GUIDI, Guido (Guido Guerra)
Quinto di questo nome, figlio del conte Guido (IV) e di Ermellina (Armellina), figlia di un esponente della famiglia Alberti, nacque intorno agli anni Settanta dell'XI secolo.
Il G. compare per la prima volta nelle fonti nel 1086: in quell'anno era presente come consenziente, insieme con il fratello Tegrimo (IV), a un atto con il quale il padre e la madre prendevano "in sua defensione" la chiesa "in honore beati Petri sita prope castellum quod vocatur Luco que noviter monasterium ad usum feminarum est ordinatum" (Rauty, p. 257).
Altri figli di Guido (IV) a noi noti erano stati avviati a un ruolo attivo nella politica familiare ma sappiamo che agli anni tra la fine del secolo XI e l'inizio del XII deve risalire la loro morte: Rugerio è citato come già defunto in una carta pistoiese del 1097, mentre Tegrimo (IV) risulta deceduto prima del 1100. Sopravvisse, invece, ancora per circa tre decenni, una sorella del G., Berta, badessa di Rosano, che svolse funzioni di una certa rilevanza nell'ambito della gestione del patrimonio di famiglia, anche se le fonti non lasciano trasparire un ruolo attivo come quello avuto da Sofia, figlia del Guidi.
Il padre, attivo collaboratore di Beatrice di Lorena e di Matilde di Canossa, dovette inserirlo nell'entourage marchionale se il successivo documento riguardante il G. lo vede presenziare a una donazione compiuta da Matilde, il 20 giugno 1099, in favore del monastero di S. Michele di Marturi. L'atto precede di poco un'altra testimonianza del 12 novembre, relativa al monastero di S. Genesio di Brescello sul Po, nella quale per la prima volta il G. viene qualificato come figlio adottivo di Matilde ("Ego Wido comes […] factus adoptionis filius dominae comitissae Mathildis": cfr. Overmann, p. 146). Non sono note le motivazioni di questa adozione, alla quale non accenna, per esempio, Donizone, autore dell'importante Vita Mathildis: certo è che il G., alla guida di un esercito formato essenzialmente da feudatari del Marchesato, aveva poco tempo prima combattuto con successo contro gli uomini dell'arcivescovo di Ravenna Guiberto (Wiberto), papa scismatico con il nome di Clemente III.
Proprio il successo militare del G., probabilmente, oscurò la figura del padre, al punto che il soprannome "Guerra", già attestato nelle fonti per Guido (IV) (cfr. Delumeau, p. 392), rimase fortemente legato al G., a partire dal quale la storiografia inizia a enumerare la serie dei conti Guidi detti Guerra. In merito a tali vicende onomastiche va anche rimarcato che la reiterazione del nome Guido e del soprannome Guerra a più livelli generazionali ha portato a una certa confusione nelle ricostruzioni genealogiche, tanto che anche l'aggiunta di un ordinale accanto al nome o al soprannome non conosce un uso concorde.
Nell'aprile del 1100 il G. compare in un atto relativo al monastero di Strumi come "Wido qui marchio vocor, filius Widonis comitis" (Rauty, p. 252), mentre pochi giorni prima aveva sottoscritto un documento di Matilde in favore del cenobio vallombrosano: in quegli anni era dunque ormai attivamente inserito nell'azione politica sia familiare, sia marchionale.
Gli anni tra la fine del secolo XI e gli inizi del XII furono davvero cruciali per le sorti dei Guidi, ben radicati in un territorio di buona vastità, sebbene non del tutto coerente, e, grazie forse ai vantaggi ottenuti dal loro solido rapporto con il potere marchionale, ancora non del tutto in urto con gli emergenti poteri cittadini. Per qualche tempo, probabilmente, la famiglia cullò speranze ancora più ambiziose di quelle che poi, in concreto, si realizzarono: l'adozione del G. da parte di Matilde avrebbe potuto significare un deciso salto di qualità rispetto ad altre eminenti famiglie della Tuscia, se ai beni già in loro possesso si fossero aggiunti quelli dei Canossa: ciò avrebbe infatti favorito la formazione di una vastissima signoria territoriale.
Anche se il reale significato dell'adozione del G. da parte di Matilde rimane ancora non del tutto chiaro e andrebbe compiuta una nuova analisi dei documenti originali che attestano tale legame (cfr. un regesto di questi in Overmann), di certo in quegli anni il G. e la sua famiglia interpretarono un ruolo a due facce: a fronte di una dimensione locale simile a quella di altre famiglie comitali - anche con momenti di difficoltà come fanno supporre gli indebitamenti dei primi anni del secolo XII - essi assunsero accanto a Matilde un ruolo di spicco che li proiettò in una dimensione ben al di là dei territori del loro radicamento.
Che le scelte di politica, per così dire, sovralocale trovassero puntuali ripercussioni nella dimensione più circoscritta risulta abbastanza evidente: per esempio, nel contesto aretino, agli inizi del secolo XII, la presenza di un vescovo filoimperiale, Sigifredo, portò a scontri tra i Guidi - affiancati da quelli che con buona sicurezza sono stati considerati loro consanguinei, i conti di Romena - e l'episcopato. Tali lotte si poterono concludere solo con l'elezione del nuovo vescovo di Arezzo Gregorio che, nominato dal papa, favorì la riconciliazione con i partigiani di Matilde: in tal senso si può leggere la conferma della restituzione da parte del G. della curtis e del castrum di Moggiona ai canonici aretini del 1107, nel 1098 devoluta dal padre Guido (IV), con la promessa di non causare più danni contro di loro, né direttamente né attraverso i propri "vicecomites vel castaldiones sive scariones aut mandatarii" (cfr. Delumeau, p. 414 n. 361).
