MARUSSIG, Guido
– Nacque il 14 dic. 1885 a Trieste da Emilio, professore d’orchestra, che riconobbe il figlio solo nel 1927, e da Maria Gentille di Rovigno.
Dal 1897 studiò pittura alla scuola industriale triestina e, nel 1900, grazie a una borsa di studio comunale, si iscrisse all’Accademia di belle arti di Venezia dove frequentò il corso di decorazione di A. Sezanne e quello di figura di E. Tito, ponendo le basi per le sue principali attività future: la scenografia e la grafica, da un lato, e la pittura da cavalletto, dall’altro.
A Venezia, il M. frequentò l’ambiente culturalmente variegato che ruotava intorno alla Biennale, vetrina consolidata dei grandi maestri delle arti figurative, e a Ca’ Pesaro, istituzione nata nel 1902 per sostenere i giovani artisti privi di mezzi economici e per lo sviluppo delle industrie artistiche artigiane, rivelatasi presto una presenza importante, più vivace e aperta alle novità d’Oltralpe rispetto alla Biennale. Il M., amico di F. Mauroner, M. Crepet e A. Modigliani, si affiancò agli artisti che guardavano alla Secessione viennese come a un punto di riferimento fondamentale e che esponevano all’Opera Bevilacqua La Masa sotto l’ala del giovanissimo N. Barbantini. Studioso di arte classica, di arte e letteratura rinascimentali, ma attento alle correnti di rinnovamento, il M. assunse rapidamente un ruolo attivo presentando alle esposizioni veneziane opere nate da un peculiare percorso di ricerca, aperto alle suggestioni della grafica giapponese e alle sperimentazioni simboliste e volto a eliminare dal linguaggio espressionista gli aspetti eccessivamente romantici e accademici.
Nel 1902 ebbe inizio la sua attività espositiva con la partecipazione alla mostra degli Amatori e cultori di belle arti a Roma; nel 1905 prese parte alla sua prima Biennale con Ricordo di Venezia (Rio Albrizzi). All’edizione successiva, nel 1907, presentò quattro opere: Salice piangente (nella sala del Sogno), Notturno, Case a S. Stae e Parco Vendramin, tutte conservate in collezione privata, come, del resto, la maggior parte dei lavori del Marussig.
In questi dipinti l’articolazione tonale su fondi scuri, che riporta alla memoria cromatismi whistleriani, unitamente all’esclusione della presenza umana, crea suggestioni compositive che all’epoca furono accolte positivamente sia negli ambiti innovatori sia in quelli passatisti. Anche nel Laghetto dei salici (1909), presentato alla Biennale nel 1910 (Trieste, Museo Revoltella), si riconferma la ricerca del giovane M. su composizioni dai tagli singolari.
Stimolato dalla situazione di transito tra la pittura italiana legata alla tradizione e quella aperta alla dimensione internazionale, il M., dal 1905 al 1914, presentò costantemente le sue opere alla Biennale sperimentando inquadrature con punti di vista inusitati, mutuati dal ricorso alla fotografia. Praticò, inoltre, una pluralità di generi e tecniche: dalla decorazione alla pittura, dall’illustrazione all’architettura, dall’arredamento alla stampa, azzerando le consuete gerarchie tra le diverse discipline ed esaltando il valore di ognuna in relazione con le altre (F. Zanella, G. M. e la «decorazione», in G. M...., 2004, p. 36).
Nel 1908 curò le scenografie e i costumi per la Tragedia fiorentina di O. Wilde allestita al teatro Goldoni di Venezia e partecipò alla prima mostra di Ca’ Pesaro in veste di espositore e di grafico: suo il manifesto dell’evento che riproduceva in modo spregiudicato il leone della Biennale provocando polemiche reazioni (Carli, p. 42).
Nel 1909, alla mostra di architettura promossa dalla Permanente triestina, il M. presentò un progetto in stile medievale del nuovo palazzo del Comune di Trieste. Sempre nel 1909 partecipò alla Biennale di Venezia e illustrò il volume Album biennale delle esposizioni veneziane di M. Londonio, pubblicato a Venezia da Scarabellin. L’anno seguente illustrò il Tristano e Isolda di E. Moschino edito a Milano da Treves e curò l’organizzazione della sala della Città di Trieste alla IX Biennale di Venezia, disponendone l’allestimento espositivo e disegnandone l’intero arredo (la zoccolatura delle pareti, le sedie, i tendaggi delle porte, i cuoiami per i cuscini, il tappeto centrale e i piedistalli delle statue). Eseguì inoltre il fregio di coronamento della sala raffigurante la città nel suo aspetto trecentesco secondo i suggerimenti di A. Hortis. Il fregio, a esposizione conclusa, fu destinato a Trieste e collocato nella sala del ricreatorio comunale della città vecchia.
