosa parrocchia di S. Severo del rione di Porta Sole, confinante con un'altra casa appartenente al nobile Francesco di Francesco da Montone, da identificare forse con Francesco Novello dei Fortebracci. Si veniva così a formare un piccolo feudo familiare, tipico del resto nella struttura civile e urbanistica perugina dove le famiglie magnatizie e del ceto nobiliare, più che in grandi palazzi, preferivano abitare, al centro della città, in casamenti composti da più nuclei riuniti che formavano delle vere e proprie insulae di stampo consortile. Ma, oltre alle case di Perugia, i beni del F. comprendevano anche molti appezzamenti di terreno, la maggior parte dei quali situata nella "cura" del castello di Montone, più altre quattro case dentro il medesimo castello di cui una a ridosso delle mura ed un'altra vicino alla chiesa di S. Matteo; possedeva ancora un'altra casa alla Fratta (ora Umbertide), un altro castello non lontano da Montone e soprattutto era padrone di un vasto tenimentum terrae, quasi un feudo, con numerose case e un palatium, nella "cura" del proprio castello, in località Montioni, per un valore che superava le 1.000 libre.
Sebbene siano scarsissime le tracce documentarie lasciate dal F. durante i suoi soggiorni in patria, è proprio da uno di questi documenti che si apprende una sua disavventura giudiziaria. Tra il settembre 1366 e il gennaio dell'anno successivo, davanti al vicario podestarile di Montone, ser Bartolomeo, il F. venne denunciato da ser Cione Nutii Naldi, anch'egli montonese, per avergli ricusato la restituzione di un prestito di 5 staia e mezzo di grano, stimati 25 soldi a staio secondo la misura del Comune di Perugia.
Il 2 ag. 1368 il F. veniva per la terza volta chiamato a Firenze come podestà. Il 29 dello stesso mese il F., in vista della sua imminente investitura a podestà, chiese al Consiglio della città toscana di poter assumere nell'ufficio di giudice collaterale il giurista Antonio da Fermo, addottoratosi a Padova ma non ancora in forma pubblica e quindi definitiva. Il problema di doversi accontentare di un dottore senza ancora la pubblica investitura aveva le sue ragioni, perché a causa delle "pestifere mortalitates" di quei tempi, il neoeletto podestà non riusciva a trovare i giudici collaterali richiesti dagli statuti, neppure dietro cospicue offerte in denaro.
La terza carica podestarile del F. doveva però avere vita breve: infatti, dopo le numerose difficoltà incontrate per riuscire a trovare giudici disposti a seguirlo nonostante la pestilenza in atto, lo stesso F. si ammalava poco dopo aver inaugurato il suo nuovo mandato. La gravità del suo stato era tale che già il 5 di ottobre il Consiglio del Comune fiorentino gli accordava il potere di eleggere un suo vicario con ampi privilegi, scegliendolo proprio tra i due giudici che era riuscito a portarsi appresso.
Il F. morì a Firenze il 3 febbr. 1369. Il Comune fiorentino gli tributò solenni onoranze funebri e fece tumulare la salma con tutti gli onori nella chiesa di S. Croce.
Malgrado l'interruzione del mandato, lo stesso Consiglio decise inoltre di ammettere gli eredi a rappresentare il F. nel processo di sindacato previsto alla fine di ogni magistratura, come se fosse stato ancora in vita. Furono anche autorizzati a riscuotere, in caso di riconoscimento da parte della commissione giudicante dell'esemplarità del lavoro svolto, l'intero salario dovutogli. Di questo ultimo incarico, o meglio dei tre mesi prima della malattia durante i quali poté lavorare, si sono conservate presso l'Archivio storico del Comune di Montone (così come poi accadrà anche per altri esponenti della famiglia Fortebracci) le copie di alcune sentenze e relative condanne promulgate in materia di maleficia nel quartiere fiorentino di Santo Spirito.
Erede delle sue notevoli sostanze e del nome del casato, era l'unico figlio maschio, Oddo, padre a sua volta del famoso capitano di ventura Andrea, noto come Braccio da Montone.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Perugia, Archivio storico del Comune di Perugia, Catasti, gruppo I, 23, cc. 193r-198r; Montone, Arch. stor. comunale, Registri di copiari, nn. 311, cc. 14r-16r; 330, cc. 35v-54v; Cronaca di Perugia… nota col nome di Diario del Graziani, a cura di A. Fabretti - F. Bonaini - F. Polidori, in Arch. stor. ital., XVI (1850-51), 1, p. 175; G. Degli Azzi, Le relazioni tra la Repubblica di Firenze e l'Umbria nel secolo XIV…, I, Perugia 1904, pp. 262 s.; II, ibid. 1909, pp. 81, 112, 119 ss.; G.V. Giobbi Fortebracci, Lettera istorico-genealogica della famiglia Fortebracci da Montone, Bologna 1699, pp. 24 ss.; G. Milli, Andrea Braccio Fortebraccio conte di Montone, Perugia 1979, pp. 20, 22.