JUNG, Guido
, Nacque a Palermo il 1° febbr. 1876 da Mario, discendente da una famiglia israelita d'origine svizzero-tedesca, e Natalìa Randegger.
Dal gennaio 1867 il padre era stato associato all'attività del fratello maggiore Maurizio, insieme con i fratelli, Giulio e Leopoldo, in una ditta di importazioni che da quel momento assunse il nome di Fratelli Jung. Inizialmente gli affari di natura bancaria e commerciale avevano avuto centro a Milano, ma si diffusero maggiormente quando fu avviata a Palermo un'iniziativa per la produzione ed esportazione di mandorle, nocciole e frutta secca in genere. Ritiratisi i fratelli, nel 1899 Mario, preoccupato per le sue condizioni di salute, associò i figli maggiori, Ugo e lo J., nella conduzione dell'azienda.
Dopo un intenso apprendistato condotto soprattutto a Londra, principale piazza di sbocco delle produzioni della ditta, lo J. ne assunse la direzione, interrompendo perciò gli studi d'ingegneria, che aveva appena iniziato.
Il periodo in cui lo J. guidò l'impresa, il primo quindicennio del nuovo secolo, fu caratterizzato da un'attività particolarmente proficua che qualificò la Fratelli Jung tra le realtà imprenditoriali più significative del settore a livello nazionale.
Nell'estate del 1914 lo J., in maniera abbastanza improvvisa, entrò in politica schierandosi con i nazionalisti e divenendo uno fra i massimi esponenti del movimento a Palermo. Al momento della mobilitazione del 22 maggio 1915 lo J. - che per tutta la vita manifestò attrazione e particolare interesse per la vita militare - era volontario, richiamato nel 25° reggimento artiglieria assegnato al comando del primo autoparco in Verona. Il 1° dic. 1915 giunse in territorio dichiarato in stato di guerra, presso la 35a divisione di fanteria mobilitata.
Nel dicembre 1916 ottenne la prima medaglia d'argento al valor militare cui, nel corso del conflitto, se ne aggiunsero altre due per atti di guerra compiuti nell'agosto e nell'ottobre del 1917, insieme con la nomina a capitano.
Il 25 sett. 1918 lasciò il fronte perché comandato dal ministero delle Armi e Munizioni quale segretario per l'Italia presso il comitato interalleato a Parigi. Dal febbraio 1919, su richiesta di V.E. Orlando, fu chiamato a far parte della commissione finanziaria presso la delegazione italiana alla conferenza della pace di Versailles, alle dirette dipendenze di S. Crespi, dove ebbe modo di stringere varie amicizie, in particolare con A. Pirelli. In agosto, coerentemente con le sue posizioni nazionaliste, e dunque in aperto contrasto con quelle del nuovo presidente del Consiglio F.S. Nitti, lo J. abbandonò polemicamente la delegazione e il servizio chiedendo di essere messo in congedo.
Negli oltre dieci mesi trascorsi in gran parte a Parigi, egli si era occupato soprattutto dell'elaborazione della parte finanziaria ed economica dei trattati con la Germania e con l'Austria, in stretto contatto con le autorità governative e soprattutto col direttore generale della Banca d'Italia, B. Stringher.
Rientrato a Palermo riprese a occuparsi dell'attività di famiglia, che non aveva comunque mai abbandonato, così come ebbe cura di non trascurare i contatti politici necessari a ottenere incarichi di responsabilità nella risoluzione delle complicate questioni economiche e commerciali insorte nel dopoguerra.
Dal dicembre 1921 fu rappresentante italiano, accanto a E. Conti, in una commissione costituita a Parigi e finalizzata ad avvicinare l'URSS alle economie occidentali. Nel febbraio e marzo 1922 fu in missione a Londra, come delegato per la costituzione del Consorzio per la ricostruzione dell'Europa orientale. Nell'aprile e nel maggio del medesimo anno fu tra i rappresentanti italiani alla conferenza monetaria di Genova.
Poche settimane dopo la formazione del governo Mussolini, nel dicembre 1922, lo J., in qualità di consigliere finanziario e con il rango di ministro plenipotenziario onorario, seguì a Washington il nuovo ambasciatore italiano negli Stati Uniti, G. Caetani.
