GUIDI, Guido
Nacque il 10 febbr. 1509 a Firenze, primo figlio di Giuliano di Bartolomeo, medico, appartenente a una famiglia di piccola nobiltà originaria di Anterigoli nel Mugello inurbatasi nel XIV secolo, e di Costanza Bigordi, figlia del celebre pittore Domenico detto (del) Ghirlandaio. Ebbe un fratello, Giuliano, e due sorelle.
Del periodo di formazione si hanno poche e vaghe notizie, riportate essenzialmente da antichi biografi; si attribuiscono al G., oltre che studi umanistici, anche la frequenza di corsi teologici e medici, arrivando a congetturare che tutto ciò sia avvenuto presso lo Studio pisano. Nessun documento riguardante gli studi del G. è, allo stato delle ricerche, conosciuto, ma la sua ulteriore carriera lascia fondatamente supporre che abbia ottenuto uno o più gradi accademici, probabilmente presso un'università italiana. A partire dagli anni Trenta, il G. esercitò la professione medica, a Firenze e a Roma. Il ritrovamento di un suo consulto medico, redatto, sotto forma di lettera, il 12 ott. 1540 e indirizzato a un canonico di San Casciano, B. Pescioni, ha avvalorato in alcuni studiosi la convinzione che già a quella data il G. avesse acquisito rinomanza nella professione.
È probabile che il G. fosse a Roma tra il 1534 e il 1538, chiamato dal cardinale Niccolò Ridolfi, nipote di Lorenzo il Magnifico e capo del partito francese in Curia, al fine di sovrintendere alla trascrizione e alla traduzione di un importante codice miniato appartenuto al medico bizantino Niceta, di proprietà della Libreria Medicea.
Acquistato a Creta da G. Lascaris durante il suo secondo viaggio in Grecia alla ricerca di manoscritti importanti (1491-92) su commissione di Lorenzo il Magnifico, il prezioso codice (IX-X sec.), noto come Raccolta di chirurgi greci e oggi alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (Plut. grec., 74.7), contiene quattro trattati ippocratici commentati da Galeno, Apollonio di Cizio, Palladio e Rufo, i trattati di Galeno sulle ossa e sui bendaggi, i trattati sui bendaggi di Sorano e di Oribasio, il trattato di Sorano sui segni delle fratture, nonché scritti di Eliodoro e altri, tutti in greco. Forse da considerarsi come la fonte maggiore e più attendibile delle nostre conoscenze in merito alla chirurgia greca antica, l'inestimabile valore documentario della Raccolta è dato anche dalle numerose vignette nelle quali sono raffigurati metodi per la riduzione di fratture e lussazioni e le macchine impiegatevi. Alcuni studiosi hanno congetturato che il codice sia stato portato a Roma, dove il G. lo tradusse in latino e curò la trascrizione del testo greco eseguita dal celebre copista C. Auer, nonché il lavoro del pittore Francesco De Rossi detto il Salviati e dei suoi allievi (l'attribuzione delle illustrazioni, da parte di H. Omont a F. Primaticcio è stata confutata in maniera convincente da Hirst). È più probabile però, come hanno sostenuto sia Kellet, sia Grmek (1984), che il G. e i collaboratori abbiano utilizzato per il loro lavoro una copia, eseguita a Firenze, forse quella che presenta disegni assai più rozzi, attribuiti a Giovanni Santorino da Rodi, oggi alla Bibliothèque nationale di Parigi (Mss. gr., 2248). È comunque indubbia l'importanza dei due codici per la rinascita della scienza medica. Sembra ormai certo, tra l'altro, che si possa rivendicare a essi, grazie all'eccezionale precisione ed efficacia delle illustrazioni, un ruolo primario nel rinnovamento dell'iconografia anatomica, ruolo che era tradizionalmente fatto risalire ad A. Vesalio, la cui De humani corporis fabrica fu pubblicata però solo nel 1543 a Basilea.