Questo documento, dove compare fra i sottoscrittori un conte Sinibaldo, nel quale va ravvisato, forse, Rainaldo, padre della moglie del G., Imilia, attesta la presenza di un complessivo e organizzato sistema di fedeli del G., attraverso i quali era possibile gestire il proprio potere territoriale e misurarsi con le altre forze in campo. Proprio la signoria esercitata dai Guidi al tempo del G. è stata paragonata dal Delumeau a quella dei marchiones e definita: "une principauté "réagrégée", issue de l'éclatement des anciens territoires comtaux, hétérogène […] mais pourtant cohérente, à l'interieur de laquelle les comtes exercent sur les hommes résidents les pouvoirs supérieurs du ban" (p. 396).
A partire dal 1108 il G. tornò a intitolarsi semplicemente come conte anche se compare nella documentazione relativa a Matilde in ulteriori atti fino alla morte della marchesa avvenuta nel 1115; con tutta probabilità egli le rimase quindi fedele. Purtuttavia, com'è noto, alla sua morte Matilde lasciò i propri beni alla Chiesa di Roma. La storiografia non ha del resto indagato più di tanto sulla decisione di tale "ripudio", insistendo più che altro sull'analisi dell'evidente precarietà del dominio stesso dei Canossa: di certo la morte della marchesa costrinse ancor di più il G. e la sua schiatta a un cambiamento di direzione nella politica familiare. Infatti, la fine del controllo dell'istituzione marchionale da parte di una discendenza fortemente radicata nella realtà locale ma anche capace di alleanze a largo raggio e, in particolare, con il Papato riportò in auge il ruolo dell'Impero nella Tuscia. Il G. trovò così il suo nuovo punto di riferimento in Corrado, vicario di Enrico V per la Marca, accanto al quale lo troviamo nel 1120.
In quell'anno il G., avendo poco tempo prima provveduto all'edificazione e alla fortificazione di Empoli, dove radunò molti abitanti del contado provenienti da terre di sua pertinenza, sostenne militarmente il margravio Corrado impegnato a contrastare il dominio dei conti Alberti sul castello di Pontormo. L'intervento del G. in tale area fu dettato anche dalla volontà di appropriarsi dei beni dei conti Codolingi. Questa dinastia, per la quale è stata ipotizzata una comune origine con i Guidi, si era da poco estinta con la morte di Ugo (1113) e i suoi beni erano reclamati dagli Alberti, per aver il conte Tancredi "Nontigiova" sposato Cecilia di Arduino Della Palude, vedova di Ugo.
Ma, per quanto buono potesse divenire il rapporto con l'istituzione imperiale, pure è chiaro che ormai si agiva in uno scenario profondamente cambiato rispetto anche a solo pochi decenni prima. Le famiglie comitali erano ovunque costrette a una mutazione dei loro modi di gestione del patrimonio e, più genericamente, dell'azione politica: ciò avveniva tanto più nella Toscana settentrionale, terra di città dinamiche e vitali. Tuttavia il G., insieme con la sua compagine familiare, tentò ancora una politica di espansione patrimoniale, cercando di consolidare la propria presenza nel Valdarno inferiore approfittando per ciò, come già detto, dell'estinzione della famiglia dei Cadolingi. Il G. intraprese, oltre alla fortificazione di Empoli, l'edificazione del castello di Vinci nel 1120, iniziative entrambe utili a un radicamento sul territorio; negli stessi anni estese inoltre la sua influenza su monasteri già controllati dai Cadolingi: è il caso di quello di Fucecchio che un documento del 12 dic. 1122 attesta essere sotto la protezione del G., un segno, ancora, della vecchia maniera di fare politica, nel gestire un controllo sul territorio e nel calarsi nella dimensione sociale e culturale di un'area.
Il G. morì qualche tempo dopo, probabilmente nel 1124, come ricordato nel Chronicon Faventinum e attestato da un documento camaldolese dell'ottobre di quell'anno, sottoscritto dalla moglie Imilia in qualità di sua vedova.
Le morti premature di diversi esponenti della famiglia caratterizzarono in due sensi le sorti dei Guidi tra i secoli XI e XII: da un lato, infatti, permisero il mantenimento compatto del patrimonio familiare; dall'altro, tale situazione portò gli esponenti femminili ad assumere in diverse occasioni ruoli e responsabilità tradizionalmente appannaggio degli uomini. Dopo la morte del G. le sorti della famiglia furono prese in mano proprio da Imilia, che era intervenuta in diversi atti al fianco del marito. Imilia dovette intervenire in una fase non semplice, caratterizzata da scontri in Romania e dall'ascesa di Firenze: non di meno, portò avanti tale ruolo con successo, accompagnando il figlio alla maggiore età e continuando ad avere un importante ruolo fino alla morte, avvenuta intorno al 1157.
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