Lo J. restò a Washington per sette mesi "col segreto incarico di esplorare le prospettive di un consolidamento dei debiti di guerra dell'Italia verso gli Stati Uniti" (Pirelli, p. 43), e avendo modo di conoscere importanti esponenti dell'economia americana. In poco tempo riuscì a ottenere la considerazione e la simpatia del ministro delle Finanze, A. De Stefani, che lo utilizzò come suo fiduciario nelle delicate manovre internazionali tese a combattere la debolezza della lira, particolarmente marcata in quel periodo.
Nell'estate del 1923, appena rientrato in Italia, lo J. fu affiancato a De Stefani che subito lo impiegò nel difficile salvataggio del Banco di Roma.
Per oltre cinque mesi lo J. tentò di procedere al riassetto dell'istituto di credito romano, fortemente esposto in partecipazioni dal valore ridimensionato o annullato: affidò all'amico O. Sinigaglia la presidenza della Società finanziaria costituita per il realizzo delle partecipazioni e tentò, senza successo, di convincere G. Agnelli a intervenire nella fusione fra il Banco di Roma e la Banca nazionale di credito. In effetti, le maggiori difficoltà gli vennero dai rapporti con il management del Banco, poco incline ad assumersi le proprie responsabilità forse anche perché sostenuto dal Partito popolare, cui Mussolini aveva dovuto promettere un intervento risolutore ma non traumatico. Quasi quarant'anni dopo De Stefani, ricostruendo minuziosamente quegli avvenimenti in Baraonda bancaria (Roma 1960), ebbe cura di non citare mai lo J., suo fiduciario, prendendosi tutti i meriti dell'operazione e scaricando le responsabilità degli errori su B. Mussolini e Stringher.
Nel febbraio 1924, lo J. fu nominato commissario governativo per la liquidazione dei beni requisiti a ex nemici: un compito particolarmente delicato consistente nel dirimere contenziosi su beni e valori economicamente rilevanti e in cui erano coinvolti importanti personaggi. Nell'aprile dello stesso anno fu candidato alle elezioni nel listone fascista ed eletto deputato a Palermo.
Fino all'estate del 1925, lo J. proseguì la sua stretta collaborazione con De Stefani, alternandola e integrandola con incarichi specifici presso varie conferenze, come quelle di Londra e di Parigi per l'applicazione del piano Dawes e per la ripartizione fra gli alleati dei proventi relativi. Nella primavera di quell'anno, un tentativo del ministro delle Finanze di portarlo alla guida della Banca d'Italia, in sostituzione di Stringher, fu sventato "anche grazie a potenti appoggi politici che il direttore generale trovò all'interno del partito fascista" (Cotula - Spaventa, p. 125). In giugno, all'insaputa della dirigenza della Banca d'Italia, lo J. fu incaricato dal ministro di una missione, non coronata da successo, mirante a ottenere un prestito dalla Gran Bretagna. Ancora vicino a De Stefani quando questi varò i decreti sulle operazioni di borsa - che, con l'obiettivo di frenare la speculazione, stabilivano un deposito per gli acquisti azionari -, lo J. si trovò coinvolto nella violenta reazione degli ambienti borsistici e della comunità finanziaria.
Lo J., pur continuando ad affiancare il ministro, assunse tuttavia posizioni critiche in rapporto alla linea d'azione di De Stefani; nonostante ciò venne comunque trascinato nelle convulse polemiche di quelle settimane e fu accusato di aver effettuato operazioni di insider trading, per le quali dovette discolparsi direttamente col capo del governo (Marcoaldi, p. 151).
L'8 luglio 1925, nello stesso giorno in cui G. Volpi sostituiva De Stefani alle Finanze, lo J. presentò le dimissioni dall'incarico di commissario governativo per i beni dei sudditi ex nemici, continuando comunque a mantenere stretti rapporti col ministero e con Mussolini, e partecipando attivamente ad alcuni dei più importanti provvedimenti adottati dal nuovo ministro.
Insieme con A. Pirelli, nella primavera del 1926 si fece promotore dell'Istituto nazionale esportazioni (INE), ente costituito al fine di favorire gli scambi con l'estero. Nell'estate dello stesso anno, all'esordio dell'operazione "quota novanta", gli fu commissionato uno studio sulle ripercussioni di "una stabilizzazione sull'industria, sul commercio e sulle banche". I risultati cui egli giunse, concordando sostanzialmente con la politica governativa, furono graditi a Mussolini di cui lo J. divenne uno fra i consiglieri più ascoltati.