Terminata la traduzione e la riproduzione del codice, il G. fu per un periodo a Firenze (lo prova il citato consulto medico), poi tornò probabilmente a Roma. Da qui si recò a Parigi, forse prima della fine del 1541, o comunque di sicuro non dopo i primi mesi del 1542, come latore di due preziosi doni del cardinale Ridolfi al re di Francia Francesco I (gli odierni Mss. gr. 2247 e Mss. lat. 6866 della Bibliothèque nationale di Parigi). Il G. fu scelto per questo compito, oltre perché autore della traduzione eseguita, probabilmente anche per un'altra ragione. Risulta, infatti, da una lettera del G. a L. Ridolfi, nipote del cardinale, del 10 febbr. 1544, che in quegli anni il fratello del G., Giuliano, era socio in affari del giovane Ridolfi, nonché suo debitore, e che il G. si era assunto tali debiti, promettendo di pagarli con i primi utili ricavati dalla sua trasferta francese.
Accolto da Francesco I a corte, il G. fu subito nominato, come risulta da una lettera che gli scrisse C. Tolomei l'8 maggio 1542 (Salvini, p. 116) e da un'altra del G. a B. Varchi del 30 giugno dello stesso anno (Ansaldi, p. 263), "médicin ordinaire du roi" con funzioni "par quartier", ossia in servizio effettivo per un solo trimestre l'anno. A Parigi, al G. fu assegnata come residenza l'hôtel du Petit-Nesle, dove alloggiava un altro illustre esule fiorentino, B. Cellini.
Benché nell'autobiografia Cellini lasci intendere che l'avvio dell'amicizia che lo legò al G. risalga agli anni francesi, da un episodio narrato dal G. nel De chirurgia (Firenze, Biblioteca nazionale, Mss. lat., II.III.31, c. 25r), sappiamo che in realtà i due ebbero occasione di conoscersi a Roma, prima del 1538. Ritrovatisi a Parigi, la consuetudine domestica, protrattasi per circa tre anni, permise loro di approfondire un'amicizia che presto sfociò in un reciproco sentimento di stima, tanto che, parlando del G., Cellini lo definì il "più virtuoso, più amorevole e più domestico uomo dabbene che io mai conoscessi al mondo". Nel giugno 1544, inoltre, il G. si prestò a fare da padrino di battesimo per una bambina, Costanza, nata dalla relazione tra Cellini e una contadina francese.
Sembra che nel periodo francese il G. sia stato titolare anche di "revenus ecclésiastiques" (Grmek, 1965, p. 193; cfr. Salvini, p. 118). Pur se non è noto quali rendite ecclesiastiche e a che titolo gli furono conferite, la notizia fa pensare che già in questi anni il G. fosse inserito in un ordine religioso, il che renderebbe meno anomale le funzioni ecclesiastiche assunte dal G. al ritorno in Toscana. Ma l'attività principale da lui svolta in Francia fu quella di lettore di medicina presso il Collège royal. Prese possesso della cattedra, appositamente istituita per lui da Francesco I, nel settembre 1542, avviando un corso sul trattato ippocratico De vulneribus capitis. Di esso fornì una traduzione latina, oggi alla Bibliothèque nationale di Parigi (Mss. lat., 6861), corredata di illustrazioni dell'attrezzatura chirurgica impiegata nella cura delle ferite alla testa, la cui qualità è stata giudicata da Grmek (1973, p. 178) notevole, ma il cui autore è sconosciuto.