Nel corso del 1912 la rivista L’Eroica, per la quale il M. elaborò l’ex libris, pubblicò diverse sue opere e organizzò una mostra sulla xilografia a Levanto alla quale partecipò anche l’artista; in quello stesso anno Ciliegio in fiore, presentato alla Biennale con altri due soggetti, venne acquistato dal re Vittorio Emanuele III. Nel 1914 L’albero fantastico, esposto alla Biennale, fu comprato dalla Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti di Firenze e il ciclo xilografico Venezia incisa nel legno fu presentato, nell’ambito dell’Eroica, all’Esposizione internazionale del libro di Lipsia.
Il ciclo si compone di immagini sintetiche che propongono scorci architettonici, ambientazioni notturne e l’acqua, in cui il reale si fonde con i riflessi delle onde. Costanti, oltre all’assenza umana, sono i forti contrasti bianchi e neri, che ritornano nella serie litografica Venezia in istato di resistenza, realizzata durante la guerra, a tradurre i giochi solidi di luce e ombra creati in cielo dai riflettori della contraerea (Venezia, Civico Museo Correr, Gabinetto disegni e stampe).
Alla fine del 1916 il M. si trasferì a Milano, poiché la città offriva molte opportunità per le diverse attività di illustratore editoriale e di scenografo alle quali si dedicava. Qui, nel corso del 1917, partecipò alle esposizioni cittadine – organizzate dalla galleria Pesaro e dalla Società per le belle arti – e iniziò le collaborazioni grafiche con il Touring Club italiano (per la rivista mensile La Sorgente e per Le Vie d’Italia) e con le edizioni Alfieri e Lacroix, per le quali illustrò la copertina dei Monumenti italiani e la guerra di U. Ojetti (1917) e della Dalmazia monumentale di A. Venturi, E. Pais e P. Molmenti (1918).
Nel 1918 iniziò l’insegnamento alla Scuola del libro dell’Umanitaria (attività che si concluse nel 1937), mentre collaborava come illustratore con la rivista Emporium. In quello stesso anno eseguì alcune copertine di libretti di opere liriche e, per la Scala, mise in scena La Nave di I. Montemezzi, libretto di T. Ricordi dalla tragedia di G. D’Annunzio (Milano 1908). Con D’Annunzio il M. iniziò da allora una stretta collaborazione. Nel 1919 il poeta lo incaricò, insieme con il figlio Gabriellino D’Annunzio, della trasposizione cinematografica della Nave e lo condusse con sé a Fiume nominandolo «primo edile della Reggenza italiana del Carnaro». Qui il M., oltre a disegnare l’emblema dell’aviazione del Carnaro, realizzò la medaglia con la testa di D’Annunzio e fu il regista dei festeggiamenti per la Reggenza. Nel 1920 espose alla galleria Pesaro e alla Biennale, dove presentò Prue dentate (Venezia, Galleria d’arte moderna).
In questi anni intensificò le proprie collaborazioni con varie riviste (tra le quali La Lettura, Lidel, La Trincea, L’Italia sul mare, Il primato artistico italiano, L’Illustrazione italiana e L’Ardita, rivista mensile del Popolo d’Italia) e curò le immagini per diverse pubblicazioni, tra cui Per la coppa del Benaco, con testi di D’Annunzio (Milano 1921). Con lo pseudonimo Forbicicchio si occupò inoltre di editoria infantile creando nel corso degli anni Venti un album gioco con animali da costruire, dal titolo Il mondo di carta (Pallottino, p. 276).
Nel 1921 fu attivo a Gardone nella decorazione del Vittoriale di D’Annunzio sotto la direzione tecnica dell’architetto G. Maroni: operò nella stanza del Giglio, nella sala del Cenacolo, nella veranda dell’Apollino, nel soffitto del porticato del Parente, nell’appartamento di Leda, inoltre si occupò delle decorazioni esterne in metallo: il gallo in ferro battuto, il coronamento in ottone dorato per l’antenna della bandiera e il pilone prismatico marmoreo su cui poggia.