Nominato presidente dell'INE nel novembre 1927, ricoprì tale carica per cinque anni.
In questo ruolo lo J. diede inizialmente, e fin quando fu possibile, "largo impulso all'incremento delle esportazioni orto-frutticole con una intensa opera di studio dei mercati, di controllo della qualità dei prodotti, di assistenza agli esportatori" (Guarneri, p. 225). Successivamente cercò di ridimensionare gli effetti negativi della politica di rivalutazione della lira, mantenendo a un certo livello gli scambi con l'estero. Tentò anche, con alterna fortuna, un'opera di mediazione nei confronti della sua categoria di provenienza, gli esportatori, che si sentivano danneggiati dalla politica economica del fascismo e non più compiutamente rappresentati dalle scelte obbligate e poco convenienti per la loro categoria.
Costante fu, in questo stesso periodo, l'attenzione dello J. al proprio collegio elettorale di Palermo e, nello stesso tempo, alle possibilità di espansione della ditta di famiglia.
Il suo radicamento nella realtà siciliana fu forte soprattutto per ciò che attiene ai rapporti col potere locale; fu amico personale e acceso sostenitore della politica del prefetto C. Mori e ottimo amico anche di I. Mormino, direttore generale del Banco di Sicilia. Per tutti gli anni Venti, la ditta Fratelli Jung, seguita dall'alto dallo J. e condotta in loco dal fratello Ugo, fu in continua espansione, come è documentato dall'infittirsi dei rapporti di credito con la Banca commerciale italiana e con il Banco di Sicilia. Dato il ruolo politico dello J., ciò comportò chiacchiere e sospetti di indebite ingerenze finché, nell'ottobre 1927, Mussolini dispose un'inchiesta riservata su presunti favoritismi alla ditta Jung - e a danno dei concorrenti - da parte delle Ferrovie per la spedizione delle merci. Di nuovo, nel gennaio 1928, fu il prefetto Mori a difendere personalmente lo J. dall'accusa di scambi di favori con esponenti dell'economia palermitana. Nel dicembre dello stesso anno, una nota della polizia politica osservava come gli Jung non godessero nell'isola di larghissime simpatie, per la loro condotta riservata e per i contrasti con alcuni esponenti politici fortemente legati alla delinquenza organizzata.
Nel marzo 1929 lo J. fu rieletto deputato a Palermo nella lista unica; poco amato nell'ambito del Partito nazionale fascista (PNF), vide invece la sua posizione in continua ascesa negli ambienti governativi, come è documentato anche dal forte appoggio dato dal sottosegretario F. Suvich alla sua nomina come rappresentante italiano del Comitato dell'oro nell'autunno di quell'anno.
Nel dicembre 1931, nel clima economico sempre più pesante determinato dagli effetti a medio termine della crisi mondiale del 1929, lo J. fu chiamato a svolgere un ruolo centrale nell'intervento governativo in favore della Banca commerciale italiana e venne nominato da Mussolini presidente della Sofindit, cui erano state cedute le partecipazioni industriali della banca.
Per svolgere questo delicatissimo compito lo J. si trasferì per alcuni mesi a Milano; in effetti, attraverso l'amico Pirelli, egli aveva già avuto un qualche ruolo nel primo intervento in favore del Credito italiano (febbraio 1931), quando una finanziaria di smobilizzo, la neocostituita Società finanziaria italiana, col prestito concesso dall'istituto di emissione aveva rilevato le principali e più rovinose partecipazioni industriali dell'istituto milanese; con l'operazione di rilancio della Sofindit si trattava, in sostanza, di ripetere lo stesso schema. Tuttavia, col passare dei mesi, continuando a peggiorare fortemente la congiuntura e profilandosi la necessità di nuovi interventi a favore del Credito italiano, lo J., in sintonia con A. Beneduce, andò convincendosi che l'operazione di pulizia delle partecipazioni sarebbe stata lunga e onerosa e che, pertanto, l'intervento dello Stato - valutando lo J. come strutturali e non congiunturali le cause della crisi - avrebbe dovuto assumere un carattere nuovo e più diretto.