Lo scritto ippocratico fu inserito dal G. nella raccolta di traduzioni da lui data alle stampe nel maggio del 1544, la Chirurgia e Graeco in Latinum conversa, Vido Vidio Florentino interprete, cum nonnullis eiusdem Vidii commentariis, Lutetiae Parisiorum, apud Petrus Galterius, 1544. L'opera raccoglie, tra gli altri, alcuni dei trattati chirurgici inseriti nel ms. Lat. 6866 della Bibliothèque nationale di Parigi, in particolare gli scritti d'Oribasio e di Galeno. Cellini, nell'autobiografia, racconta che fu impressa, in economia, all'Hôtel du Petit-Nesle, dove risiedeva e aveva bottega anche lo stampatore Pierre Gaultier. La circostanza che al Petit-Nesle fosse ospitato, nei mesi di stampa del libro, F. Primaticcio e che l'autore lo citi nella dedica ha fatto ipotizzare che sia il pittore bolognese l'autore delle incisioni che decorano l'opera. In realtà, sembra probabile che il G. abbia portato con sé dall'Italia gran parte delle incisioni utilizzate (che derivano dalle vignette del Salviati nei codici Lat. 6866 e Gr. 2247 della Bibliothèque nationale), e che il contributo del Primaticcio si sia limitato a sovrintendere alla stampa delle illustrazioni. Il libro ebbe un notevole successo. Echi evidenti si ritrovano negli scritti dei più celebri medici del tempo, quali A. Paré, C. Estienne, R. Colombo, G. Falloppia. Inoltre, di esso fu pubblicata una versione francese a Lione nel 1555. Infine, C. Gesner, nella sua silloge De chirurgia scriptores optimi quique veteres et recentiores (Tiguri, per A. et J. Gessnerum fratres, 1555) ne ristampò tre trattati (il De fascis di Galeno, il De laquaeis e il De machinamentis di Oribasio).
Morto, nel marzo 1547, Francesco I, il G. decise di tornare in Toscana, forse anche a causa di un'ostilità crescente dell'ambiente parigino. Lo persuase in questa decisione il progetto del duca Cosimo I di ridare prestigio all'antico Studio pisano: tra la primavera e l'estate 1547 il G. poté constatare la disponibilità del governo mediceo a investire risorse in questa direzione durante la trattativa per il suo trasferimento nell'Università toscana. L'accordo fu chiuso prima del 10 sett. 1547 (ne fa fede la data di una lettera del G., pubblicata da Fabroni, p. 265), ma nel dicembre successivo il G. era ancora in Francia. Non è nota la data precisa del rientro in Italia, ma il 1° nov. 1548 iniziò l'attività accademica presso lo Studio pisano con l'incarico di lettore di medicina teorica e pratica (che tenne fino alla morte) e una provvisione di 500 "monete d'oro", la più alta fra tutti i docenti dello Studio. Parte della provvisione gli era conferita a titolo di protomedico del duca. La docenza pisana, protrattasi per ben vent'anni, ingigantì la fama del G., le cui lezioni furono costantemente frequentate da un numero elevato di studenti, tra i quali anche A. Cesalpino, che indicò nel G. il suo maestro e gli riconobbe il merito di avere promosso la rinascita della medicina greca (Cesalpino, dedica). Il crescente prestigio del G. e l'autorità di cui godeva fecero sì che ben presto fosse associato all'Accademia Fiorentina, della quale nel 1553 fu eletto ventiseiesimo console. Durante la sua reggenza promosse un ciclo di pubbliche letture sulla Divina commedia, affidato a G.B. Gelli, e uno, condotto da B. Varchi, sul Canzoniere di F. Petrarca.
Risalgono al periodo compreso tra il 1548 e il 1557 tre opere del G., poi stampate postume con notevoli manomissioni dal nipote Guido Guidi il Giovane, i cui manoscritti sono conservati alla Biblioteca nazionale di Firenze: il De medicamentis libri sex (Mss., II.III.30), il De chirurgia libri quatuor (II.III.31), l'Anatome libri septem (II.III.32).
Dedicati a Cosimo I, la datazione dei tre scritti è stata ricavata dal fatto che il principe è indicato come duca di Firenze e Siena. Mai studiati a fondo, sono in realtà molto interessanti. Nel De medicamentis, per la spiegazione patogenetica delle malattie, il G. è fedele alla tradizione galenica, ma le terapie proposte sono essenzialmente dietetiche e si ispirano chiaramente a Ippocrate. Infatti, per il G., la cura non è una semplice assunzione di rimedi ma una vera e propria regola di vita, mentre viene negata ogni importanza agli influssi astrologici. Nel De chirurgia, invece, forte è l'influenza della lunga consuetudine con i testi dei chirurgi greci. Dopo una discussione preliminare su natura, fini e possibilità della disciplina, il G. descrive i bendaggi, gli strumenti chirurgici e quelli per l'ispezione diretta degli organi interni attraverso gli orifizi. L'Anatome, infine, presenta un testo sensibilmente diverso da quello dato alle stampe dal nipote, che ha fatto tacciare di plagio il Guidi. Ma dall'esame del manoscritto risulta l'infondatezza dell'accusa. Le descrizioni delle vertebre e delle ossa del cranio hanno notevole rilievo, tanto da far supporre una certa assiduità nelle dissezioni. Molto nota è la descrizione dello sfenoide e del suo canalis Vidianus, con il nervo che l'attraversa; altrettanto quelle dell'osso palatino, delle tre membrane dell'intestino e dell'intestino duodeno, nonché le dissezioni anatomiche del cervello. Nella parte finale, il G. riferisce anche di alcuni esperimenti anatomici su animali vivi. I tre manoscritti sono corredati da un notevole apparato iconografico, in gran parte derivato da opere di altri medici, ma con alcuni disegni originali di buona qualità.
