MORPURGO-TAGLIABUE, Guido
– Nacque a Milano il 9 gennaio 1907 da Giovanna Tagliabue. Non è noto il nome del padre.
Si formò tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta all’Università di Milano, all’epoca nel campo filosofico caratterizzata dalla prevalenza di orientamenti estranei alla linea idealistica di Benedetto Croce e Giovanni Gentile, altrimenti dominante in Italia, e influenzati invece dalla contemporanea fenomenologia, dall’empirismo e dalla filosofia della scienza. L’influsso dell’ambiente filosofico milanese è manifesto nelle opere pubblicate da Morpurgo nel secondo dopoguerra, e in particolare nei due volumi Le strutture del trascendentale (Milano 1951) e Il concetto dello stile (ibid. 1951), che ne costituiscono il vero e proprio esordio filosofico. Infatti negli anni precedenti gli interessi dello studioso erano stati orientati prevalentemente verso la critica letteraria e teatrale: tra il 1931 e il 1938 collaborò alla rivista milanese Il Convegno, mentre nel 1946 fu critico teatrale per La lettura. Altri articoli di critica letteraria apparvero nel dopoguerra nella rivista La rassegna d’Italia. Negli ultimi anni del conflitto fu in contatto con il movimento Giustizia e Libertà, ma successivamente abbandonò ogni impegno politico e visse una vita appartata. Dal 1951 al 1965 insegnò estetica all’Università di Milano, e dal 1965 in poi insegnò filosofia teoretica all’Università di Trieste.
La prima opera importante di estetica, Il concetto dello stile, rimasta anche la più sistematica pubblicata da Morpurgo in questo settore, rappresenta un contributo significativo al rinnovamento degli studi estetici italiani avvenuto negli anni Cinquanta, quando si avvertì ormai imperiosa l’esigenza di superare l’impostazione data da Croce a questo campo. Nell'opera, Morpurgo procede innanzitutto a una ricognizione dello stato degli studi estetici in Italia, un bilancio critico che occupa tutta la prima metà del libro. Dopo aver rapidamente ricordato i capisaldi della dottrina crociana, si volge ad analizzare le posizioni critiche nei confronti di Croce, che lo avviano a mettere a fuoco il proprio pensiero estetico. Si tratta delle tesi empiristiche di Adelchi Baratono, per il quale l’estetica deve tornare a essere una teoria della sensibilità piuttosto che una filosofia dell’arte, di quelle fenomenologiche di Antonio Banfi, che critica la riduzione dell’estetico all’artistico che Croce avrebbe compiuto, e rivaluta accanto alle estetiche filosofiche il contributo delle poetiche degli artisti. L’analisi di Morpurgo si estende anche a studiosi con i quali egli dimostra una minore affinità, vuoi perché orientati ancora sostanzialmente in senso crociano (come nel caso di Guido Calogero) vuoi perché influenzati dall’attualismo di Gentile (come nel caso di Galvano Della Volpe), per tornare poi a orientamenti che egli avverte come maggiormente affini, per esempio quelli dell’esistenzialismo positivo di Nicola Abbagnano. La parte teorica del Concetto dello stile esplicita le ragioni della opposizione di Morpurgo a Croce. L’estetica crociana, dal suo punto di vista, presenta soprattutto due aspetti caratteristici. In primo luogo, si tratta di una teoria che accentua unilateralmente l’aspetto conoscitivo dell’esperienza estetica. L’intuizione, che per Croce ha sempre natura estetica, è conoscenza, è il primo gradino della conoscenza ed entra inevitabilmente anche nella successiva conoscenza logica, che è propria della filosofia. L’arte è un conoscere. In secondo luogo, e coerentemente con questa prima convinzione, Croce svaluta l’aspetto pratico dell’arte, ossia tutti quegli aspetti per i quali l’arte si connota come un fare. Per Croce la tecnica esecutiva non appartiene propriamente alla sfera dell’estetica. L’intuizione artistica viene a coincidere sostanzialmente con l’immagine interna, presente nella mente del pittore o dello scultore; che poi questi la realizzi concretamente, dipingendo sulla tela o incidendo nel marmo, è qualcosa che attiene alla sola comunicazione dell’immagine. Morpurgo volge le sue critiche contro entrambi questi assunti , arrivando a posizioni distanti da quelle crociane. Da un lato, sottolinea come l’arte non possa ridursi al suo solo aspetto conoscitivo; dall’altro, rivendica il carattere cruciale della tecnica per la formazione stessa dell’opera d’arte: «l’aspetto percettivo o tecnico è inerente alla creazione» (p. 298). La nozione teorica con la quale Morpurgo muove contro la teoria crociana della intuizione è quella di figura, un termine che assume un carattere quasi tecnico. L’intuizione pura di Croce pretende di tenere unite due cose inconciliabili, l’individualità e l’idealità. Può riuscirvi semplicemente perché identifica l’arte con l’immagine interiore, non tradotta in materia, intuizione che è sempre vaga e tende a sfumare in un’impressione, un’emozione indefinita. Ma, osserva Morpurgo, l’intuizione crociana non è arte, è piuttosto qualcosa di successivo a essa. Per essere qualcosa di determinato, l’intuizione dovrebbe estrinsecarsi, formularsi attraverso mezzi fisici (i colori, la pietra, i suoni). Ma allora diventa oggetto di percezione, di apprensione sensibile; in altre parole, diventa figura. Sarà poi la figura a trapassare in immagine, ma così lascerà il campo propriamente estetico per diventare un contenuto culturale, espressivo, che per Morpurgo costituisce non tanto l’estetico (che ha sempre a che fare con la sfera sensibile) ma il poetico o l’artistico. Se contro l’intuizione crociana Morpurgo fa leva sulla figura, per contrastare la svalutazione della tecnica egli punta sul concetto dello stile, termine che ha in lui un significato più ampio di quello consueto. «Tecnica» è una nozione che potrebbe essere intesa anche in senso puramente meccanico; lo stile, invece, non si esaurisce nella considerazione delle procedure esecutive, meccaniche, attraverso le quali l’opera vede la luce, e sta a significare piuttosto il rapporto che l’arte istituisce tra elementi formali ed elementi che chiameremmo contenutistici: «L’opera d’arte vive […] su di un doppio piano, […] di percezioni ed immaginazioni, delle quali soltanto l’aspetto stilistico ci permette di afferrare l’unità» (p. 15).
Gli scritti di estetica successivi, che spaziano per oltre un quarantennio, non presentano più il marcato carattere teorico del volume del 1951, ma si volgono a un’amplissima attività di storiografia estetica, sempre improntata però a un paradigma teorico, piuttosto che a una ricostruzione delle idee estetiche di un periodo o di un’epoca. Ciò è palese anche nell’opera apparentemente più manualistica di Morpurgo, L’esthétique contemporaine (Milano 1960), che è anche la più fortunata (pubblicata in francese proprio per propiziarne una maggiore diffusione, è stata poi tradotta in varie altre lingue). Essa infatti non offre tanto una storia, quanto una 'tipologia' delle varie dottrine estetiche elaborate nel Novecento, suddividendole in estetiche vitalistiche, psicologistiche, formalistiche, fenomenologiche ecc.
Particolarmente significativi appaiono i due studi dedicati alla poetica e alla retorica antiche, Linguistica e stilistica di Aristotele (Roma 1967) e Demetrio, dello stile (ibid. 1980). Nel primo, Morpurgo muove dal capitolo linguistico della Poetica di Aristotele per rivendicarne, contro un relativo disinteresse della critica, l’importanza tanto per la logica quanto per la stilistica; nel secondo, riscopre un’opera, databile tra il III e il I sec. a.C. e attribuita a un non meglio identificato Demetrio, il quale, anziché classificare gli stili con una partizione ternaria (stile alto, mediocre e umile), come accade in tutta la restante retorica antica, inserisce tra gli estremi dello stile grandioso e semplice i due stili elegante e potente. Ricostruendo l’ampia fortuna goduta dal trattato nell’Umanesimo e nel Rinascimento, Morpurgo si apre la via per sottolineare la consonanza tra alcune nozioni della stilistica di Demetrio e alcuni concetti centrali dell’estetica moderna, quali la grazia e il sublime.
Un altro centro dell’interesse storiografico di Morpurgo in campo estetico è rappresentato dal Barocco. Alle teorie artistiche, soprattutto letterarie, di questa epoca sono dedicati due ampi saggi, Aristotelismo e Barocco, del 1954, e Il Barocco e noi, del 1986, riuniti in Anatomia del Barocco (Palermo 1987), che possono essere inquadrati nell’ambito di quella rivalutazione del Barocco, in senso anticrociano, che ha avuto corso in Italia soprattutto negli anni Cinquanta-Settanta del Novecento. Morpurgo si è inoltre occupato di estetica italiana del Settecento, degli scritti estetici di Kant nel periodo pre-critico, della polemica Nietzsche-Wagner.