Maturava intanto in sede governativa un nuovo e significativo rimpasto ministeriale orientato a un riequilibrio, all'interno del regime, in favore delle tendenze centralizzatrici; in tale contesto, il 20 luglio 1932, lo J. fu chiamato a reggere il ministero delle Finanze al posto di A. Mosconi, con il risultato di accelerare i tempi della transizione e di portare, se non a compimento, almeno in avanzata fase di realizzazione il processo di statalizzazione. L'azione dello J. come ministro fu, infatti, caratterizzata innanzitutto dalla nascita dell'Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), quindi da una politica di decisa compressione della circolazione monetaria e dalla grande operazione sul consolidato.
La costituzione dell'IRI, nel gennaio 1933, rappresentò un'ulteriore tappa per la soluzione dell'intricato rapporto banca-industria. Di fronte all'acuirsi della crisi economica e agli scarsi risultati in precedenza ottenuti, lo J. propose a Mussolini un intervento radicale che questi fece proprio: "mi sono convinto che l'utilità dell'Ifi [sic] sarà mediocre, se noi non usciremo dal campo puramente tattico, per effettuare invece una operazione a linee strategiche nel campo dell'economia italiana. E cioè che l'Ifi non deve soltanto assorbire l'Istituto di liquidazione, ma anche tutti gli altri organismi che fanno direttamente o indirettamente del credito alle industrie" (Mussolini allo J., 9 genn. 1933: cfr. De Felice, Mussolini il duce, I, p. 176). Tale soluzione trovò inizialmente la ferma opposizione di Beneduce, contrario alla fusione degli enti preesistenti nel nuovo organismo; tuttavia l'abilità mediatoria dello J. consentì, senza urtare la suscettibilità del capo del governo, di assicurare infine il prezioso contributo di Beneduce che fu nominato presidente del nuovo istituto. Per tutto il 1933 e fino al marzo 1934 lo J. e Beneduce lavorarono per concludere, con una convenzione finale, una delicata operazione finanziaria per la quale le due ex principali banche miste, Commerciale e Credito italiano, cui si aggiunse anche il Banco di Roma, furono, di fatto, nazionalizzate e trasferite all'IRI. L'istituto si trovò pertanto a essere contemporaneamente holding capogruppo degli istituti trasformati in banche di credito ordinario, e finanziaria industriale delle partecipazioni industriali assunte. In tal modo si veniva a determinare una situazione per cui un potere enorme, con potenziale carico di conflitti di interessi, era concentrato nella persona di Beneduce che era alla guida anche di numerosi altri enti.
Per quanto riguarda la politica di riduzione della circolazione monetaria, lo J. la ritenne necessaria per controbilanciare il costante deflusso di riserve auree, diminuite di oltre tre miliardi di lire nell'ultimo triennio. Tale contrazione non poteva che ripercuotersi sui bilanci delle aziende agricole, industriali e bancarie, che pativano non poco. La situazione peggiorò ulteriormente quando dopo la sterlina anche il dollaro, nella primavera 1933, fu svalutato, mentre il governo italiano proseguiva ostinatamente nella sua politica di rivalutazione.
Infine, la necessità di poter ottenere un sollievo per il bilancio statale attraverso la riduzione degli interessi sulla rendita pubblica portò alla grande operazione sul consolidato del febbraio 1934, preceduta da una politica di riduzione del tasso ufficiale di sconto che, dal dicembre 1932 al dicembre 1933, fu portato dal 5 al 3%. Dopo una emissione di circa 10 miliardi di BTP al 4%, effettuata come riserva liquida e drenaggio di risparmio, fu proposta, con iniziale successo, la conversione, di fatto forzosa, di un totale di 61 miliardi di rendita italiana al 5% contro un prestito redimibile al 3,5%. Infine, nel maggio del 1934, lo J. preparò un decreto con il divieto di compiere operazioni in cambi e divise estere nel vano tentativo di frenare l'uscita dei capitali, iniziativa cui seguì, nel dicembre, il ripristino del monopolio del commercio dei cambi sotto la responsabilità dell'INE.