Intanto, il 3 dic. 1556, il G. fu ascritto alla nobiltà pisana (con il diritto a inquartare il proprio stemma con quello della città) e l'anno dopo fu fatto pievano di Livorno. L'assunzione di tale beneficio ecclesiastico coincise con la nomina, onorifica ma ambita, di lettore "sopraordinario", titolo che, peraltro, permetteva al G. di esercitare la doppia funzione, religiosa e di docente presso lo Studio. È provato, infatti, che, sia a Livorno, sia successivamente a Pescia, il G. abbia dovuto farsi carico delle principali incombenze sacerdotali, compreso il celebrare la messa. È quindi presumibile che già prima del 1557 avesse ricevuto gli ordini sacri. Il G. pose la sua residenza a Livorno solo nel 1559, anno in cui la sua provvisione fu aumentata dall'amministrazione universitaria di 100 "monete d'oro", a titolo di rimborso spese per i giornalieri spostamenti tra la città sede del ministero sacro e quella dell'attività d'insegnamento. Sembra, inoltre, che a Livorno il G. abbia dovuto dedicarsi, oltre che alla cura delle anime, anche a quella dei corpi. Era, infatti, annesso alla pieve di S. Maria e Giulia l'ospedale di S. Antonio, circostanza quest'ultima che ha fatto ritenere che il beneficio concesso comportasse anche l'assunzione del servizio sanitario. A Livorno il G. restò fino al 1562, anno in cui fu eletto alla propositura di Pescia, nomina quest'ultima che equivaleva all'investitura episcopale e comportava il titolo di monsignore. La nuova responsabilità fu onorata dal G. per sette anni circa, durante i quali risiedette nella sua diocesi e ottenne una dispensa papale per continuare a esercitare la medicina e l'insegnamento a Pisa. In tale lasso di tempo si distinse, tra l'altro, per la manifesta volontà di dare esecuzione rigorosa ai decreti del concilio di Trento, fino al punto di progettare la convocazione di un sinodo diocesano straordinario da dedicare alla questione.
La morte, avvenuta in Pisa il 26 maggio 1569, gli impedì di dare seguito al progetto. Il corpo fu trasportato a Firenze, e sepolto nella chiesa della Ss. Annunziata.
Postume, tra il 1585 e il 1594, furono date alle stampe dall'omonimo nipote tutte le opere lasciate manoscritte dal G., alcune con notevoli alterazioni. La maggior parte di esse fu poi raccolta nei tre volumi dell'Ars medicinalis, in qua cuncta quae ad humani corporis valetudinem praesentem tuendam et absentem revocandam pertinent, methodo exactissima explicantur, Venetiis 1611. A parte fu edito il De febribus libri septem (Firenze, B. Sermartelli, 1585), che fu però inserito negli Opera omnia medica chirurgica et anatomica, Francfort 1668. Oltre i manoscritti già citati, sono da segnalare a Firenze, Biblioteca nazionale, Mss., II.III.29: De curatione generatim lib. XVII (1564); Ibid., Biblioteca Riccardiana, Mss. Ricc., 828, cc. 46-55; 997 (le 95 lezioni del corso pisano del 1548); 1586 (le lezioni del corso pisano del 1551); lettere autografe sono indicate in G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d'Italia, XI, p. 146; Iter Italicum, I, col. 67a; II, col. 540a.
