GUIDI, Guido (Guido Guerra [II])
Sesto di questo nome, figlio del conte Guido (V, detto anche Guido Guerra I) e di Imilia, nacque intorno al secondo decennio del XII secolo.
Il padre morì intorno al 1124 quando il G. era ancora in minore età. A reggere le sorti della famiglia pensò, caso non isolato nelle vicende dei Guidi, la madre, Imilia, figlia del conte Rainaldo (o Reginaldo, detto Sinibaldo) che già in precedenza era comparsa accanto al marito il quale, dunque, dava una certa importanza alla moglie e alla sua famiglia di origine.
La prima attestazione del G. risale al 12 dic. 1122 quando compare, ancora vivo il padre, in un atto con il quale la famiglia Guidi prendeva sotto la sua protezione il monastero di Fucecchio, fondazione in precedenza controllata dai Cadolingi. Una volta scomparso Guido (V), la madre esercitò una vigile reggenza, come si evince da una serie di documenti emanati in un arco di tempo che va dal 1125 al 1133, dove il G. compare sempre in un ruolo subordinato.
Durante gli anni di minorità ebbe l'appoggio della famiglia Ubertini che peraltro, come si evince dalla documentazione, fu accanto al G. anche successivamente. Gli Ubertini, infatti, sottoscrissero frequentemente atti stipulati da Imilia - e, in seguito, dallo stesso G. - offrendo un'alleanza quanto mai utile e opportuna per l'intera compagine familiare che si trovava a subire attacchi diretti e indiretti, forse anche per lo status di minorenne del G.; per esempio, nel 1133 il vescovo di Arezzo Buiano si impegnava a essere "adiutor et defensor" (cfr. Delumeau, n. 39 p. 40) del monastero di Strumi, per i beni posti nella diocesi di Arezzo, a patto che il monastero rimanesse sotto la tutela episcopale: un atto che non era certo favorevole ai Guidi, tradizionali protettori di Strumi. Il 28 apr. 1134 il G. e la madre chiesero ad Azzone, priore di Camaldoli, la licenza di fondare un monastero femminile nella chiesa di S. Maria a Poppiena. Il priore accettò, a patto che la badessa venisse eletta con licenza sua o dei suoi successori: dopo soli quattro giorni ricopriva tale carica la giovane Sofia, sorella del Guidi.
Proprio questo documento attesta l'avvenuto ingresso nella maggiore età del G., anche se ciò non escluse Imilia da un ruolo attivo nelle scelte e negli atti relativi alla famiglia: la madre, infatti, per lungo tempo appare in numerosi atti accanto al figlio, anche se in una posizione ormai subordinata.
Negli anni successivi il G. appare agire con determinazione ed energia in diversi frangenti. Come riferisce il Davidsohn, tra il 1136 e il 1137 il G. si scontrò con scarsa fortuna con Enrico duca di Baviera, che guidava una parte dell'esercito di Lotario II nel corso della discesa dell'imperatore in Italia per porre fine allo scisma che opponeva Innocenzo II e Anacleto II. Mentre Lotario scendeva lungo l'Adriatico, Enrico entrava infatti in Tuscia intenzionato a restaurarvi l'autorità imperiale, vacante per la fuga del marchese Engelberto. Nel corso di questi avvenimenti il G. cercò di ostacolare la sua discesa, ma fu ripetutamente sconfitto e, infine, costretto a unire le sue schiere alle armate che procedevano contro Firenze.
Accanto a tali impegni il G. doveva però affrontare anche problemi a livello locale. Lo scontro più noto, e di certo più duraturo, fu quello con Firenze impegnata a rivendicare ed estendere il controllo sul contado circostante, ma in tale circostanza si inserirono anche le rivalità con la famiglia Alberti, i cui possedimenti gravitavano in aree dove era anche presente la famiglia del Guidi.
I rapporti con gli Alberti erano diventati particolarmente tesi con l'avvento al soglio episcopale di Firenze di Goffredo, fratello del conte Tancredi Nontejuvat Alberti. Quest'ultimo in seguito al suo matrimonio con Cecilia di Arduino Della Palude, vedova di Ugo, ultimo discendente dei Cadolingi, si era già ripetutamente scontrato con la famiglia Guidi per i possedimenti della nobile famiglia comitale nonché, una volta scomparsa Cecilia (1135), per l'eredità dei beni di Arduino Della Palude, beni dislocati in area emiliana rivendicati anche questi dal Guidi.