L'esito, in linea di massima poco felice, di tali operazioni determinò un generale ulteriore appesantimento della situazione economica e contribuì anche, durante il 1934, a rendere difficili i rapporti tra lo J. e Beneduce, sia per un reciproco scarico di responsabilità sia per le restrizioni che i rigori di bilancio imponevano evidentemente anche all'attività dell'IRI e degli altri enti guidati da Beneduce. Ciò portò Mussolini a prendere gradatamente le distanze dallo J., accusato di procedere ostinatamente verso una politica di riduzione dei debiti esteri che, come poi effettivamente accadde nel 1935, avrebbe reso molto più efficaci le sanzioni economiche comminate all'Italia dalla Società delle Nazioni per l'impresa etiopica. Inoltre, proprio l'inizio dell'avventura imperialistica, rendendo necessarie quell'elasticità e quella maggiore propensione alla spesa che mancavano allo J., accelerò al gennaio 1935 la sua sostituzione alle Finanze con P. Thaon di Revel.
Tornato per qualche mese alle sue occupazioni in Parlamento e nell'azienda di famiglia, lo J., da nazionalista e militarista convinto qual era rimasto, seguì con fervore le iniziative di preparazione all'impresa in Africa orientale, chiedendo, e ottenendo nonostante l'età, di partire volontario.
Nell'ottobre 1935 raggiunse Massaua al seguito del 12° reggimento di artiglieria mobile, dove fu impiegato in azioni di guerra per le quali fu decorato della quarta medaglia d'argento.
Tra l'autunno del 1936, data di inizio delle prime consistenti campagne di stampa contro gli ebrei, e l'autunno del 1938, con l'emanazione delle leggi razziali, l'attività dello J. in Parlamento si ridusse fortemente, mentre sul versante aziendale la sua ditta incontrava non pochi problemi, riassunti nella chiusura pressoché totale dei crediti bancari e nella concorrenza scorretta di competitori ariani, che comportarono in pochi mesi, il 30 giugno 1939, la decisione di chiudere.
Dall'ottobre 1938 al febbraio 1939 lo J. aveva chiesto invano più volte udienza a Mussolini, nel tentativo di evitare ai nipoti gli effetti delle persecuzioni razziali. Nonostante i disagi e i danni morali e materiali, alla fine del 1938, nei rapporti della polizia politica, lo J. - che da molti anni si era dissociato dalla comunità israelita - era ancora descritto come un perfetto e disciplinato fascista "che approva senza riserve gli ordinamenti razzisti del regime". Rimase nuovamente colpito e sconcertato quando, nel 1939, per motivi razziali fu posto in congedo assoluto e cancellato dai ruoli dell'Esercito italiano.
Negli anni di guerra lo J. si dedicò, per quanto possibile, alla gestione degli affari di famiglia, impegnandosi, col nipote Mario, nella riorganizzazione dell'impresa agricola fondata in Cirenaica dal fratello Aldo, scomparso nel 1936. Nel corso della guerra maturò il suo distacco da Mussolini e dal fascismo ma egli non pensò mai, nonostante le tante relazioni internazionali, di abbandonare l'Italia. Nel luglio 1943 fu perciò tra i primi e più fidati collaboratori dell'esercito anglo-americano sbarcato in Sicilia. Il 10 settembre scrisse al capo del governo dell'Italia liberata, P. Badoglio, mettendosi a disposizione per qualunque incarico. Il 26 settembre fu portato dagli Inglesi a Brindisi, dove Badoglio, dopo averlo fatto richiamare in servizio nell'Esercito, gli affidò incarichi tecnici in campo finanziario; in novembre fu nominato sottosegretario e a febbraio ministro delle Finanze.
La sua esperienza nel governo Badoglio, ben documentata dai verbali della presidenza del Consiglio dei ministri, ebbe breve durata e si svolse tra comprensibili difficoltà, data la precarietà della situazione. I provvedimenti dello J. - che assunse progressivamente un ruolo sempre più centrale - furono soprattutto di ordine pratico e mirati a restituire credibilità e ordine e a favorire una ripresa dell'economia; il 3 marzo 1944 fece verbalizzare una polemica dichiarazione contro la nomina di F. Musetto ad alto commissario per la Sicilia, accusandolo di legami con i separatisti e con la mafia.
Nell'aprile del 1944, dati i nuovi equilibri politici maturati nel frattempo, lo J. non venne riconfermato al ministero nel secondo governo Badoglio; gli fu offerto di continuare a collaborare come consulente di questioni tecnico-finanziarie, ma egli chiese, e ottenne, di poter tornare a combattere in prima linea.