Fonti e Bibl.: A. Cesalpino, Artis medicae pars I, Romae 1602; B. Cellini, Vita, a cura di O. Bacci, Firenze 1901; P. Casteele [Castellanus], Vitae illustrium medicorum, Antverpiae 1618, p. 189; G. Duval, Le Collège royal de France, Paris 1645, pp. 63 s.; S. Salvini, Fasti consolari dell'Accademia Fiorentina, Firenze 1717, pp. 115-123; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, pp. 523-529; D.M. Manni, Vita di Domenico del Ghirlandaio, in Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, XLV (1751), p. 163; Elogi degli uomini illustri di Toscana, III, Lucca 1772, pp. 250-256; A. Fabroni, Historiae Academiae Pisanae, II, Pisis 1793, pp. 264-266; A.-J.-L. Jourdan, Biographie médicale, IV, Paris 1821, p. 545; F. Inghirami, Storia della Toscana, XIII, Fiesole 1844, pp. 218 ss.; G. Ansaldi, Cenni biografici dei personaggi illustri della città di Pescia e dintorni, Pescia 1872, pp. 262 ss.; Apollonius von Kitium, Illustrierter Kommentar zu der hippokrateischen Schrift πεϱὶ ἄϱθϱων, a cura di H. Schöne, Leipzig 1896, ad indicem; Collection de chirurgiens grecs avec dessins attribués de Primatice, a cura di H. Omont, Paris 1908, pp. 1-17; A. Lefranc, Les commencements du Collège de France (1529-1544), in Mélanges d'histoire offerts à Henri Pirenne, Bruxelles 1926, pp. 291-306; W. Brockbank, The man who was Vidius, in Annals of the Royal College of surgeons of England, XIX (1956), pp. 269-295; E. Coturri, G. G. celebre chirurgo fiorentino del Cinquecento pievano di Livorno e proposito di Pescia, Milano 1958; C.E. Kellet, The school of Salviati and the illustrations to the Chirurgia of Vidus Vidius, in Medical History, II (1958), pp. 264-268; Id., Santorinos of Rhodes and the illustrations to the Chirurgia of Vidus Vidius, Newcastle 1959; A. Franz, L'iconografia traumatologica nell'opera di G. G., in Atti e memorie dell'Accademia di storia dell'arte sanitaria, LVIII (1959), 2, pp. 70-89; R. Starn, Additions to the correspondence of Donato Giannotti…, in Rinascimento, IV (1964), pp. 106, 116, 118; M.D. Grmek, La période parisienne dans la vie de G. G. anatomiste de Florence et professeur au Collège de France, in Atti della VI Biennale della Marca per la storia della medicina… 1965, a cura di M. Santoro, Fermo 1965, pp. 191-200; A. Oberti, Il trattato sulle fasciature di Galeno tradotto in latino da Vido Vidi, in Scientia veterum, 1966, n. 101, pp. 3-20; C. Coury, L'enseignement de la médecine en France des origines à nos jours, Paris 1968, pp. 82-84; M. Hirst, Salviati illustrateur de Vidus Vidius, in Revue de l'art, VI (1969), pp. 19-28; M.D. Grmek, G., G., in Dictionary of scientific biography, a cura di C. Coulston Gillispie, V, New York 1972, pp. 580 s.; Id., Vidius et les illustrations anatomiques et chirurgicales de la Renaissance, in Sciences de la Renaissance. VIIIe Congrès international, Tours… 1964, Paris 1973, pp. 175-186; G. Vivoli, Annali di Livorno, III, Livorno 1974, p. 31; M.D. Grmek, Contribution à la biographie de Vidius, in Revue d'histoire des sciences, XXXI (1978), pp. 289-299; La rinascita della scienza, a cura di P. Galluzzi, in Firenze e la Toscana dei Medici nell'Europa del Cinquecento (catal.), Milano 1980, pp. 171, 174-180; M.D. Grmek, Vestigia della chirurgia greca: il codice di Niceta e i suoi discendenti, in Kos, 1984, n. 5, pp. 52-60; R. Radicchi, Il famoso medico-umanista G. G. pievano a Livorno, in Studi livornesi, II (1987), pp. 63-77.