In Italia la sua attività di decoratore fu largamente apprezzata sia in ambito privato (curò l’arredo fisso e mobile di alcune case e ville in area veneta), sia in quello pubblico. A questi anni risalgono il disegno per il soffitto vetrato del teatro Verdi di Ferrara, le decorazioni per la sala ristorante Pilsen e gli affreschi del palazzo della Cassa nazionale per gli infortuni, questi ultimi due a Venezia (G. M.…, 2004, p. 48).
Nel 1922 espose alla Biennale la tempera S. Maria della Salute e curò la copertina del volume di S. Sibilia Pittori e scultori di Trieste (Milano). Dal 1923 (fino al 1943) fu direttore artistico della Festa. Rivista settimanale illustrata della famiglia italiana. Sempre nel 1923 realizzò l’allestimento dell’opera di G. Bianchini Il principe e Nuredha (libretto di Maria Star) alla Fenice di Venezia e fu chiamato a Parma per insegnare nella locale Accademia di belle arti, poi trasformata in Istituto d’arte.
Nel 1924, in occasione dell’annessione di Fiume all’Italia e del conferimento del titolo ducale di Montenevoso a D’Annunzio, il M. ideò per il vate lo stemma nobiliare con il motto «Immotus nec iners». In quello stesso anno collaborò all’illustrazione del volume pubblicato a Milano Veni vd vici a cura di Giuseppe Verzocchi per la omonima società produttrice di mattoni refrattari e vinse, su giudizio della commissione composta da Ojetti, E. Ferrari, M. Piacentini e G. Beltrami, il concorso indetto dalle Poste per una serie di francobolli commemorativi sul tema dell’annessione di Trieste (mai realizzati). Nel 1925 gli fu assegnata anche la cattedra di disegno e pittura applicata alla decorazione murale all’istituto d’arte Toschi di Parma (divenne di ruolo l’anno seguente e rimase all’istituto, assumendo dal 1928 al 1938 anche la carica di direttore, fino al 1939). Per la casa editrice Bestetti e Tuminelli di Milano, nel 1926, illustrò i volumi I papi di M. Trivulzio della Somaglia e l’Annuario del regio convitto nazionale Maria Luigia in Parma.
Nel 1929 la sua presenza in ambito accademico si intensificò: ricoprì diversi incarichi, tra i quali quelli di commissario per gli esami di pittura e incisione all’Accademia di Brera, di presidente delle commissioni esaminatrici all’istituto superiore per le industrie artistiche di Monza e alla scuola del mobile e del merletto di Cantù e di commissario esterno agli esami della scuola superiore d’arte applicata alle industrie e della scuola del libro di Milano.
Alla Biennale di Venezia del 1930 espose l’olio Gondola in canale e i disegni a carboncino S. Giusto e Quattro finestre. In quell’anno ideò la pubblicità per le motonavi «Saturnia» e «Vulcania» prodotte dalla compagnia armatrice triestina Cosulich; alla VI Biennale di Monza ebbe una sala personale nella sezione delle arti grafiche e iniziò la collaborazione con la Rivista dell’istruzione artistica di Roma.
Nel 1931, per il tiburio del civico tempio di S. Sebastiano a Milano, disegnò i cartoni per le otto vetrate con i simboli del martirio (realizzate dal pittore e vetraio d’arte A. Tevarotto). L’anno successivo progettò l’altare in marmo per la chiesa dei francescani di Voghera e, per il festival internazionale della Biennale di Venezia, l’allestimento scenico La granseola. Sempre nel 1932, in collaborazione con i suoi allievi, organizzò per il teatro del convitto Maria Luigia di Parma le scene e i costumi per tre azioni lirico-coreografiche (Notturno, I moschettieri e Inno sardo). Nel 1933 disegnò per lo stesso collegio la fontana delle Api e il giardino architettonico; e alla Mostra romana dell’arredamento artistico, tenutasi a Villa Giulia, allestì la sala dell’istituto Toschi.
Nel corso dei due decenni successivi crebbe la reputazione del M. nelle diverse discipline praticate, intensificò la propria presenza in ambito sia teatrale sia didattico e proseguì alacremente la propria attività espositiva.