Assegnato in qualità di ufficiale al 184° reggimento di artiglieria Nembo, fu impegnato nel settore adriatico come capo dell'ufficio tiro. Essendosi il suo reggimento ritirato per il riarmo, riequipaggiamento e addestramento, alla fine di febbraio 1945 lo J. volle tornare in prima linea col gruppo di combattimento Folgore, inquadrato in un corpo d'armata britannico.
Congedato definitivamente nell'agosto 1945, avviò col nipote Mario la ripresa dell'attività imprenditoriale con la ricostituzione della ditta Fratelli Jung e impegnandosi nell'Associazione dei commercianti di prodotti ortofrutticoli e agrumari e nell'Istituto nazionale per il commercio estero (ICE), trasformazione del vecchio INE, organismo del quale, nel 1947, entrò a far parte in qualità di membro del consiglio generale.
Lo J. morì improvvisamente a Palermo il 25 dic. 1949.
Fonti e Bibl.: Le fonti documentarie per la ricostruzione dell'attività dello J. sono ormai numerose e ricchissime, ma ancora poco esplorate. Punto obbligato di partenza è l'archivio di famiglia conservato a Palermo, attualmente in fase di riordino, per la cui consultazione si ringraziano Teresa e Ugo Jung (la consultazione consente la ricostruzione della storia della ditta Fratelli Jung, dalla costituzione [1867] allo scioglimento definitivo [1951]; l'archivio conserva molto materiale sull'attività politico-economica dello J. e numerose serie di corrispondenza familiare). Un'altra importante parte delle carte dello J., prevalentemente del periodo 1932-35, si conserva a Parma, Biblioteca Balestrazzi, Arch. di A. Pesenti (bb. 64-70). Copiosissima è la documentazione conservata presso l'Archivio storico della Banca Intesa, patrimonio Banca commerciale italiana, soprattutto per gli anni 1931-35 relativi all'attività della Sofindit (Sofindit, ad ind.: particolarmente interessanti le serie di corrispondenza dello J. di e col direttore generale G. Di Veroli, di e col presidente C. Ara); si tengano presenti anche il fascicolo relativo allo J. nelle Carte private R. Mattioli (non ancora in consultazione); il fondo Segreteria degli amministratori delegati Facconi e Mattioli, la serie Copialettere di G. Toeplitz e, per la ditta Jung, i Verbali del comitato della direzione centrale, anni 1922-50 (tutti ad indices); si veda ancora a Milano presso l'Archivio stor. del Credito italiano (ora Unicredito italiano), Segreteria, Alta direzione, pratiche riservate, cart. 6/1 e 2, cassaforte A, nn. 11 bis, 16, 18, 25. Tale documentazione milanese si incrocia e si integra con quella conservata in Roma presso l'Archivio stor. dell'IRI (anni 1932-35, pratiche del ministro con l'Istituto, 37 documenti selezionati su ricerca impostata Jung, sito internet www.maas.ccr.it) e, soprattutto, presso l'Archivio stor. della Banca d'Italia, in particolare per gli anni 1915-35 nei Direttori dei governatori Stringher (12/2/1, 13/1/3, 14/1/2, 14/1/3, 14/1/13), Azzolini (9/1, 26/1, 44, 46, 79/2 e 3, 93/3, 94/1, 95/3, 