Proprio nel corso degli ultimi anni del lungo episcopato di Goffredo Alberti (dal 1113 al 1143-46) Firenze si scontrò ripetutamente con il G. per il possesso di alcuni castelli quali Quona, di proprietà di feudatari legati al G. e occupato dai Fiorentini nel 1143, e Monte di Croce, quest'ultimo ripetutamente attaccato in quello stesso anno, nonché nel 1145. Tale opposizione vide da una parte la famiglia del G. collegata con le città di Siena, Lucca e Pistoia, mentre erano schierate con Firenze le città di Pisa e di Prato - località quest'ultima dove era maggiormente radicata l'influenza degli Alberti - e i capitanei della Garfagnana.
La città di Arezzo, al contrario, spesso in contrasto con i Guidi e tradizionale alleata dei Fiorentini fu, in tale frangente, in non aperta belligeranza nei confronti del G.: nel 1146 gli Aretini intervennero attivamente insieme con schiere armate provenienti da Faenza, affinché i Fiorentini ponessero fine all'assedio di Monte di Croce. Poco dopo però, probabilmente nella primavera del 1147, approfittando della lontananza del G., che aveva raccolto l'invito a partecipare alla seconda crociata, Monte di Croce fu preso dai Fiorentini, i quali distrussero successivamente (1148) l'intero insediamento.
Anche in seguito Monte di Croce subì traversie: nel 1153 il castello, che era stato nel frattempo fatto riedificare dal G., fu per la seconda volta distrutto dai Fiorentini. Di nuovo, però, fu ricostruito per volere del Guidi. La signoria della famiglia su Monte di Croce non si esaurì, almeno formalmente, prima del 1227, quando il vescovo di Firenze lo comprò dai Guidi, anche se si può supporre che tale acquisto si rese necessario per il reinserimento di questa località in un diploma di Federico II assai favorevole ai Guidi; è probabile però che già da diversi decenni questi ne avessero perso l'effettivo controllo.
Il G., che ritornò dalla crociata intorno al 1149, ricompare l'anno successivo quale alleato dei Pisani in un conflitto che vedeva schierati questi ultimi contro Firenze e Lucca, anche se in seguito giunse a patti con quest'ultima per il possesso del castello di Monte Vorno.
Nel frattempo la morte di Corrado III, avvenuta nel febbraio 1152, aveva visto l'ascesa di Federico I Barbarossa, eletto nel marzo di quell'anno re dei Romani. In tali circostanze il G. fece parte dell'ambasceria inviata presso il pontefice Eugenio III per siglare un accordo in vista della discesa in Italia di Federico per essere incoronato. Il nome del G. compare infatti fra i sottoscrittori del documento siglato a Roma tra il mese di dicembre 1152 e il mese di gennaio 1153 e confermato nel marzo di quello stesso anno a Costanza.
Il G. era senz'altro di nuovo in Toscana, coinvolto nelle continue contese fra le diverse città, nel 1154 quando davanti al castello di Carmignano, nei pressi di Prato ma appartenente al comitato pistoiese, si svolse una battaglia alla quale egli partecipò in qualità di alleato di Pistoia contro Firenze e Prato, mettendo in fuga gli eserciti di queste due città.
La discesa del Barbarossa in Italia rappresentò per il G. un prezioso aiuto per il mantenimento del suo prestigio così minacciato da Firenze. Non è noto se il G., al pari di altri feudatari italici, abbia presenziato alla prima Dieta di Roncaglia (dicembre 1154) voluta da Federico I ma di certo era con il Barbarossa quando questi valicò l'Appennino bolognese, nel maggio del 1155, per giungere, attraverso la Tuscia, a Roma dove era atteso per l'incoronazione. I Fiorentini, in tale occasione, cercarono di sbarrare la strada a Federico e al G., ma subirono una dura rappresaglia. Dopo aver assistito il 18 giugno alla consacrazione di Federico I, il G. fu da questo inviato in Puglia per comunicare alcuni ordini imperiali. Sulla strada del ritorno decise di aspettare l'esercito tedesco a Spoleto ma qui, probabilmente per istigazione dei Fiorentini, gli Spoletini imprigionarono il Guidi. Lo stesso Federico si rivolse allora contro la città, rea di averlo imbrogliato sul pagamento del fodro, e la incendiò favorendo la liberazione del conte.