Nel 1934 partecipò alla Biennale e alla Mostra d’arte del Sindacato interprovinciale fascista delle belle arti della Venezia Giulia a Trieste; e, nel 1935, al Quarantennio della Biennale, alla mostra dell’arte italiana tenutasi al Jeu de Paume di Parigi, alla IX Esposizione del Sindacato fascista delle belle arti di Trieste. Insieme con B. Munari ed E. Prampolini fu nella giuria per la classe della scenografia alla VI Triennale di Milano nel 1936, dove espose un modello con la prima scena della Tempesta di W. Shakespeare. In quell’anno vinse i concorsi per le cattedre di ornato e disegno nei licei artistici di Napoli, Palermo e Venezia, ma vi rinunciò tentando inutilmente di ottenere la cattedra vacante di scenografia all’Accademia di Brera. Solo nel 1937 gli fu assegnata la cattedra di ornato e disegno presso il regio liceo artistico di Brera e, per due anni, mantenne l’insegnamento a Parma e a Milano.
Alla fine degli anni Trenta, in collaborazione con M. Sironi, C. Carrà, G. Severini, M. Campigli e altri, il M. fu impegnato in due tra i più importanti cantieri pubblici del capoluogo lombardo: il palazzo di Giustizia, per il quale fece il mosaico con la Giustizia che entra nell’aula, e l’ospedale Niguarda, per la cui chiesa progettò la vetrata con il Beato Gerardo (nel tiburio).
Dal 1941 intensificò le sue collaborazioni con il teatro alla Scala che lo incaricò di progettare la scenografia per Gli Orazi di E. Porrino.
L’opera fu rappresentata il 1° febbraio, seguita il 5 marzo dai Maestri cantori di R. Wagner curati ancora dal M. per i costumi. In questi anni le scenografie e la produzione pittorica del M. si confrontano con le teorie di Prampolini, sempre aggiornate e aperte a ogni novità delle avanguardie europee; nel 1943 i bozzetti per il Nabucco di G. Verdi ricreavano uno spazio metafisico, mentre quelli per il Crepuscolo degli dei di Wagner evocavano uno spazio epico. Nel 1950, anno in cui fu presente anche alla XXV Biennale con tre disegni (Vaso infranto, Testa e Due vasi, tutti in collezione privata), il M., ancora per La Scala, disegnò le scenografie del Sansone e Dalila di C. Saint-Saëns.
Nel 1951, ormai all’apice della sua carriera, insieme con F. Casorati, R. Guttuso e Prampolini fu nella giuria per il concorso nazionale di scenografia verdiana. L’anno seguente fece parte della commissione per la mostra-premio della pittura triveneta a Venezia insieme con F. Carena e G. Cadorin e fu presidente di commissione per gli incarichi di insegnamento per le cattedre di figura, ornato, modellato, architettura, disegno geometrico e prospettiva presso il liceo artistico di Milano. Nel 1956 andò in pensione dalla cattedra di ornato, ma a novembre fu nominato accademico onorario per la classe di pittura dell’Accademia di Firenze.
Nel 1957, nella rivista La Martinella, pubblicò un articolo dedicato all’amico C. Rizzarda, collezionista e scultore in ferro battuto (fabbro d’arte), e, su incarico delle edizioni Fratelli Palombi di Roma, eseguì i fregi per il volume di A. Lancellotti Vite di musicisti.
Anche l’attività di illustratore permette di seguire le indagini formali del Marussig. In particolare, la grafica per le copertine del periodico mensile Sul Mare e alcune incisioni tra gli anni Trenta e Quaranta consentono di individuare la lunga meditazione del M. su tematiche che sarebbero tornate nel suo vasto repertorio circa venti anni più tardi: le colonne, per esempio, che divennero, nel secondo dopoguerra, autonomi elementi plastici e compositivi in molti dipinti, tra cui Drappeggio, Tre solidi, Colonna nera, Colonne, tutti realizzati tra il 1950 e il 1960 e conservati in collezione privata, che sono il momento conclusivo di ricerche mosse in molte direzioni e approdate a una semplificazione metafisico-geometrica di tematiche architettonico-classiciste. Atmosfere metafisiche continuarono a essere proposte anche nel decennio successivo talvolta con l’apparizione sporadica di figure, come nel dipinto Verso l’uscita (1962, collezione privata; G. M.…, 2004).
Il M. morì il 20 dic. 1972 a Gorizia.
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