111/3/1, 111/571, 112/8 e 9, 113/4), Menichella (54), nel Direttorio Introna (3, 12/1/4, 42/1, 44/1/12, 51/1/7, 53/1/1, 57/1/3, 6471/2,66/1/5), nei fondi Esteri (3/3, 11/23, 17/7, 75/1 e 3, 95/1 e 4, 96/1 e 7, 98/7, 100/1/1, 108/2/3, 129/10, 260/1, 273/5, 273/5, 276, 277/1, 316/5, 362/8, 363/7/7, 418/1-7, 419/1-10, 420/1, 421/1-11, 422/1-10, 424/1-29), Segreteria particolare (284/5, 445/28) e negli archivi aggregati: De Stefani (1/1, 1/17, 1/39, 4/225, 6/302, 8/5, 38/1/33, V 52 e 52 bis), Carte Stringher (401/2/01) e Beneduce (5/3, 12/2, 56/5, 70/1/4, 274,22, 283/1, 284/4, 286/44, 287/38, 354/1, 360/2). Del tutto inesplorata ma di sicuro interesse è la documentazione dell'Archivio stor. diplomatico del Ministero degli Esteri, in particolare tra gli archivi dell'Amministrazione centrale, l'archivio della Conferenza della pace (1919-21), tra gli archivi delle rappresentanze diplomatiche e consolari, quelle di Washington e Londra (rispett. per gli anni 1922-23 e 1924-26). Utile a render conto dell'attività parlamentare alla Camera (1924-39) è infine la documentazione presso l'Archivio stor. della Camera dei deputati. Sporadici ma utili documenti si trovano infine in alcuni archivi personali: a Torino, presso la Fondazione Einaudi, quelli di P. Thaon di Revel (21.50 e 51, 21.152, 3.162), L. Einaudi (Corrispondenza) e A. Rocca (29.41 e 29.43-46, 35.1); a Roma, presso l'Archivio centr. dello Stato quelli di C. Merzagora (Agende del ministro Merzagora, 1947-49) e R. Farinacci (b. 26/1565); sempre presso l'Archivio centr. dello Stato v. anche: Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, bb. 86, 157; Carteggio ordinario, b. 142; Polizia politica, Fascicoli per materia, bb. 153, 159, 167; Fascicoli pers., b. 679/10-11-13; Guerra europea, bb. 37 ter, 221 e 221 bis; Carte G. Volpi, bb. 4/31, 11/86 e 12/93; Presidenza del Consiglio dei ministri, 1925/ 9-5-4231, 14-3-3743; 1926/ 5-1-213, 10-2-3225; 1927/ 5-1-1161, 9-5-1050, 9-5/1478. Vedi ancora: Presidenza del Consiglio dei ministri. Dipartimento per l'informazione e l'editoria, Verbali del Consiglio dei ministri luglio 1943 - maggio 1948, ed. critica, I, Governo Badoglio, 25 luglio 1943 - aprile 1944, ad indicem.
Vedi inoltre, tra le memorie e autobiografie: S. Crespi, Alla difesa dell'Italia in guerra e a Versailles, Milano 1938, ad nomen; F. Guarneri, Battaglie economiche fra le due guerre, a cura di L. Zani, Bologna 1988, ad ind.; F. Suvich, Memorie 1932-1936, a cura di G. Bianchi, Milano 1984, pp. 192-198, 201 s., 224; A. Pirelli, Taccuini1922-1943, a cura di D. Barbone, Bologna 1984, pp. 7, 35, 43; E. Conti, Daltaccuino di un borghese, Bologna 1986, pp. 172, 183 s., 308, 404; G. Malagodi, Il salvataggio della Banca commerciale nel ricordo di un testimone, in Industria e banca nella grande crisi 1929-1934, a cura di G. Toniolo, Milano 1979, pp. 313, 315, 327, 340; F. Lucifero, L'ultimo re. I diari del ministro della Real Casa 1944-1946, Milano 2002, ad indicem.