Un ulteriore momento di tensione fra Firenze e il G. si ebbe per il controllo e il dominio del castrum di Poggibonsi.
Questo fortilizio, la cui costruzione era terminata nel 1156, era stato voluto dalla famiglia Guidi, in accordo con la città di Siena, in seguito alla distruzione del castello di Marturi, operata dai Fiorentini nel 1115; vicende sulle quali indagini archeologiche in corso potranno fornire elementi chiarificatori. L'insediamento, che si trovava a poca distanza dal monte dove sorgeva un tempo Marturi e che assolveva alla stessa funzione di controllo sulla Val d'Elsa, fu nel mese di aprile del 1156 duramente attaccato dai Fiorentini, i quali furono però respinti. In seguito a questi avvenimenti il G. dovette comunque cedere ai Senesi un'ottava parte del castello e, relativamente alle rimanenti, strinse puntuali patti, sfociati poi nel giuramento degli abitanti a favore di Siena.
Tale donazione, del resto, ebbe un seguito nella conferma dei patti siglati a suo tempo tra il G. e la città, emanata da Rainaldo arcivescovo di Colonia il 27 apr. 1167: "Universa, que comes Guido Werra eis [i.e. Senenses] legaliter dedit in Podio Bonici" (Acta Imperii selecta…, a cura di J.F. Böhmer, Innsbruck 1870, doc. 1130, p. 818).
Nell'aprile del 1157 il G. morì, ancora giovane, a Montevarchi, nell'Aretino, secondo la ricostruzione data dal Davidsohn (1956, pp. 686 s.).
La morte del G. lasciava, ancora una volta nella storia della famiglia, un minorenne orfano, Guido (VII, detto anche Guido Guerra [III]), oltre a due figlie, Adaleita e Imilia; quest'ultima, che sposò il conte Alberto (IV) Alberti, famiglia con la quale successivamente i Guidi si riappacificarono, risulta particolarmente legata al monastero di Montepiano, cui fece una donazione nel 1168 e al quale destinò dei beni che il marito e il figlio consegnarono, in osservanza alle sue ultime volontà, il 9 sett. 1184. Non si conosce, invece, il nome della moglie del G., né se gli fosse premorta: sappiamo, però, che in seguito al decesso del G., procuratrice del comitatus dei Guidi divenne l'energica sorella, Sofia badessa di Pratovecchio.
In non molti anni il G. era comunque riuscito a ritagliarsi un ruolo di grande rilievo nelle vicende non solo toscane. Sebbene non si sappia molto sull'organizzazione interna delle signorie territoriali, sul funzionamento dell'organizzazione economica, sulla gestione del patrimonio e, nel complesso, sul livello culturale al quale esse operavano - notizie sostanziose in merito a tali temi si hanno solo con i primi anni del secolo XIII - vi sono indizi sia pure estemporanei che sembrerebbero indicare, nel caso del G., un'organizzazione efficiente su diversi piani. Un indizio puntuale emerge, per esempio, da un documento del 1152 che sembrerebbe testimoniare di una cancelleria comitale presso la famiglia, laddove ci presenta un "magister Rubertus, cancellarius domini Guidonis Guerre" (cfr. Delumeau, p. 405).
Nel periodo in cui fu attivo il G. riuscì, pur vedendo eroso al pari di altre stirpi signorili il proprio potere, a mantenere comunque un ruolo di prestigio presso le Comunità rurali delle quali era stato fino a quel momento padrone incontrastato. È il caso degli uomini del castello di Vinci i quali, al momento di sottoscrivere l'atto di sottomissione alla città di Pistoia, si vedevano riconosciuto dai consoli di quella città il diritto di non intervenire militarmente in caso di conflitto fra Pistoia e il Guidi.
Una suggestiva testimonianza circa il G. ci viene, infine, dal cronista Sanzanome che ricorda la particolare dimensione politica del G. con un'efficace espressione: "qui per se quasi civitas est et provincia" (p. 5).
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