In campo teoretico, l’opera più importante di Morpurgo è rappresentata da Le strutture del trascendentale, nella quale intende mettere in luce le continuità tra l’impostazione classica del trascendentalismo, quella kantiana, e la filosofia esistenzialista novecentesca, in particolare quella di Martin Heidegger e di Karl Jaspers («gli esistenzialisti [sono] gli ultimi esponenti del pensiero trascendentale», p. 17).
Il trascendentale viene visto nella sua accezione legalistica: si tratta di trovare e descrivere le condizioni che giustificano la nostra esperienza o le nostre azioni. Morpurgo tende ad accentuare la distanza dalle interpretazioni idealistiche del trascendentale, specialmente quella di Gentile, rifiutandosi di accentuare nell’analisi il carattere di attività del pensiero, e al contrario considerando il trascendentale a parte objecti, cioè nelle sue strutture oggettive. Il senso complessivo della proposta teorica è chiaro: prendere le distanze dalla tradizione hegeliana, costruire un asse privilegiato tra Immanuel Kant e l’esistenzialismo, proporre una lettura 'fenomenologica' di quest’ultimo, rifiutandone gli aspetti più teatrali e facili (il nulla, l’angoscia, lo scacco e il naufragio inevitabile dell’esistenza).
Anche in campo teoretico, Morpurgo ha affiancato al volume contenente le sue proposte più originali alcuni significativi saggi storiografici. Notevoli in particolare quelli su Kant e Emanuel Swedenborg (Introduzione a I. Kant, I sogni di un visionario spiegati coi sogni della metafisica, Milano 1982) e quelli sulle teorie scientifiche galileiane (I processi di Galileo e l’epistemologia, Roma 1981).
La personalità di Morpurgo, comunque, è difficilmente riconducibile a un unico orientamento di pensiero; lungo tutto l’arco della sua attività egli manifestò grande irrequietezza e curiosità, cimentandosi anche in altri campi oltre a quelli considerati. Come critico letterario, mise a tema soprattutto il problema della stratificazione dei gusti e dei nessi tra arte 'alta' e arte di massa (Geologia letteraria, Milano 1986); come studioso di germanistica, si occupò in particolare del romanzo goethiano e della letteratura di inizio Novecento (La nevrosi austriaca. Kafka, Roth, Musil, Casale Monferrato 1983). Non vanno dimenticati anche gli studi di semantica, di teoria del valore e le critiche rivolte ad alcuni aspetti delle teorie economiche marxiste. Dal punto di vista politico si contrappose alla sinistra pur mantenendo sempre aperto il dialogo. Durante la contestazione studentesca del Sessantotto assunse una posizione critica, che lo portò più volte a confrontarsi con il movimento studentesco. Non si sposò mai e non ebbe figli. Una grave malattia lo privò dell’uso della voce, ma non si fece scoraggiare e continuò a tenere lezioni e conferenze con l’ausilio di un sintetizzatore vocale.
Morì a Milano il 29 marzo 1997.
Opere: oltre a quelle citate vanno ricordate: L’obiezione di B. Croce alla legge marxistica della caduta tendenziale del saggio di profitto, in Giornale degli economisti, n.s., VI(1947), pp. 175-193; Asserzioni e valutazioni, in Giornale critico della filosofia italiana, s. 3, XVI (1962), pp. 437-462; Gusto e giudizio, in Rivista di estetica, VII (1962), pp. 368-407; Fenomenologia del giudizio critico, ibid., VIII (1963), pp. 22-60; Nietzsche contro Wagner, Pordenone 1984; Goethe e il romanzo, Torino 1991; Il gusto nell’estetica italiana del Settecento, a cura di L. Russo - G. Sertoli, Palermo 2002 (con Appendice bibliogr., pp. 243-247).
Fonti e Bibl.: L. Rossi, Situazione dell’estetica in Italia, Torino 1976, pp. CLXVI-CLXXXIII; P. D’Angelo, L’estetica italiana del Novecento, Roma-Bari 1997, pp. 191 s. e 294 s.; C. Magris, Ritratto di un genio politicamente scorretto, in Corriere della Sera, 4 aprile 1997; Esercizi filosofici, 1998, n. 4 (con scritti su M.T. di C. Magris, E. Guagnini, G. Lombardo, R. Raggiunti, L. Bianco, G. Derossi, M. Sbisà); G. M.T. e l’estetica del Settecento, a cura di L. Russo, in Aesthetica Pre-Print, 67 (aprile 2003), con scritti di L. Russo, G. Sertoli, A. Gatti, P. D’Angelo, S. Tedesco, R. Diodato, G. Matteucci.