Per la ricostruzione delle tematiche economico-finanziarie del primo dopoguerra: A. Pirelli, Dopoguerra 1919-1932. Note ed esperienze, Milano 1961. Per l'attività dell'Istituto nazionale esportazioni: Il primo anno di vita dell'INE, Roma 1927; relazioni annuali dell'INE (Relazione sull'attività dell'INE, Roma) dal 1928 al 1931; nonché Relazione del presidente dell'INE on. G. J. all'adunanza del Consiglio generale del 30 maggio 1932, Roma 1932. Per il rapporto dello J. e della ditta Fratelli Jung con la realtà siciliana: Storia d'Italia (Einaudi), Le regioni dall'Unità ad oggi, La Sicilia, a cura di M. Aymard - G. Giarrizzo, Torino 1987, pp. 215, 232, 241, 384, 390, 430, 433, 524; O. Cancila, Palermo, Roma-Bari 1988, pp. 321, 334, 359, 368, 392, 407, 432 s., 439; F. Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, II, Dalla caduta della Destra al fascismo, Palermo 1999, pp. 375 s. Per il ruolo avuto dallo J. nell'economia italiana degli anni Venti e Trenta si vedano tra gli altri: R. De Felice, Mussolini il duce, I, Gli anni del consenso 1929-1936, Torino 1974, ad ind.; L. Villari, Il capitalismo italiano del Novecento, I, Roma-Bari 1975, ad ind.; G. Mori, Nuovi documenti sulle origini dello "Stato industriale" in Italia. Di un episodio ignorato (e forse non irrilevante) nello smobilizzo pubblico delle "banche miste" (1930-1931), in G. Mori, Il capitalismo industriale in Italia, Roma 1977, pp. 254, 394; E. Cianci, Nascita dello Stato imprenditore in Italia, Milano 1977, ad ind.; G. Toniolo, Crisi economica e smobilizzo pubblico delle banche miste (1930-1934), in Industria e banca nella grande crisi 1929-1934, a cura di G. Toniolo, Milano 1978, pp. 313, 315, 327, 340; A. Carparelli, I perché di una "mezza siderurgia". La società Ilva, l'industria della ghisa e il ciclo integrale negli anni Venti, in Acciaio per l'industrializzazione. Contributi allo studio del problema siderurgico italiano, a cura di F. Bonelli, Torino 1982, pp. 113 s.; G. Rodano, Il credito all'economia. R. Mattioli alla Banca commerciale italiana, Milano-Napoli 1983, ad ind.; G. De Rosa, Storia del Banco di Roma, III, Roma 1983, p. 85; G. Malagodi, R. Mattioli, in I protagonisti dell'intervento pubblico in Italia, a cura di A. Mortara, Milano 1984, pp. 543-606; F. Bonelli, A. Beneduce, il credito industriale e l'origine dell'IRI, in A. Beneduce e i problemi dell'economia italiana del suo tempo. Atti della Giornata di studio…, Caserta… 1983, Roma 1985, pp. 71-85; L. Villari, Nuovi documenti storici sulla nascita dell'IRI, ibid., pp. 87-103; F. Marcoaldi, Vent'anni di economia e politica. Le carte de' Stefani (1922-1941), Milano 1986, ad ind.; A. Confalonieri, Considerazioni sull'esperienza del Credito italiano dal 1914 al 1933, in Il Credito italiano e la fondazione dell'IRI. Atti del Convegno di studio,… 1989, Milano 1990, pp. 23-111; G. Toniolo, Crisi bancarie e salvataggi: il Credito italiano dal 1930 al 1934, ibid., pp. 113-142; G. Sapelli, Trieste italiana. Mito e destino economico, Milano 1990, pp. 72, 127 ss.; L. Villari, Le avventure di un capitano d'industria, Torino 1991, ad ind.; La Banca d'Italia tra l'autarchia e la guerra. 1936-1945, a cura di A. Caracciolo, Roma-Bari 1992, ad ind.; La Banca d'Italia e il risanamento postbellico. 1945-1948, a cura di S. Ricossa - E. Tuccimei, Roma-Bari 1992, pp. 288, 605; La politica monetaria tra le due guerre 1919-1935, a cura di F. Cotula - L. Spaventa, Roma-Bari 1993, ad ind.; L'Italia e il sistema finanziario internazionale, a cura di M. De Cecco, Roma-Bari 1993, ad ind.; La Banca d'Italia e il sistema bancario. 1919-1936, a cura di G. Guarino - G. Toniolo, Roma-Bari 1993, ad ind.; P.F. Asso, L'Italia e i prestiti internazionali, 1919-1931. L'azione della Banca d'Italia fra labattaglia della lira e la politica di potenza, in Finanza internazionale, vincolo esterno e cambi. 1919-1939, Roma-Bari 1993, ad ind.; L. Conte, I prestiti esteri, in Storia dell'industria elettrica in Italia, II, Il potenziamento tecnico e finanziario. 1914-1925, a cura di L. De Rosa, Roma-Bari 1993, pp. 634, 691; A. Confalonieri, Banche miste e grande industria in Italia, 1914-1933, I, Milano 1994, ad ind.; G. Lombardo, L'Istituto mobiliare italiano. Modello istituzionale e indirizzi operativi. 1931-1936, Bologna 1998, ad ind.; V. Castronovo, Fiat 1899-1999. Un secolo di storia italiana, Milano 1999, pp. 478-482; A. Roselli, Il governatore V. Azzolini, Roma-Bari 2000, ad indicem.